Abuso Edilizio | T.U. Edilizia | Titoli Abilitativi
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L'opera edilizia spostata su un'area diversa da quella prevista nel titolo abilitativo è abusiva e va demolita

La traslazione della costruzione costituisce uno spostamento del fabbricato su un’area diversa da quella originariamente prevista, comportando ex se una variazione essenziale sottoposta a sanzione demolitoria.

Un'intervento edilizio si considerà in totale difformità dal titolo abilitativo richiesto se viene 'spostato' su un'altra area rispetto a quanto assentito dal permesso di cosrtruire?

E quando la richiesta di sanatoria - cioè l'accertamento di conformità ex art.36 del dpr 380/2001 - non può essere portata a termine?

A queste domande risponde il Consiglio di Stato nella sentenza 10918/2022 dello scorso 13 dicembre, relativo al ricorso di un privato contro l'ordinanza di demolizione, emanata da un comune e confermata dal Tar competente, per alcune opere edilizie "eseguite in totale difformità dai titoli abilitativi".

Le opere abusive

Nel dettaglio, si tratta di:

  • A) struttura delle dimensioni di metri 12 x 6 per una superficie utile coperta complessiva pari a 72 metri quadrati) destinata a rimessa per autovetture (realizzata in totale difformità dal permesso di costruire;
  • B) manufatto (in progetto destinato a civile abitazione) realizzato a distanza non conforme a quella massima ammessa dalla legge regionale 21 gennaio 2015, n. 1 (realizzata in totale difformità dal permesso di costruire;
  • C) tamponatura, con muratura in mattoni forati, delle pareti perimetrali di un annesso destinato a magazzino/rimessa attrezzi agricoli (opera eseguita in totale difformità dalla comunicazione degli interventi;
  • D) tratto di recinzione in rete metallica e pali metallici realizzata senza titolo”.

Il ricorso: tra doppia conformità e totale difformità

La ricorrente propone appello deducendo, in primo luogo, di provvedere alla parziale ottemperanza dell’ordinanza di demolizione eliminando la “tamponatura” contestata, sanando la recinzione e la struttura destinata a rimessa.

Pertanto, il giudizio di appello risulta limitato alla legittimità dell'intervento consistito nella costruzione di un fabbricato residenziale a seguito di ristrutturazione urbanistica e cambiamento di destinazione d'uso, previa demolizione e ricostruzione in altro sito di un edificio rurale, assentito con un permesso di costruire del marzo 2015.

La prima censura evidenzia come l’opera abusiva non possa qualificarsi come intervento in totale difformità non comportando la realizzazione di un organismo integralmente diverso rispetto a quello assentito, né un aumento delle volumetrie autorizzate.

Si tratterebbe soltanto di una irrilevante traslazione dell'area di sedime all'interno della proprietà della stessa ricorrente, che, per costante giurisprudenza, avrebbe potuto semmai qualificarsi come una “variazione essenziale” solo se avesse inciso “sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli”.

Osserva, inoltre, come la traslazione non sia avvenuta in violazione della normativa sulle “distanze minime dalle strade o dai confini o sulla destinazione urbanistica dei suoli”, ma solo in eccesso rispetto all'irragionevole previsione regionale sulla distanza dall'edificio preesistente.

Inoltre, evidenzia come la previsione di cui all’art. 139 comma 1, lett. b), della l.r. Umbria n. 1/2015 stabilisca che, in caso di “localizzazione dell’area di sedime della costruzione completamente diversa in relazione all’area di pertinenza”, la variazione essenziale sia ravvisabile solo se si sia arrecato un “pregiudizio alle caratteristiche della zona sotto il profilo igienico-sanitario […] o comunque una riduzione superiore al dieci per cento delle distanze minime dalle costruzioni e dai confini”.

Nel caso di specie, quindi, l'ipotizzato abuso non avrebbe generato alcun tipo di “pregiudizio alle caratteristiche della zona sotto il profilo igienico-sanitario”; né avrebbe di certo comportato “una riduzione superiore al dieci per cento delle distanze minime dalle costruzioni e dai confini”.

Si evidenzia, inoltre, come il diniego di accertamento di conformità non si fondi sulla mancanza di doppia conformità ma sul mancato possesso dei requisiti in capo all’azienda agricola conduttrice del compendio e che, inoltre, la doppia conformità dell’intervento sarebbe assicurata, da una parte, dall'art. 90 della l.r. n. 1/2015 (che non prescrive alcun limite di distanza rispetto agli edifici esistenti), e, dall'altra, dall'art. 57, comma 4, della N.T.A. del P.d.S. del P.R.G., che, nelle zone agricole, consente (e consentiva) la realizzazione di ogni intervento edilizio, anche a scopi sportivi o ricreativi, senza in alcun modo subordinarli alla qualità di impresa agricola del soggetto autore all'opera.

