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L'Adozione della Gestione Informativa Digitale e la Digitalizzazione della PA

In questa nota il prof. Angelo Ciribini evidenzia una serie di criticità da superare e di quanto sia importante il ritorno alla centralità dei dati e la continuità dei flussi informativi affinché vi sia una concreta adozione della digitalizzazione all'interno del ciclo di vita del contratto pubblico.

Preoccupazioni sull'adozione della digitalizzazione negli appalti e sull'approvvigionamento digitale nella PA

Sorgono ora preoccupazioni intorno al rispetto dei tempi previsti dal Codice dei Contratti Pubblici, fissati al 01.01.2024, per l’adozione della digitalizzazione del ciclo di vita del contratto pubblico, intesa nel senso del ricorso alle piattaforme di approvvigionamento digitale, con implicazioni ulteriori sulla fase di esecuzione del contratto.

Più in generale, oltre ai dubbi inerenti alla disponibilità di dispositivi certificabili, appare evidente la carenza significativa di risorse umane necessarie per supportare digitalmente l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), destinata a manifestarsi non solo per l’approvvigionamento digitale e per il Project Management, ma anche a proposito dell’introduzione dei profili professionali del CDE Manager, del BIM Manager e del BIM Coordinator, profili obbligatoriamente previsti a proposito della Gestione Informativa Digitale.

Lo stesso potrebbe dirsi, appunto, per l’obbligo successivo a quello relativo all’Approvvigionamento Digitale, inerente appunto alla Gestione Informativa Digitale, che, peraltro, oltre a riguardare anche l’esecuzione del contratto stesso, traguarda un ambito ben più vasto.

A questo proposito, si osservi come si renda necessaria e urgente una diretta interoperabilità tra metodologie, sistemi e piattaforme che riguardano, anzitutto, l’Approvvigionamento Digitale e la Gestione Informativa Digitale, sinora affrontate separatamente.

Ciò vale in virtù dell’unicità del ciclo di vita digitalizzato del contratto, che inizia idealmente ben prima della fase a evidenza pubblica di affidamento dello stesso e termina oltre il collaudo tecnico-amministrativo.

Assicurare continuità di flussi informativi basati su dati strutturati

Occorre dire a chiare lettere, infatti, che l’ambizione che ci si deve prefiggere, e che qualche amministrazione pubblica sta già operativamente perseguendo, dovrebbe essere quella di assicurare la continuità di flussi informativi basati sui dati strutturati a supporto dei processi decisionali dall’origine dell’investimento pubblico nel bilancio di previsione (e dal CUP, Codice Unico di Progetto, ancora prima che dal CIG, Codice Identificativo di Gara) sino all’inserimento o al reinserimento del bene o del cespite (edificio, immobile o rete) nella gestione patrimoniale: colla finalità ultima di liberare il contenuto informativo dal documento.

Il che significa che l’Ambiente di Condivisione dei Dati dovrebbe essere parte della piattaforma più generale includente la Piattaforma di Approvvigionamento Digitale, ovvero che almeno sia interoperabile con essa.

Ed è bene osservare come, per un verso le specifiche relative all’Ambiente di Condivisione dei Dati siano risultate sinora relativamente generiche, a eccezione del recente bando di gara pubblicato da Banca d’Italia.

Si deve, soprattutto, ricordare come il Codice innovi profondamente la materia, estendendo l'ambito di applicazione dell’Ambiente dal singolo Project alla Organizzazione.

Parimenti, la normativa internazionale e sovranazionale ha già modificato considerevolmente la nozione stessa di Ambiente di Condivisione, accostando alle soluzioni tecniche note un dispositivo sovraordinato di gestione dei flussi.

BIM esteso dalla progettazione alla gestione dell'opera

Il fatto che la digitalizzazione nel settore dell’ambiente costruito sia passata primariamente attraverso il cosiddetto BIM, vale a dire il Building Information Modeling, sta creando paradossalmente a oggi non poche difficoltà, poiché esso, inteso sia come metodologia sia come strumentazione, di là dell’essere stato compreso solo parzialmente dai suoi utenti, è rimasto tutto all’interno di un dominio circoscritto, ancorché attualmente esteso dalla progettazione alla gestione dei cespiti e dei beni (edifici, infrastrutture, reti e paesaggi).

Tutto questo si palesa con grande chiarezza a proposito delle amministrazioni pubbliche, considerate tanto come soggetti committenti quanto in qualità di gestori patrimoniali.

