Ingegneria: sperimentazione sul campo, elemento fondamentale per l’innovazione e la formazione
Il nostro Editore e Direttore Andrea Dari ha intervistato il professor Giuseppe Andrea Ferro, il quale ha affrontato la tematica della ricerca universitaria nell'ingegneria civile.
Auspicata una riorganizzazione dei servizi di ingegneria, rivedendo in particolare codice appalti, il sistema fiscale e quello previdenziale.
I docenti universitari di oggi sono molto preparati dal punto di vista teorico ma poco da quello pratico
Andrea Dari:
Professore, nell’ambito dell’ingegneria civile quanto è importante per la qualità didattica che il professore svolga anche un’attività di ricerca?
Giuseppe Andrea Ferro:
Facciamo una dovuta premessa: i docenti universitari, a prescindere dal settore di competenza, devono svolgere attività di ricerca. È una delle tre missioni che l’università si pone: didattica, ricerca e trasferimento tecnologico.
Questo differenzia la docenza universitaria dalla docenza scolastica.
Fare ricerca è di fondamentale importanza per permettere di trasferire innovazione agli allievi e di aggiornare in continuo la didattica stessa. Mi viene in mente una canzone di Antonello Venditti, compagno di scuola, che all’inizio dice: “… il professore che ti legge sempre la stessa storia nello stesso modo, sullo stesso libro con le stesse parole da quarant'anni di onesta professione.”
Ovviamente, soprattutto oggi, ciò non sarebbe per nulla ammissibile. Fare ricerca per un docente universitario serve, appunto, anche a innovare continuamente la propria didattica.
Andrea Dari:
L’attività di ricerca nell’ambito dell’ingegneria civile può essere solo di tipo scientifico e/o teorico?
Giuseppe Andrea Ferro:
Un serio problema che sta emergendo negli ultimi anni e che è legato alle regole di reclutamento dei docenti legati alla “qualità dei titoli” è che per poter fare carriera bisogna produrre prodotti scientifici quantizzabili.
Mi spiego meglio: nei concorsi vengono valutati gli articoli scientifici scritti dai candidati.
Una volta, prima dell’avvento delle banche dati, la produzione scientifica era più limitata e si aveva la possibilità di valutare la qualità della ricerca, la congruenza al settore scientifico disciplinare, il suo impatto e l’innovatività. Oggi si fa lo stesso ma, anche per un aumento della competitività, ci si basa molto di più su una serie di indici tecnici legati alla numerosità e al numero delle citazioni scientifiche.
Ciò ha portato a una nuova generazione di docenti, molto preparati dal punto di vista teorico, ma poveri di esperienze pratiche.
Una volta i professori universitari nell’ambito dell’ingegneria civile erano dei grandissimi progettisti. Oggi se in parallelo fai attività professionale vieni visto molto male dall’Accademia.
La domanda da porsi è la seguente: vi fareste mai operare da un chirurgo professore universitario che ha un indice di pubblicazioni altissimo ma che non ha mai operato? La realtà è che probabilmente bisognerebbe rivedere le regole di ingaggio e introdurre altri parametri nella valutazione dei futuri docenti universitari.
Andrea Dari:
Un’attività di ricerca nell’ambito dell’ingegneria civile in campo reale può portare a vantaggi diretti anche per la collettività?
Giuseppe Andrea Ferro:
La buona ricerca porta sempre dei vantaggi diretti per la collettività.
Pensi solo allo sviluppo dei codici di calcolo che dagli anni ‘70 in poi hanno cambiato il modo di progettare. Alla base c’è stata una riformulazione teorica della teoria dell’elasticità in forma matriciale. Questa si può considerare ricerca di base.
Ma esiste anche una ricerca ancora più applicativa legata allo sviluppo di nuovi materiali e di modelli teorici con cui governarli, di nuove tecniche per il monitoraggio delle strutture esistenti, e potrei continuare all’infinito. La realtà purtroppo è che la ricerca nell’ambito della ingegneria civile non è finanziata alla pari di altre branche dell’ingegneria.