Primo: l'intervento non è conforme alla legge regionale

il Collegio osserva in primis come l’intervento in esame sia ritenuto contrastante con le previsioni di cui all’art. 91 della L.r. dell’Umbria n. 1/2015 le quali, per quanto di rilievo per la presente controversia, dispongono che:

  • i) “per gli edifici rurali esistenti, non adibiti a residenza ancorché utilizzati per uso diverso dall'attività agricola, sono consentiti gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia ed urbanistica. Gli interventi di ristrutturazione urbanistica, con riferimento ai quali è prevista la demolizione e ricostruzione degli edifici in sito diverso, sono consentiti purché la ricostruzione del fabbricato avvenga nelle aree dove sono già presenti edifici, a distanza non superiore a cinquanta metri dall'edificio più vicino o dal suo successivo ampliamento ancorché l'edificio stesso è situato nel territorio di un comune confinante” (comma 6);
  • ii) al fine di favorire l'accorpamento di edifici della stessa proprietà fondiaria, si consente la ricostruzione in sito diverso con cambio d'uso degli edifici rurali esistenti alla data del 13 novembre 1997, non adibiti a residenza, ancorché oggetto di interventi edilizi dopo tale data e anche se utilizzati per uso diverso dall'attività agricola, a distanza non superiore a cinquanta metri dall'edificio di tipo abitativo o ricettivo della stessa proprietà fondiaria purché il trasferimento non superi una distanza di metri lineari mille (comma 12).

Ma nel caso di specie, l’intervento è pacificamente realizzato ad una distanza dall’edificio preesistente pari a 96,5 metri, arrotondati per difetto (cfr. foglio n. 2 dell’ordinanza di sospensione dei lavori del 20.7.2015).

Secondo: c'è totale difformità dal titolo abilitativo. Ecco perché

Secondo l’appellante, poi:

  • tale difformità non potrebbe qualificarsi come intervento in totale difformità non determinando la realizzazione di un organismo integralmente diverso da quello assentito, né un aumento delle volumetrie realizzate;
  • la traslazione dell’edificio dall’area di sedime potrebbe qualificarsi come variazione essenziale sono se incidente “sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli; circostanza che ritiene esclusa nel caso di specie.

Palazzo Spada non è dello stesso avviso, però, in quanto:

  • si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione;
  • si configura invece la difformità parziale quando le ridette modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 104).

La modifica della localizzazione dell'opera integra una variazione edilizia essenziale

Con specifico riferimento al concetto di “modifica sostanziale della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza”, e, quindi, di variazione essenziale assoggettabile a sanzione demolitoria in virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, assume rilievo sia “lo spostamento del manufatto su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista che “ogni significativa traslazione dell'edificio in relazione alla localizzazione contenuta nelle tavole progettuali, capace di incidere sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli” (v., ancora, Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 104).

Nel caso di specie, si modifica la localizzazione dell’edificio comportando lo spostamento del fabbricato su un’area diversa da quella originariamente prevista. Tale situazione avrebbe imposto una nuova valutazione del progetto da parte dell’amministrazione concedente, al fine di verificare la compatibilità con i parametri urbanistici e con le connotazioni dell’area.

E’, invece, irrilevante - come evidenziato correttamente dalla difesa comunale – il mantenimento delle ulteriori caratteristiche dell’intervento (sagoma, volumi, altezze, etc.), così come l’assenza di ogni incidenza della variante sul regime dei distacchi e delle distanze.

Infatti, la traslazione della costruzione costituisce uno spostamento del fabbricato su un’area diversa da quella originariamente prevista, comportando ex se una variazione essenziale sottoposta a sanzione demolitoria.

E la doppia conformità? Non c'è

Il Consiglio di Stato evidenzia poi come l’immobile sia, comunque, realizzato in difformità delle distanze previste dalla disposizione di cui all’art. 91, comma 12, della L.r. dell’Umbria n. 1/2015.

L’immobile non può ritenersi, quindi, conforme alla previsione legale sopra richiamata ed esaminata in precedenza.

Pertanto, il diniego comunale si appalesa, per tale dirimente ragione, legittimo, in quanto, come affermato da costante giurisprudenza di questo Consiglio, “l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria; per tale ragione, che riposa sulla lettera della norma, non può essere accolto l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza (cfr. tra le più recenti: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3704 dell’11 maggio 2022; n. 2297 del 29 marzo 2022; n. 43 del 4 gennaio 2021; e molte altre); secondo Corte Cost. n. 232 del 2017, poi, l’approdo che richiede la verifica della “doppia conformità” deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2022, n. 9065).

Né assumono rilievo – come correttamente evidenziato dal T.A.R. – le questioni connesse alla natura di impresa agricola dell’affittuaria trattandosi di qualifica ottenuta successivamente alla realizzazione dei manufatti ed all’emanazione dell’ordinanza di demolizione.

Pertanto, anche sotto tale profilo difetterebbe la c.d. doppia conformità dell’intervento atteso che, al momento della realizzazione dell’intervento (ultimato in data 6 luglio 2015), la richiedente non possiede i requisiti dell’impresa agricola, iniziando tale attività solo in data 23 novembre 2015. Né valgono i richiami alle previsioni di cui all’art. 90 della L.r. n. 1/2015 o alle previsioni di cui all’art. 57, comma 4, delle N.t.a. del P.d.S. del P.R.G. atteso che, nel caso di specie, si tratta di intervento di costruzione di un fabbricato residenziale a seguito di ristrutturazione urbanistica e cambiamento della destinazione d’uso, regolato – sin dal rilascio del titolo – dalle previsioni di cui all’art. 91, commi 10 e 12, della L.r. n. 1/2015.

La carenza della doppia conformità non consente, comunque, il rilascio del permesso in sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.


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Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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