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L'integrazione della sicurezza nella fase di progettazione del cantiere: criticità e importanza del ruolo del CSP

La progettazione di un’opera non può essere scollegata ed autonoma rispetto al processo decisionale delle misure minime di sicurezza da garantire per la sua realizzazione. L’articolo si propone di evidenziare le criticità esistenti e la necessità, prima ancora che l’obbligo, che le scelte di progetto e le scelte di sicurezza siano attuate in unicum e non distinte in fasi differenti.

Un progetto che integra la sicurezza?

Nella mia personale attività professionale, nata nel 2006 quando era ancora in vigore il D.Lgs.494/96, mi sono trovato molto spesso a ricevere (all’inizio della mia carriera, a sentire di) proposte di incarico di Coordinatore per la sicurezza in Fase di Progettazione (per semplicità espositiva, a seguire CSP) pochi giorni prima che il cantiere iniziasse; e non nascondo che in diversi casi addirittura a cantiere già avviato.

Mi riferisco evidentemente a cantieri privati, in quanto per l’ambito pubblico dinamiche di questo genere, grazie alle procedure applicative dei vari codici degli appalti, non erano e non sono tutt’oggi “teoricamente” ipotizzabili, sebbene potrei annoverare tra le mie esperienze di CSP anche alcune “applicazioni apocrife” in tale ambito. E poiché ho modo di confrontarmi con tantissimi colleghi del settore, sono assolutamente sicuro di aver suscitato più di un deja-vou tra i lettori, in relazione a tali tipologie di proposte.

Questo articolo non vuole entrare nel merito dell’opportunità o meno di accettare un incarico di CSP a progetto finito e non vuole affrontare la questione dal punto di vista “deontologico”, temi comunque assolutamente degni di essere affrontati in modo approfondito (perché una parte del problema è sicuramente interno a tali questioni), ma intende evidenziare le criticità principali che ruotano intorno al ruolo effettivo del Coordinatore in fase di Progettazione, che purtroppo ancora oggi non sembra così chiaro sia a moltissimi committenti (privati e pubblici) che responsabili dei lavori e progettisti.

Tale incomprensione porta spesso a snaturare il ruolo del Coordinatore, che invece è proprio nella fase di progettazione che, al di là degli obblighi (come vedremo), può rappresentare il soggetto fondamentale affinché le scelte tecniche e progettuali, a carico del progettista, vengano assunte con la logica della massima prevenzione possibile prima ancora che la prima pietra venga mossa o il primo picchetto venga posato.

Stiamo parlando quindi di una sicurezza integrata nella progettazione, o se vogliamo, una progettazione che integra la sicurezza sul lavoro.

A tal proposito, mi piace citare il seguente passaggio tratto dalla Health and Safety Guidance del sito governativo UK sulla materia della sicurezza sul lavoro:

“I progettisti possono e devono giocare un ruolo chiave per ridurre i rischi che possono presentarsi durante la realizzazione, utilizzo e/o manutenzione degli ambienti di lavoro. Durante le diverse fasi progettuali, i progettisti possono dare un contributo significativo nell’identificare ed eliminare i pericoli o quando non sia possibile eliminarli, riducendo significativamente il rischio.”

Il punto ritengo che sia esattamente questo: in generale, la corretta e ponderata gestione dei rischi tecnici e professionali è più efficace ed anche “più economica” (leggasi, anche più razionale) se risulta effettivamente integrata a monte di tutto il processo di definizione e di messa a punto di un progetto di una struttura, edificio, impianto o attrezzatura.

Invece, anche per colpa di una profonda mancanza di una certa cultura della sicurezza a qualsiasi livello di processo realizzativo di un’opera, spesso assistiamo a dinamiche per le quali un progetto è “pensato” (da qualsiasi sua fase) esclusivamente per i suoi aspetti architettonici, tecnologici ed economici, destinando poi l’alveo della prevenzione e salute, ovvero l’insieme delle modalità concretamente utilizzabili per la realizzazione in sicurezza di quanto concettualmente partorito dal progettista e richiesto dal committente, ad una “fase” totalmente separata, come se esistesse e fosse lecito immaginare la sicurezza sul lavoro come un binario parallelo al progetto, confinato a margine alle richieste puramente normative del legislatore che “in qualche modo vanno assecondate”.

E purtroppo, ancora oggi, specialmente nell’ambito della cantieristica privata, tale visione della sicurezza come “fase parallela e confinata”, risulta spesso proprio saltata a piè pari, finanche per gli aspetti puramente formali (che in ogni caso, da soli, non servono perfettamente a nulla, se non ad incrementare il tasso di disboscamento per inutile utilizzo di carta).

