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Intervista a Domenico Perrini, Presidente Ordine di Bari

Intervista a:
Domenico Perrini
Presidente dell'Ordine degli Ingegneri di Bari

 

 

 

 


Presidente, come stanno gli ingegneri "in città"? Sentono la crisi come nelle grandi aree metropolitane e nelle province?
In un periodo difficilissimo per l’economia del paese gli ingegneri stanno male dappertutto. Risentono della crisi più di ogni altra categoria professionale perché la loro attività è strettamente connessa con l’apparato produttivo. I giovani risultano solo statisticamente occupati, in quanto possessori di partita IVA; in realtà il loro reddito è irrilevante; gli studi e le società di ingegneria, pur continuando a lavorare, risentono della mancanza di liquidità, dovuta ai ritardi di pagamento da parte degli enti pubblici e dei privati, e conseguentemente stanno riducendo i loro organici in modo allarmante.

Con il termine "ingegnere" si riassumono un numero incredibile di specializzazioni: strutturale, geotecnico, chimico, elettrico, informatico ... come fa un Ordine di una grande città, con tanti iscritti, ad operare nel "proteggere la professione" con una variabilità così ampia di argomenti e quindi di esigenze?
Gli Ordini più che proteggere la professione devono attivarsi per consentire agli iscritti di acquisire competenze idonee a immetterli nel mercato del lavoro, tentando di interpretare le esigenze della società civile e dei pochi sistemi produttivi che riescono a sopravvivere.
La riforma del percorso accademico conseguente al DPR 328/01, oltre che il introdurre il nefasto 3+2, ha determinato uno sorta di “anglosassonizzazione” della professione, creando pseudo specialisti con una duttilità assai inferiore a quella in possesso dei laureati quinquennali del vecchio ordinamento, i quali erano molto più facilmente in grado di autonomamente riconvertirsi in relazione alle esigenze del mercato.
Per gli Ordini vi è quindi la necessità di conoscere le competenze dei propri iscritti e, collegandosi con l’apparato produttivo e con le istituzioni accademiche, attivare percorsi che consentano ai giovani iscritti di acquisire conoscenze immediatamente spendibili ed ai colleghi più anziani gli aggiornamenti indispensabili all’esercizio della propria attività sia sotto forma di libera professione che di funzionario o dipendente pubblico o privato.

Come suddetto l'Ordine nasce per "tutelare" la professione. Può farmi qualche esempio su come l'ordine esercita questo suo dovere istituzionale?
Più che per tutelare la professione l’Ordine ha la funzione di controllore l’esercizio corretto della professione. L’Ordine si sforza di assolvere a questo compito vigilando sulle modalità con le quali vengono svolti i servizi di Ingegneria; nel settore pubblico, non senza difficoltà atteso che le Amministrazioni e gli Enti tengono informato il sistema ordinistico, viene esercitato il controllo sulle procedure di aggiudicazione, nel settore privato si esprimono pareri ed interpretazioni normative sulle richieste degli iscritti forniscono.
Una delle critiche più frequenti agli Ordini professionali riguarda il numero ridotto di provvedimenti deontologici presi a carico degli iscritti da parte dei Consigli; se è vero che, sulla base delle indagini statistiche, tale valutazione non è priva di fondamento, è altrettanto vero che i mezzi di indagine a disposizione degli organi giudicanti sono praticamente nulli dovendosi i procedimenti esaurirsi sulla base della documentazione del denunciante e delle controdeduzioni dell’incolpato.

Il suo Ordine come si sostiene? Riceve un sostegno dallo Stato o altre istituzioni per poter effettuare il proprio compito deontologico?
Il mio come tutti gli altri Ordini, si autofinanzia attraverso le quote versate annualmente dai propri iscritti, senza avere alcun contributo né dallo stato né da altri enti pubblici e/o privati.

Si parla oggi molto di valore legale del titolo di studio, di certificazione delle competenze, di abolizione e modifica dell'esame di stato. Cosa ne pensa?
È di tutta evidenza che quando si dequalifica il percorso accademico, si trasformano gli esami in una acquisizione di crediti e si equiparano i titoli di studio regolarmente acquisiti attraverso le università pubbliche con quelli che si ottengono per via telematica la conseguenza è la perdita di credibilità del valore del “pezzo di carta”.
Questa ipotesi, soprattutto per noi pugliesi ed in particolare per quelli di noi che si sono battuti prima per avere la facoltà di Ingegneria e poi il Politecnico a Bari (primo ed unico nel mezzogiorno d’Italia) è del tutto inaccettabile e peraltro in netta contraddizione con la tendenza del nostro mondo globale che mira ad avere poli di eccellenza sempre più qualificati, anche nei paesi anglosassoni, che malamente cerchiamo a volte di scopiazzare. L’interesse della società civile è quello di qualificare sempre la nostra struttura accademica, facendo sì che essa sia il più possibile integrata nel tessuto produttivo anche come centro di ricerca avanzata e di sperimentazione, punto di riferimento delle professioni senza in alcun modo esserne di queste concorrente.

Sul Tirocinio recentemente il presidente del CNI ha espresso una proposta che a noi sembra molto valida: un tirocinio non obbligatorio ma che dia vantaggi per il superamento dell'esame di stato. Qual è la sua opinione?
Il tirocinio, obbiettivamente utile per la comprensione della pratica professionale, non deve assolutamente costituire un ulteriore balzello per rallentare l’accesso; concordando pienamente con il parere espresso dal Presidente del CNI, va studiato un percorso che deve esaurirsi esattamente nel tempo che attualmente si impiega per conseguire l’abilitazione, trasformando quest’ultima in un colloquio professionalizzante che si configuri come sintesi della esperienza maturata.

Tra i temi oggetto di dibattito vi è quello della formazione continua. Cosa ne pensa, si può applicare il modello dei geometri (crediti minimi) o ritiene più utile effettuare scelte diverse?
Ferma restando la valutazione che l’esercizio della professione di Ingegnere comunque comporta la necessità di un aggiornamento continuo, non fosse altro che per stare dietro alle innovazioni normative che, specialmente nel nostro paese si susseguono in modo galoppante ed a volte contraddittorio e che ognuno di noi per rimanere sul mercato necessariamente ha dovuto sempre aggiornarsi, la possibilità che ci possa essere l’opportunità di organizzare una attività di formazione che sia di ausilio all’iscritto per soddisfare alle sue esigenze di aggiornamento non può che vederci favorevoli. E’ di tutta evidenza comunque che la formazione comporta la necessità da parte degli Ordini di conoscere i propri iscritti ed organizzare percorsi che servano per accrescerne le competenze nel settore specifico in cui essi operano; l’acquisizione di crediti da partecipazione a generici convegni ed incontri (modalità utilizzata da altre categorie professionali)non sembra in grado di soddisfare alle esigenze della professione dell’Ingegnere, da sempre abituato alla sostanza più che alla forma.

Vorrei che lanciasse un messaggio a tutti i nostri lettori, su un tema che le è caro.
Il tema che credo interessi ciascuno di noi, anche oltre la crisi economico-finanziaria del nostro sistema paese, è quello della riconquista della “dignità” della professione di Ingegnere. Ognuno di noi deve avere sempre presente che il suo comportamento viene giudicato dalla società civile e che il “ceto” si conserva o si riconquista attraverso gli atti che si compiono quotidianamente in qualsiasi ruolo e compito l’Ingegnere viene coinvolto.