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Interventi edilizi in difformità dalle norme di tutela paesaggistica: niente multa, solo demolizione

Per gli interventi edilizi eseguiti in difformità dalle norme di tutela paesaggistica che producono nuovi volumi, l’art.167 prevede quale unica misura applicabile quella demolitoria

Per gli interventi eseguiti in difformità dalle norme di tutela paesaggistica che producono nuovi volumi, l’art.167 del Testo Unico Ambiente prevede quale unica misura applicabile quella demolitoria, senza possibilità di fiscalizzazione dell'abuso (cioè di sanzione pecuniaria).

Lo ricorda il Consiglio di Stato nella sentenza 6131/2023 dello scorso 22 giugno, che ha come protagonista il ricorso di una società contro il parere contrario sulla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, reso ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5 del d.lgs. 42/2004 dalla Soprintendenza competente.

L'insanabilità in area tutelata comprende anche i volumi tecnici

In primis Palazzo Spada osserva che le opere di cui si discute hanno creato un notevole incremento volumetrico, in un’area – zona costiera – soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.

In considerazione del significativo impatto avuto dagli interventi, l’applicazione della previsione ostativa alla sanatoria postuma si prospettava come unica scelta possibile, in diritto, per la Soprintendenza.

Quanto alla deduzione secondo la quale, trattandosi volumi tecnici, indispensabili alla produzione aziendale avrebbero dovuto essere sottratti alla previsione ostativa della citata lett.a), vale innanzitutto osservare che la maggioritaria giurisprudenza amministrativa (tra le altre, Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578, Sez. VI 26 marzo 2013 n.1671 ) ritiene che l'art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004 non consenta di sanare le opere edilizie che abbiano comportato l'aumento di volumi, ivi compresi quelli tecnici.

La tolleranza del 2% non si può applicare perché intervenuta successivamente

La parte forse più interessante della pronuncia è quella che 'risponde' al quarto motivo di appello, col quale si contesta che, per la loro modesta entità, inferiore al 2% dell’intera superficie assentita per l’attività industriale, gli interventi in contestazione avrebbero dovuto essere ricompresi nella nozione di “tolleranze edilizie”, e, qualificati quali lievi difformità dal titolo abitativo, avrebbero al più dovuto essere sanzionati con la misura pecuniaria.

Ma - osserva il Consiglio di Stato - la nozione di tolleranza edilizia era ignota al dato positivo vigente al momento in cui è stato emesso il parere.

Essa, insieme al limite del 2% abusivo rispetto all’edificato assentito, è stata successivamente introdotta dal DPR 31/2017 (cd. autorizzazione paesaggistica semplificata), testo non applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Nuovi volumi in difformità dalle norme di tutela paesaggistica: demolizione obbligatoria

Al momento in cui la Soprintendenza ha emesso l’atto impugnato, la categoria vagamente assimilabile a quella di cui al motivo, era quella degli interventi in difformità, per sanzionare i quali, l’art.34 T.U. edilizia prevede la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria alternativa, in sostituzione di quella demolitoria.

Ma al contrario, per gli interventi eseguiti in difformità dalle norme di tutela paesaggistica che producono nuovi volumi, l’art.167 del d.lgs. 42/2004 prevede quale unica misura applicabile quella demolitoria.

Ma la parziale difformità?

Palazzo Spada chiude osservando che, "anche a voler ritenere applicabile la fattispecie di cui all’art.34 citato, va ricordato che il ricorso a detta misura rappresenta una scelta eccezionale che l’amministrazione, nella sua discrezionalità tecnica, può adottare, a condizione, peraltro che ricorra il presupposto del pregiudizio che deriverebbe alle altre parti dell’immobile, regolarmente realizzate, in caso di demolizione".

Nel caso di specie, il detto presupposto non potrebbe comunque sussistere considerando che i singoli interventi, come già osservato, hanno piena autonomia funzionale. Senza considerare che il relativo potere non spetterebbe mai alla Soprintendenza, ma all’autorità competente al rilascio del permesso di costruire (cioè il comune).

L'invocata misura è applicabile al caso di errori tecnici commessi nella fase realizzativa di un fabbricato regolarmente assentito, mentre qui viene invocata per sanzionare interventi successivi all’originario edificato, e neppure connessi a questi ultimi, quindi mancherebbero i presupposti fondamentali per l’operatività della norma.

In ogni caso, concedere la tolleranza sarebbe difficile

Infine – anche a voler ritenere retroattivamente applicabili le previsioni di cui al citato DPR 31/2017 – concedere la cd. tolleranza agli interventi in contestazione sarebbe quanto meno discutibile, considerati, da un lato, i volumi e le superfici degli innesti in contestazione, e dall’altro la circostanza – ricordata dalla resistente in primo grado e non contestata ex adverso – che, nel calcolare che la superficie abusivamente realizzata si è mantenuta nel 2% dell’intero edificato, la parte appellante non ha considerato ulteriori 10 manufatti abusivamente realizzati, cioè in pratica ha alterato i parametri presupposti dalla sua richiesta.

Oltre a non essere pertinenziali ad immobili, quegli interventi presentano una loro autonomia funzionale, hanno una cospicua consistenza materiale (volumi 617,47 mc; superfici utili mq 282,6 mq) e infine hanno prodotto un consistente aumento di carico edilizio e forte impatto visivo con conseguente certo pregiudizio del bene tutelato, dunque davvero non si comprende come potere ad essi applicare la suddetta qualificazione.


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