Al di là di non rispettare il dettato normativo, come appresso vedremo, quali sono le conseguenze di una visione “scorporata” della sicurezza all’interno di un progetto?

A seguire alcuni possibili elementi di criticità tra quelli che ritengo più evidenti, che per esperienza personale, per quanto aneddotica e non statistica, trovano comunque riscontro piuttosto diffuso nelle varie interlocuzioni con colleghi che operano come coordinatori in cantieri anche complessi:

  • Le soluzioni adottate dal progettista, potrebbero non essere concretamente realizzabili nel contesto ambientale del cantiere (es.: tetto a falde progettato con travi di lunghezza tale da non essere movimentabili con una gru a causa delle geometrie presenti nell’intorno, oppure non trasportabili a causa della lunghezza delle travi rispetto ai raggi di curvatura della strada di accesso al compendio)
  • Il cronoprogramma di lavoro stilato nella fase di progettazione potrebbe non essere rispettato a causa di sovrapposizioni o interferenze operative (es.: una fase di demolizione immaginata contemporanea ad un’altra fase di lavoro, oppure quantitativi di materiali di risulta da scavi giornalieri superiori rispetto alle aree di stoccaggio previste considerando la presenza di altre lavorazioni, la logistica di cantiere e le tempistiche per la caratterizzazione e successiva destinazione a rifiuto)
  • Difficoltà realizzative di alcune fasi lavorative per mancata valutazione (o sottostima) delle interferenze già presenti nelle aree di lavoro (es: una linea elettrica aerea al di sopra di un’area dove sono state previste attività di movimentazione e sollevamento materiali, oppure sottoservizi interrati dove sono stati previsti scavi e movimento di terreni)
  • Assenza di una visione di insieme e organica delle possibili problematiche di sicurezza in cantiere durante la realizzazione del progetto, con esposizioni indebite a rischi lavorativi da interferenza (es: esposizioni a polveri durante realizzazione di scavi, tra diverse aree di lavoro in cantiere) o rischi derivanti dal contesto ambientale (es.: rischi già esistenti all’intero di uno stabilimento oggetto di lavori edili e di ingegneria civile) o rischi trasmessi dall’esterno del cantiere (es.: presenza di traffico veicolare limitrofo all’area di cantiere) o ancora rischi che dall’interno del cantiere possono trasferirsi all’esterno dello stesso (es.: rischi derivanti da una demolizione di un opificio confinante con altro edificio non oggetto di lavori).

Tale elenco non è assolutamente esaustivo, ma serve a stimolare un ragionamento che è tanto scontato quanto ignorato: spostando le problematiche esclusivamente alle fasi successive di realizzazione, ovvero quando oramai tutte le decisioni sono state prese ed il quadro economico dell’opera oramai validato, le possibilità di poter concretamente intervenire per una risoluzione è pressocché nulla e confinata solo su aspetti organizzativi oltre ad essere quasi totalmente rimessa alla capacità delle imprese di saperle individuare.

Anche ove un committente riesca a “ravvedersi” e incaricare il CSP dopo che il progetto è stato approvato, le possibilità di intervento risulterebbero minime se allo stesso professionista non fosse data alcuna possibilità di rimettere in discussione (ed esaminare rispetto al contesto di cantiere) le scelte progettuali ed architettoniche intraprese tra progettista e committente.

Di fatti, il più delle volte, il professionista che accetta l’incarico di CSP in tali scenari, si limita a svolgere un “non lavoro” di coordinamento, che se va bene, lo costringerà a barcamenarsi per cercare soluzioni spesso solo procedurali, non potendo chiedere di rivedere (e a volte ove necessario, chiedere di stravolgere) alcun elemento del progetto tecnico e/o economico; nel mentre se va male (leggasi, nella stragrande maggioranza dei casi!), il CSP proporrà un documento che accontenterà esclusivamente l'esigenza "oftalmica” del rispetto della normativa e dei suoi obblighi, ma la cui utilità concreta sarà pari a zero.

