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L'Agibilità non surroga la Conformità

L'Agibilità "certifica" qualcosa di più rispetto ai requisiti del Permesso di Costruire (o altro atto abilitativo), ma cristallizza la certificazione alla data di “fine lavori” e lì si ferma, non surrogando la conformità, che garantisce la "non abusività" del costruito allo stato attuale.

Di tanto in tanto, dopo lunghi periodi di silenzio, il tema dell’Agibilità torna d’attualità, vuoi per interventi di riforma del Legislatore, vuoi per casistiche occasionali e si disquisisce anche accanitamente sul suo ruolo, funzione e indispensabilità.

Ogni volta ne emerge l’ambiguità, non tanto di “nomen” e di forma, quanto di sostanza e di effettiva efficacia certificativa. Di inquadramento, si può dire, nell’ambito degli atti edilizi.

Forse sarebbe il caso di ragionare freddamente sull’istituto per dedurne come riformarlo davvero e le considerazioni svolte dall’Autore possono far riflettere in tal senso.


Se volessimo fare un’allegoria pittorica dell’Agibilità dovremmo rappresentarla come una dea in crisi d’identità che – come succede spesso a chi è in crisi d’identità – viene sopravvalutata nell’immaginario collettivo dei credenti.

Per di più una dea che ha subìto molti interventi di chirurgia plastica – non sempre ben riusciti – che l’hanno di molto trasfigurata.

Di queste “metamorfosi” abbiamo già detto nello specifico, tanto che lo stesso chirurgo (rectius: Legislatore) è stato ben consapevole di averne radicalmente stravolto contenuti e significato con la riforma del Testo Unico dell’Edilizia (con le conseguenze che vedremo tra poco).

 

Le crisi identitarie (nome e natura)

La crisi di identità si è manifestata da tempo, dapprima sul nome (agibilità o abitabilità ?) che ha fatto scrivere approfondimenti dottrinari e terminologici voluminosi quanto inutili e poi sulla sua vera natura (autorizzazione o certificazione ?) fino all’attuale configurazione; ma di questo abbiamo già detto in dettaglio (v. In Genio - 09.01.2023 - “Agibilità degli edifici: metamorfosi in atto).

Quel che interessa è verificare i suoi poteri, ovvero quanto conta nel panorama degli atti amministrativi edilizi (in termini allegorici, il suo posto nella gerarchia degli Dei).

  

Poteri (e i limiti di efficacia temporanea)

L’Agibilità (a norma del vigente articolo 24 del DPR 380/01) certifica la realizzazione dell’opera:

  • in conformità all’atto abilitativo da cui promana;
  • il suo avvenuto accatastamento;
  • la sua sicurezza statica (e sismica);
  • la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e adeguamento impiantistico;
  • la predisposizione dell’edificio alla “banda ultra-larga”;

Non sfugge al commentatore attento una sorta di coacervo incongruo di requisiti frutto degli inserti (più o meno occasionali) con cui, di volta in volta, il Legislatore ha aggiunto a parametri strettamente edilizi (conformità e collaudo) o a questo collegati (accatastamento), aspetti di conformità impiantistica che sono collaterali e non contemplati nel permesso di costruire (o altro atto abilitativo) cui l’edificio si riferisce.

Sotto questo profilo l’Agibilità “certifica” qualcosa di più rispetto ai requisiti del Permesso di Costruire (o altro atto abilitativo), ma cristallizza la certificazione alla data di “fine lavori”. E lì si ferma.

Facendone così un atto (rectius: una dichiarazione) dal contenuto ibrido.

E caduco.

Sì, perché ogni volta che cambia la normativa impiantistica (il che accade spesso) l’Agibilità di fine lavori perde di attualità e di validità. Se fosse riferita ai soli parametri urbanistici manterrebbe la sua validità fino all’eventuale esecuzione di nuove opere (come dice l’articolo 24, comma 2 del TUEd).

Così invece le attestazioni dell’Agibilità si fermano all’ultimazione delle opere assentite, ma non ne garantiscono la permanenza nel tempo.

   

La procedura di acquisizione consegue all’esecuzione di opere

Infatti la richiesta di Agibilità va fatta entro quindici giorni dall’ultimazione “dei lavori di finitura” (termine diverso quindi dalla “fine lavori” di validità dell’atto abilitativo?), ma se non viene richiesta si applica una sanzione “da euro 77 a euro 464”, ma poi comunque se ne fa senza.