Si tratta di un aspetto rilevante, poiché nel Codice si parla di stazioni appaltanti qualificate (senza contare, inoltre, gli enti concedenti), di committenze delegate e di centrali uniche di committenza, ma la autentica digitalizzazione dell’ambiente costruito ha al centro la vita utile del bene o del cespite e il soggetto gestore, per cui i singoli contratti costituiscono episodi, più o meno rilevanti del tema.

Ruolo delle centrali uniche di committenza

Il ruolo delle centrali uniche di committenza, che attualmente operano per conto di altre amministrazioni pubbliche, richiederebbe la estensione della loro operatività anche alla esecuzione del contratto pubblico, ma, in ogni caso, esse resterebbero eccentriche ed estranee alla gestione patrimoniale del ciclo di vita dei beni e dei cespiti interessati.

Sotto questo profilo, la digitalizzazione del ciclo di vita del contratto pubblico, pone in risalto, da un lato, la necessità, da parte del soggetto delegato, di svolgere un ruolo pieno tra affidamento ed esecuzione del contratto pubblico, ma, da un altro lato, mette in risalto la discontinuità che seguiterebbe a sussistere rispetto alla identità del gestore del patrimonio immobiliare o infrastrutturale interessato.

Il versante della domanda pubblica, assieme all’universo della finanza immobiliare e infrastrutturale, rappresenta, in effetti, il motore primo di una autentica trasformazione digitale, epperò, in entrambi i casi, specialmente nel primo, una proposizione della digitalizzazione parziale e mediata non ha certo giovato.

In definitiva, il cosiddetto BIM è passato nell’immaginario collettivo come sinonimo di un insieme di tecnologie, o meglio, in primo luogo, di una specifica tipologia di strumentazioni, che avrebbe consentito di produrre i cosiddetti modelli, ovvero sia rappresentazioni geometrico-dimensionali, sia pure parametriche, da cui trarre coerenti documenti, anziché come una delle molteplici modalità di configurare dati strutturati, geometrico-dimensionali e alfa-numerici, che consentissero in prospettiva di affrancarsi dalla nozione di documento.

È mancato totalmente il dibattito sul significato del termine «modello», con conseguenze assai discutibili.

Orbene, è ormai difficile, a fronte dei neofiti, sottrarsi a questa interpretazione e a ricondurre alla gestione del dato l’intera faccenda: sarebbe il caso di dire che sia ormai troppo tardi per fare a meno di un acronimo divenuto, per certi aspetti, imbarazzante, nell’accezione di essere ingombrante, se non talora, detto provocatoriamente, ostativo.
Prima di tutto, poi, non si è appieno compreso in che misura la dialettica tra la dimensione orizzontale dell’organizzazione e del portafoglio di progetti dovesse bilanciare quella verticale dei progetti (nell’accezione di Project) e dei relativi procedimenti.

Avere privilegiato la gestione del progetto, slegata da quella di portafoglio e programma, ha fatto sì che venisse meno la migliore interpretazione nei confronti dell’investimento pubblico che, appunto, si concreta nell’equilibrio tra più interventi per fare sì che la finanza e la spesa pubblica siano al servizio delle comunità di riferimento.

A prescindere dalla qualità intrinseca dei capitolati informativi apparsi negli anni, essi letteralmente galleggiano nel vuoto e rischiano di prestarsi a una commedia degli equivoci o delle parti tra domanda e offerta o, comunque, di risolversi in una autoreferenzialità, contrariamente all’impostazione impressa dalla normativa internazionale e sovranazionale della serie UNI EN ISO 19650.

Ciò accade perché una interpretazione angusta del tema, Project-Based, ha oscurato una visione più lungimirante, Organization-Wide.

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Tale serie, peraltro, enfatizzando la priorità da attribuire alla gestione patrimoniale, rimanderebbe obbligatoriamente alla programmazione pluriennale di carattere economico-finanziario e di natura sociale, ormai da declinarsi secondo i Criteri ESG (Environment Social Governance), ben oltre il DNSH (Do Not Significant Harm).

Sfide della digitalizzazione

In altre parole, occorre formalizzare in che modo modelli e strutture di dati determinino la genesi di un investimento pubblico in conto capitale, nell’ottica della spesa corrente che esso andrà a comportare e della tematica relativa all’ammortamento, oltre che consentirne il monitoraggio e la rendicontazione in termini tempestivi e affidabili.