Lo sforzo pertanto che occorrerebbe fare, a tutti i livelli della progettazione, è comprendere che ogni tipo di opera richiede a monte di interrogarsi su tutti i bisogni costruttivi e di benessere sul lavoro durante la sua costruzione e questo sempre prima di pensare ad una sua trasposizione in pratica. Questo serve, appunto, come sopra evidenziato, per consentire di avere una visione completa da cui immaginare una effettiva esecutività dell’opera. In altri termini, un progetto per essere considerato eseguibile, deve sempre contenere al suo interno una concreta e non solo formale esaustività anche per gli aspetti di organizzazione in sicurezza delle lavorazioni, costruita contestualmente alle scelte prese dal progettista, considerando anche gli interventi futuri che presto o tardi si renderanno naturalmente necessari (interventi manutentivi e di conservazione dell’opera).
Chiaramente, al di là del lato “filosofico” della faccenda, la normativa applicabile converge esattamente su quanto sopra scritto.

Figura 1 – Ciclo concettuale con le macrofasi per la realizzazione di un’opera e il suo mantenimento
Figura 1 – Ciclo concettuale con le macrofasi per la realizzazione di un’opera e il suo mantenimento
(Credits: Giorgio Gallo)


Nell’alveo del D.Lgs.81/08 Titolo I, quindi nella realizzazione di luoghi e posti di lavoro, corre obbligo di ricordare che il progettista ha una precisa responsabilità sul tema, a norma di quanto indicato all’art.22
“1. I progettisti dei luoghi e dei posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono attrezzature, componenti e dispositivi di protezione rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia
.”

Analoghi normativi ci sono per i fabbricanti e fornitori (art.23) e gli installatori (art.24). Ed è un preciso obbligo dei datori di lavoro e dei dirigenti (art.18 comma 3-bis) vigilare in ordine agli adempimenti di tali soggetti, fermo restando l’esclusiva responsabilità degli stessi qualora la mancata attuazione sia attribuibile unicamente al loro operato (potremmo quindi parlare di rischio occulto, non a carico evidentemente del datore di lavoro). E sempre nell’ambito del Titolo I per i luoghi di lavoro, il D.Lgs.81/08 in moltissimi punti riporta l’obbligo di una progettazione preventiva finalizzata ad effettuare le dovute scelte con finalità prevenzionali (anche in tal caso, è spontaneo dire che tali finalità dovrebbero essere -in re ipsa- lapalissiane!).

Alcuni esempi:

  • Allegato IV – Luoghi di lavoro: che riporta un insieme di criteri qualitativi e (in alcuni casi) quantitativi sui requisiti minimi da garantire affinché un ambiente possa essere definito luogo di lavoro (pertanto, la realizzazione di un luogo di lavoro non può prescindere da tali elementi)
  • Art.168 comma 2 – Movimentazione manuale dei carichi: qualora non sia possibile evitare la movimentazione, il datore di lavoro organizza i posti di lavoro e valuta se possibile anche in fase di progettazione le condizioni di sicurezza
  • Art.192 comma 1 – Esposizione a rumore: il datore di lavoro elimina i rischi alla fonte o li riduce al minimo mediante la scelta di attrezzature di lavoro adeguate e tramite la progettazione della struttura dei luoghi e dei posti di lavoro
  • Art.203 comma 1 – Esposizione a vibrazioni: il datore di lavoro elabora ed applica un programma di misure tecniche ed organizzative ove siano superati i lavori di azione considerando la scelta di attrezzature di lavoro adeguate e tramite la progettazione e l’organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro
  • Art.210 comma 1 – Esposizione a campi elettromagnetici: qualora risulti che i valori di azione sono superati, il datore di lavoro, a meno che la valutazione effettuata dimostri che i valori limite di esposizione non sono superati e che possono essere esclusi rischi relativi alla sicurezza, elabora ed applica un programma d’azione che comprenda misure tecniche e organizzative intese a prevenire esposizioni superiori ai valori limite di esposizione, tenendo conto in particolare della scelta di attrezzature di lavoro adeguate e tramite la progettazione e l’organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro

Continuando, ulteriori analoghi sono presenti per l’esposizione ad agenti chimici, la protezione contro le esplosioni, i videoterminali, ecc. Risulta quindi palese la fondamentale integrazione della sicurezza nella progettazione di un luogo di lavoro da intendersi quale luogo statico governato da specifiche norme prevenzionali, ma più in generale, quando un’opera presuppone l’apertura di un cantiere temporaneo e mobile, indipendentemente dal fatto che la stessa opera riguardi o meno la realizzazione di un luogo di lavoro, lo stesso scenario temporaneo e mobile necessario al processo di costruzione dovrà presupporre l’integrazione della sicurezza nella sua progettazione a norma del Titolo IV del D.Lgs.81/08.

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Giorgio Gallo

HSE Senior Specialist, RSPP esterno, Coordinatore per la Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili, Formatore e CTP, Amministratore dell’Azienda SicurOtto S.r.l.

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