Poiché non mi pare che i comuni (in genere) abbiano messo in campo un sistema di verifica della comunicazione di “Agibilità” alla scadenza dei permessi di costruire non è noto il patrimonio edilizio privo di “Agibilità” e non osiamo suggerire percentuali; l’impressione è che sarebbero comunque sottostimate.

In ogni caso nessuno se ne è mai fatto carico più di tanto e non pare sia un problema; anche perché, vista la sua caducità si tratterebbe di statistiche dinamiche e, quanto agli interventi non soggetti a PdC, l’obbligatorietà dipenderebbe poi addirittura dall’estensione dell’intervento.

D’altra parte il Legislatore è stato tassativo: l’Agibilità (articolo 24, co. 2 già citato) va richiesta solo per:

  • 1. nuove costruzioni
  • 2. ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali
  • 3. interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1 (ovvero sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e normativa impiantistica).

La descrizione del punto 2 (limitato testualmente alle sole “riscostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali”) è evidentemente pasticciata e incongrua con le definizioni dell’articolo 3 dello stesso DPR 380/01 (non comprenderebbe, ad esempio, gli ampliamenti e neppure le ristrutturazioni non ricostruttive o le manutenzioni incidenti sugli impianti), ma con l’espressione onnicomprensiva del punto 3 (“interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1”) il Legislatore ha recuperato la confusa e incongrua descrizione del punto 2; sta di fatto che senza “interventi” di tale rilievo (la cui incidenza sulle “condizioni” va valutata di volta in volta) non si dà luogo a nuova Agibilità.

Si pone allora il problema di chi l’Agibilità non l’ha chiesta tempestivamente alla fine dei lavori.

 

L’(eventuale) Agibilità del pregresso

Il Legislatore per la verità ci ha anche provato ad introdurre la possibilità di certificare edifici che ne siano ancora privi introducendo il comma 7-bis all’articolo 24 del DPR 380/01.

Non è chiaro però che cosa sarebbe:

  • un’Agibilità in sanatoria (perché mai ottenuta prima)
  • o un semplice aggiornamento qualora sussistesse un’Agibilità preesistente ma di vecchia data?

Introducendo il citato comma il Legislatore però si è reso conto del non trascurabile problema di quale debba essere la normativa da rispettare e certificare in questi casi pregressi.

Non certo quella vigente al momento della richiesta attuale (e postuma) che può essere imposta solo per “nuove costruzioni, ricostruzioni o interventi incidenti sulle condizioni di cui al comma 1”).

Ovvio che occorre violare il principio “tempus regit actum”, ma può farlo solo il Legislatore.

Il quale allora ha previsto che i Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Salute e dei Beni e Attività Culturali, per il Turismo e per la Pubblica Amministrazione – naturalmente d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni) emanino (entro novanta giorni) un decreto riportante i “requisiti” cui attestarsi “medio tempore”.

 

Una norma (allo stato) inapplicabile

E qui l’innovazione si è arenata perché i novanta giorni sono passati e il “concerto e l’intesa” non sono stati trovati.

Per cui, a distanza di oltre tre anni e mezzo, la norma è ancora inapplicabile; il che la dice lunga sulla cogenza della disposizione e sull’importanza che ricopre.

E’ evidente l’imbarazzo di definire la norma di riferimento per costruzioni esistenti e datate, ma l’interpretazione non si può lasciare ai cittadini se, come si è visto, anche i Ministeri non sanno trovare l’intesa.

Ad oggi i requisiti igienico- sanitari statali sono ancora quelli risalenti al d.m. del luglio 1975 per i quali l’unica certezza è che non si applicano agli edifici sorti in precedenza (come ha dovuto precisare l’articolo 10, comma 2 del d.l. n. 76/2020) e ancora non sono subentrati quelli promessi già nel 2016 con il d.lgs. n. 222 (comma 1-bis dell’articolo 20 DPR 380/01).( v. InGenio - 11.09.2023 “La transizione delle norme igienico-sanitarie in edilizia”)

Resta dunque un’alea nel periodo intermedio perché le norme (in particolare quelle impiantistiche) si sono ampiamente evolute e certificarne oggi la conformità per edifici precedenti (come pretenderebbe l’attuale articolo 24 del TUEd) sarebbe a dir poco …. incongruo.

L’Agibilità In assenza di interventi edilizi (per così dire) “in bianco” non è conseguibile e quella “ora per allora” non esiste.

Ma c’è di più.

 

Ante 2003 se l’Agibilità non c’è non si può neppure pretendere

Gli stessi Giudici amministrativi hanno statuito che – vista la radicale riforma dell’istituto operata dal DPR 380/01 – l’Agibilità (o Abitabilità come si chiamava allora) non può essere richiesta per edifici realizzati prima dell’entrata in vigore del Testo unico dell’Edilizia (ovvero ante giugno 2003 !).