L’obiettivo, a questo punto, non sarebbe solo quello di sottrarre la Gestione Informativa Digitale, agli occhi di coloro che operano nelle amministrazioni pubbliche, a una iconografia basata sulle visualizzazioni tridimensionali di sistemi tecnologici o di altro, ma di fare sì che ciò che si veda siano letteralmente i dati: entro il processo generale di trasformazione digitale delle stesse amministrazioni.

La sfida principale posta dalla digitalizzazione consisterebbe, dunque, nel racchiudere nel linguaggio della centralità del dato una κοινὴ tra saperi e culture eterogenee che convivono nelle amministrazioni pubbliche.

Ecco, allora, che sia assolutamente necessario, per evitare una completa decontestualizzazione degli obblighi legislativi inerenti alla Gestione Informativa Digitale contemplati dal D.Lgs. 36/2023, ovvero dal cosiddetto Codice dei Contratti Pubblici, partire dalle logiche di formazione del bilancio di previsione e del documento programmatico, che, a loro volta, raccolgono l’analisi e la prioritizzazione delle esigenze della collettività di riferimento e delle politiche strategiche volute dalla componente elettiva delle amministrazioni.

Già in questa occasione agevolmente si intuisce che la localizzazione dei bisogni e delle scelte non possa che avvenire geo-spazialmente sul territorio, anche con l’ausilio dei sistemi informativi geografici e satellitari, pure nella modalità tridimensionale.

Si tratta, quindi, di gestire digitalmente, in maniera coordinata, il ciclo di vita dell’investimento economico-finanziario e quello dell’affidamento e della esecuzione del contratto pubblico, di cui CUP e CIG sono acronimi determinanti, sino alla valorizzazione del cespite nell’ottica dell’ammortamento.

È palmare, tuttavia, che un simile approccio non possa essere praticato se non entro un Sistema Organizzativo di Gestione Informativa Digitale, nel quale si sia operata, all’insegna della continuità dei flussi informativi, una stretta integrazione tra saperi e ambito economico-finanziari, giuridico-amministrativi e tecnico-gestionali: tanto più in un contesto in cui cyber sicurezza e intelligenza artificiale dovranno dominare l’ecosistema a tutela e a capitalizzazione del dato.

Si noti bene: l’integrazione delle piattaforme digitali e dei sistemi informativi è reclamata gran voce, a parte ogni riferimento all’e-Procurement o al Common Data Environment, proprio dai responsabili delle attività e delle funzioni economico-finanziarie.

D’altra parte, in assenza di quella pre-condizione, in carenza della esplicitazione dei requisiti informativi organizzativi, patrimoniali e procedimentali, non si potrà mai dare una vera e propria digitalizzazione della istruttoria professionale al singolo investimento pubblico che sia mediata da Quadro Esigenziale (QE), Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali (DOCFAP) e Documento di Indirizzo alla Progettazione (DIP), che, al proprio interno, contiene la prima configurazione del Capitolato Informativo.

Più che la scrittura del Capitolato Informativo, in questo senso, conta la costruzione dei quadri contrattuali.

Ecco, perciò, che assolvere alla cogenza che, dal 01.01.2025, sarà richiesta a stazioni appaltanti e a enti concedenti, non può significare sottoporsi a un esercizio estemporaneo di inclusione nei documenti di gara di un documento settoriale o nella richiesta di certificazioni professionali o societarie, anche perché, ben più che nel Capitolato Informativo, invero risultante di un processo aziendale, conterà costruire nel contratto, o meglio nella rete dei contratti, nelle relazioni tra i contratti, le condizioni opportune in maniera proattiva.

Tra l’altro, ostinarsi a perseguire una strada così ristretta non può che sancire, nel medio termine, la banalizzazione del tema e la sua definitiva neutralizzazione.

Il dominio specifico di applicazione della modellazione informativa è, infatti, quantunque nella sua adozione incrementale, a rimanere un episodio specifico di produzione e di elaborazione di dati in un ambito assai più vasto.

Oltre a tutto, il documento denominato Capitolato Informativo è destinato a divenire uno strumento data-centrico.

Assistere le amministrazioni pubbliche nell’implementazione della Gestione Informativa Digitale richiede, pertanto, di cambiare il paradigma.

Sul tema in oggetto, non a caso, un recente workshop organizzato dallo EU BIM Task Group ha confermato la centralità della gestione del cambiamento e la necessità di procedere a partire da una strategia legata alla intera organizzazione della amministrazione pubblica, sino al punto da ritenere che possa servire un BIM senza geometrie.

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