Andrea Dari:
Un’attività di ricerca nell’ambito dell’ingegneria civile in campo reale corre il rischio di diventare una sorta di servizio in concorrenza con i professionisti privati o è un supporto per lo svolgimento di queste attività?
Giuseppe Andrea Ferro:
Vivendo in un politecnico, a differenza delle università dove all’interno ci si confronta con discipline differenti, posso constatare come, oltre a essere poco finanziata, la ricerca in ingegneria civile sconta altre problematiche. I colleghi dei settori meccanico, energetico, informatico etc sono spesso consulenti di grandi aziende e riescono a gestire contratti estremamente importanti.
In ingegneria civile purtroppo qualunque consulenza venga presa a livello di ricerca viene sempre vista come concorrenza contro i professionisti. Il mondo ordinistico purtroppo è troppo legato al settore civile, essendo praticamente il solo ambito in cui risulta necessaria l’iscrizione con assunzione diretta delle responsabilità. In teoria gli ordini professionali hanno come missione la tutela del cittadino rispetto, nel caso degli ingegneri, alle attività ingegneristiche svolte dagli iscritti.
Si tratta soprattutto di rispetto della deontologia professionale.
Qualcuno dovrebbe spiegare il motivo per cui un ingegnere civile che firma il calcolo della copertura di un fienile debba obbligatoriamente essere iscritto all’ordine mentre chi progetta un aereo o una macchina no. Si dirà: “ma cosa c’entra?” Il progetto di un aereo o di una macchina viene sviluppato da grandi aziende. Quindi in quel caso si tratta di dipendenti anche se ingegneri. Ma anche i medici ospedalieri sono dei dipendenti (dirigenti, per la precisione) ma devono in ogni caso essere iscritti all’Ordine dei Medici per poter svolgere la loro attività lavorativa.
Quando in pandemia si è presentato il problema dei medici no vax, non sono intervenute le ASL, datrici di lavoro, ma direttamente l’Ordine dei Medici.
Il mondo della professione dell’ingegneria civile ha bisogno di un profondo cambiamento a livello organizzativo. Non è pensabile oggi che questo mondo abbia strutture con un numero di dipendenti prossime all’unità. Un modello di questo tipo funzionava negli anni 60-70. Oggi no.
Bisogna far crescere la dimensione delle società di ingegneria assumendo o rendendo partner gli ingegneri che ci lavorano e non continuare con le finte partire iva, comode a tutti perché, dal lato fiscale, a quello si vuole spingere. Strutture piccole non possono, tranne nicchie specialistiche particolari, garantire la qualità di grandi società. Inoltre, con dimensioni ridotte risulta difficile fare anche innovazione e ricerca all’interno di tali società.
In tal senso le università hanno mostrato maggiore lungimiranza nel nostro settore unendosi in consorzi proprio per poter aumentare la massa critica e mettere insieme le forze per aiutare il Paese in questo delicato momento.
Andrea Dari:
Un’attività di ricerca nell’ambito dell’ingegneria civile in campo reale può essere di supporto alla PA per la formazione del proprio personale?
Giuseppe Andrea Ferro:
L’esperienza che il consorzio Fabre (consorzio che vede 10 università fondatrici e 15 successivamente aggiunte) sta portando avanti per formare gli ispettori ANAS verso l’adozione delle nuove linee guida per le ispezioni dei ponti esistenti si sta dimostrando estremamente utile al sistema Italia. Anche in ambito locale mi è capitato di lavorare con enti proprio per organizzare e pianificare metodologicamente ispezioni su edifici esistenti previa formazione dei tecnici.
Le università dovrebbero essere sempre meno distanti e maggiormente attente alle problematiche della società. Poi, nel settore dell’ingegneria civile, non dimentichiamoci la progressiva e sistematica distruzione degli uffici tecnici legata spesso a necessità di economia di bilancio che alla lunga ha impoverito quasi tutte le amministrazioni pubbliche.