Ancora una volta se l’Agibilità non c’è (fatto frequente) se ne fa a meno; e se c’è anche molto datata si tiene quella, che però non garantisce dell’attuale conformità edilizia né, tanto meno, di quella impiantistica.

Questo pone un problema di effettiva cogenza dell’Agibilità, del suo ruolo all’interno del processo edilizio e di che cosa in effetti tuteli e garantisca.

Non è un caso allora che l’Agibilità non sia affatto dovuta in caso di nuova istanza edilizia in cui la norma richiede la sola “conformità” edilizia del preesistente (o “legittimità” ex articolo 20, co. 1 e articolo 9-bis del DPR 380/01) ovvero un’attestazione che supera e attualizza l’Agibilità (limitatamente però ai parametri urbanistico-edilizi escludendo quelli impiantistici).

Così è anche nei trasferimenti immobiliari, in cui oltre alla legittimità si aggiunge la conformità catastale; ma l’Agibilità – se c’è – è “un di più”, dipendente solo dalla volontà delle parti.

È così è anche per l’esercizio di attività commerciali per le quali rileva la “conformità urbanistico-edilizia” e l’adeguatezza e idoneità impiantistiche attuali, che non sono rinvenibili nelle “Agibilità” antecedenti il DPR 380/01 (v. CdS Sez. V , 27.07.2017, n. 3715; Sez. II, 27.07.2020 n. 4774) ed anche in quelle successive se risalenti e non più corrispondenti alla situazione attuale.

 

L’Agibilità non surroga la Conformità e neppure la integra

L’Agibilità – come conferma la sua origine igienico sanitaria – si conferma essere un atto ibrido: non surroga la Conformità e viceversa la Conformità non surroga l’Agibiltà.

Si tratta di istituti diversi neppure complementari tra loro anche se in parte sovrapponibili (quanto a conformità edilizia, ma non a conformità impiantistica).

La Conformità garantisce la “non abusività” del costruito allo stato attuale (ma non garantisce la conformità impiantistica e – purtroppo – neppure la sicurezza statica).

Sono entrambi a scadenza (perché anche la conformità non vale a distanza se intervengono nuove opere); però, a differenza dell’Agibilità, la Conformità può essere attualizzata, l’Agibilità – come abbiamo visto – no.

 

Richiami incongrui

La sua plurima natura fa sì che l’Agibilità paia a volte addirittura citata dallo stesso Legislatore più per evocazione che per competenza.

Vediamo ad esempio l’articolo 40 del DPR 380/01 che tratta della “Sospensione o demolizione di interventi abusivi da parte della regione” il quale dispone che “Il provvedimento di demolizione è adottato” dalla Regione “entro cinque anni dalla dichiarazione di agibilità dell'intervento” per “gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in contrasto con questo …” .

Ma se gli interventi sono stati eseguiti “in assenza o in difformità dal permessoè probabile che non esista l’Agibilità (aggiungerebbe un reato di falso al reato di costruzione abusiva). Non era più coerente far decorrere il termine dalla fine lavori ?

 

Merita un reinquadramento funzionale

Possiamo dedurre da questa pur sommaria disamina che l’Agibilità è sì Istituto antico però, a ben vedere, la sua efficacia è limitata e – nonostante le successive modifiche e implementazioni di requisiti che parrebbero averla arricchita – non risulta organicamente inquadrata nell’architettura degli atti abilitativi in edilizia:

  • non essendone mai prescritta l’effettiva cogenza sia per l’espletamento di nuove attività edilizie o produttive che per i trasferimenti immobiliari;
  • non essendone possibile (in assenza di nuove opere) l’aggiornamento o la certificazione ex novo in caso di mancanza ab origine;
  • non avendo effetti sananti di eventuali difformità a fine lavori (v. Cassazione recente Ordinanza 25830 del 05.09.2023 e, da ultimo, CdS n. 2461 dell’08.03.2023 - InGenio – 17.03.2023 – “Abusi edilizi: il certificato di agibilità non attesta la regolarità urbanistica”)
  • e, dulcis in fundo, avendo anche scarsa affidabilità in quanto, essendo autocertificazione di parte è potenzialmente sempre smentibile dalla Pubblica Amministrazione in caso si ravvisino incongrue (false) attestazioni.

Se si vuole avere un monitoraggio dello stato di salute di un edifico forse è il caso di riparlare del libretto del fabbricato.

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
Il file PDF è salvabile e stampabile.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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