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L’uso del casco sul luogo del lavoro: cosa dice la Cassazione

I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono strumenti essenziali per la sicurezza sul luogo di lavoro. Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 1030/2025) pone l'accento sulla responsabilità del datore di lavoro nel garantire l'uso effettivo dei DPI e nel predisposizione dei piani operativi di sicurezza.

DPI: strumenti per la sicurezza sul luogo di lavoro

I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono strumenti o attrezzature utilizzati per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da attività professionali.
Questi dispositivi devono obbligatoriamente essere utilizzarti in tutti i contesti in cui i fattori di rischio non possono essere eliminati o ridotti, ecco perché vengono suddivisi in tre categorie:

  • i DPI di prima categoria sono dispositivi pensati per proteggere i lavoratori da rischi minimi come l'esposizione a vibrazioni, raggi solari, urti leggeri e condizioni atmosferiche e la certificazione di questi DPI è autocertificata dal produttore;
  • i DPI di terza categoria sono dispositivi che hanno lo scopo di proteggere i lavoratori da rischi che possono causare conseguenze molto gravi come ad esempio cadute dall'alto, la folgorazione da contatto con impianti o reti in tensione e lavoro in condizioni iperbariche, l’annegamento, i tagli da seghe a catena portatili;
  • i DPI di seconda categoria sono dispositivi che non possono essere classificati nelle altre due categorie e sono utilizzati in attività con un rischio significativo e il DLGS 475/92 non fornisce una definizione dettagliata per questa tipologia.

La norma che disciplina i DPI in Italia è il DLGS n. 81/2008, Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, in particolare, l'art. 77 di tale decreto stabilisce che:

“1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:
a) effettua l'analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;
c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d'uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);
d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d'uso fornite dal fabbricante, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell'uso, in funzione di:
a) entità del rischio;
b) frequenza dell'esposizione al rischio;
c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore;
d) prestazioni del DPI.(…).”

A ribadire chi la responsabilità di garantire la protezione adeguata per i propri dipendenti faccia capo ai datori di lavoro è la sentenza della Corte di Cassazione n. 1030/2025.

 

Obbligo di protezione per i lavoratori e responsabilità del datore di lavoro

Il TAR di Campobasso ha emesso una sentenza che pone l’attenzione sulla problematica della sicurezza condannando il ricorrente, accusato di non aver adempiuto agli obblighi di protezione dei propri dipendenti, come previsto dalla legislazione italiana sulla sicurezza sul lavoro.

In particolare il ricorrente, in qualità di datore di lavoro, non aveva fornito i dispositivi di protezione individuale (DPI) ai propri dipendenti, nello specifico il casco protettivo, e non aveva presentato il prescritto "piano operativo di sicurezza" (POS) per l’attività lavorativa in corso.

Il ricorrente ha presentato ricorso alla Cassazione avvalendosi una serie di motivazioni a sua discolpa, in particolare sostenendo che, mentre la contestazione riguardasse la mancata fornitura di dispositivi di protezione (come il casco), la sentenza si sarebbe invece basata su un’accusa di non aver imposto l'uso dei dispositivi da parte dei lavoratori.
Il ricorrente ha lamentato che il Tribunale non abbia preso in considerazione una testimonianza che dimostrava come, sebbene avesse fornito il casco ai lavoratori, non sia stato imposto l'obbligo di indossarlo, salvo correggere la situazione dopo l’ispezione.

Inoltre nel proprio ricorso ha anche sostenuto che per la tipologia di lavori edilizi, non fosse necessario l’uso del casco, poiché non vi era il pericolo di caduta dall’alto, contestando quindi il Tribunale amministrativo per non aver applicato correttamente gli articoli del DLGS n. 81/2008 riguardanti la sicurezza sul lavoro.

La Corte di Cassazione analizzando il caso ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la sentenza del Tar di Campobasso, in particolare, è stato sottolineato che il fatto che il ricorrente avesse fornito i dispositivi di protezione, ma non avesse vigilato sull’effettivo utilizzo, integra comunque la fattispecie penale contestata.

Per quanto riguarda la necessità dell’uso del casco, i giudici hanno precisato che anche nei lavori a cielo aperto è previsto dalla legge italiana l’obbligo di protezione del capo, a prescindere dal pericolo di caduta di oggetti dall’alto, proprio come riportato nella sentenza: “si osserva che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, l'esecuzione di lavori edili rientra fra le attività che necessitano della predisposizione di un'adeguata protezione del capo del lavoratore, attraverso l'utilizzo di un casco, anche a prescindere dalla circostanza che le opere si svolgano in ambiente chiuso ovvero a "cielo aperto", atteso che il pericolo che in tale modo si tende a preservare non è solamente quello connesso alla caduta di un grave dall'alto (circostanza che, peraltro, non è da escludersi anche laddove le opere si svolgano a "cielo aperto" ove si immagini la frequente movimentazione di materiali edili e di macchinari attraverso le "gru" impiegate nell'edilizia anche, se non soprattutto, in spazi "aperti") ma è riferito a qualunque tipo di accidente che la realizzazione di tali opere, in se generalmente fonte di pericoli, può determinare a carico di una parte particolarmente vulnerabile del corpo umano.”.

Quindi in conclusione la sentenza della Corte di Cassazione conferma la rigorosità delle normative sulla sicurezza sul lavoro, ribadendo ancora una volta la responsabilità dei datori di lavoro nel garantire la giusta protezione ai propri dipendenti e, al contempo, nel sovrintendere all'effettivo utilizzo dei dispositivi forniti.

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
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