Oggi con il rilancio delle opere pubbliche legate al PNRR gli enti locali stanno disperatamente provando ad assumere ingegneri civili per poter seguire i lavori, ma stanno trovando molte difficoltà risultando poco appetibili rispetto ad altre occupazioni ma anche, e soprattutto, per il clamoroso decremento dei neo laureati in tale disciplina.
Andrea Dari:
A livello internazionale vi sono collaborazioni Pubblico/Università finalizzate nell’ambito della ricerca?
Giuseppe Andrea Ferro:
Assolutamente sì. Mi ricordo che anni fa, durante un congresso di meccanica della frattura su calcestruzzi, i colleghi francesi esposero i risultati di una ricerca finanziata da EDF (l’ENEL francese) che, dovendo gestire la manutenzione delle centrali nucleari, affidò alle più importanti università del Paese uno studio specifico su alcune problematiche che si stavano manifestando nelle centrali nucleari.
Durante il congresso vennero discussi i risultati ottenuti da ciascuna sede confrontando le diverse metodologie utilizzate. Ma questo è solo uno dei tanti esempi.
All’estero, in particolare nel mondo anglosassone, dove esistono società di ingegneria di dimensioni ciclopiche rispetto all’Italia, non esiste questo problema di concorrenza tra università e mondo professionale. Alle università pubbliche si ricorre, anche e soprattutto, perché dovrebbero essere più libere e terze nell’affrontare problematiche delicate anche di impatto sociale.
Andrea Dari:
Nei congressi scientifici internazionali quante relazioni provengono da sperimentazioni PA/Università e quanto sono utili per una crescita tecnico culturale dei settori in cui si svolgono?
Giuseppe Andrea Ferro:
Capita molto spesso, soprattutto nei congressi a tematiche maggiormente applicative, di assistere a presentazioni di casi studio commissionati da PA. Ovviamente meno nel caso di congressi relativi a temi più teorici. Basti pensare a tematiche legate alla salvaguardia del territorio in campo idraulico. In certi ambiti la crescita tecnico-culturale è di grandissimo impatto. Stessa cosa per la riduzione del rischio sismico su scala territoriale. Spesso sono proprio i risultati di collaborazioni tra PA e università che dettano norme e regolamenti.
La mia opinione potrebbe sintetizzarsi così: il mondo dei servizi di ingegneria dovrebbe andare incontro a una profonda riorganizzazione.
Tale riorganizzazione ovviamente dovrebbe coinvolgere tutti gli attori dalla politica in senso stretto, alle pubbliche amministrazioni sino ai professionisti. La concorrenza che ha incattivito e irrigidito i rapporti tra tutti è figlia di una carenza di offerta lavorativa che ha afflitto il settore delle costruzioni negli ultimi trent’anni. Tale concorrenza, legata anche a un codice degli appalti particolarmente poco illuminato, ha drasticamente ridotto i compensi professionali a scapito della qualità della progettazione.
È una guerra tra poveri. Il boom degli incentivi edilizi ha finalmente fatto vedere a qualcuno parcelle professionali quasi umane. Il mio pensiero è che per riorganizzare i servizi di ingegneria bisogna rivedere il codice degli appalti, ripensare al sistema fiscale e previdenziale in modo da favorire le aggregazioni invece di penalizzarle come avviene oggi.
Questo alla lunga dovrebbe permettere al sistema Italia anche di poter competere all’estero, competitività che oggi, a parte casi molto sporadici, nel settore dei servizi di ingegneria civile è quasi assente.
Professione
Nel topic "Professione" vengono inserite le notizie e gli approfondimenti su quello che riguarda i professionisti tecnici. Dalla normativa, i corsi di formazione, i contributi previdenziali, le tariffe delle prestazioni e tutte le novità sulla professione.
Università
News, approfondimenti sul tema delle università, la raccolta di dati, statistiche e corsi accademici di interesse.
Condividi su: Facebook LinkedIn Twitter WhatsApp