Impiego di macrofibre plastiche nel calcestruzzo
L’utilizzo di fibre nel calcestruzzo è argomento sempre di maggiore interesse nel mondo delle costruzioni e questo fa da stimolo per la ricerca sia in ambito tecnologico che normativo.
Tra gli articoli pubblicati nelle riviste scientifiche indicizzate ne ho trovato uno molto interessante “Use of macro plastic fibres in concrete” a firma di ricercatori cinesi e australiani e per quanto scritto ritengo utile riportarne gli elementi essenziali per una diffusione a livello italiano e commentarne i risultati.
Un confronto tra fibre in polipropilene vergine o polipropilene riciclato (PP), polietilene ad alta densità (HDPE), polietilene tereftalato (PET).
L’articolo illustra l’impiego di diversi tipi di fibre plastiche nel calcestruzzo: polipropilene vergine o polipropilene riciclato (PP), polietilene ad alta densità (HDPE), polietilene tereftalato (PET).
Impiego di macrofibre plastiche nel calcestruzzo (Use of macro plastic fibres in concrete)
Shi Yin a, Rabin Tuladhar a, Feng Shi b, Mark Combe c, Tony Collister c, Nagaratnam Sivakugan a
a College of Science, Technology & Engineering, James Cook University, QLD 4811, Australia
b School of Materials Science and Engineering, Beijing Institute of Petrochemical Technology, Beijing 100000, China
c Fibercon, QLD 4051, AustraliaContents lists available at ScienceDirect
Construction and Building Materials
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Corresponding author.
E-mail address: rabin.tuladhar@jcu.edu.au (R. Tuladhar).
Dopo una breve descrizione di ognuna di queste tipologie di fibre, gli autori passano in rassegna le caratteristiche prestazionali che contraddistinguono le varie fibre.
Le fibre di tipo PP, infatti, presentano un’alta resistenza all’ambiente alcalino della pasta di cemento, un’elevata resistenza a trazione e un alto valore del modulo elastico, mentre di contro il loro basso peso specifico e le basse proprietà idrofile conferiscono una non trascurabile tendenza al galleggiamento e impattano negativamente sul mantenimento di lavorabilità del calcestruzzo.
Le fibre di tipo HDPE presentano valori di peso specifico e di bagnabilità più alti ma valori di resistenza a trazione più bassi, tanto da non risultare raccomandabili per il loro impiego in calcestruzzo.
Le fibre di tipo PET mostrano i valori migliori di peso specifico, bagnabilità, resistenza a trazione e modulo elastico, tuttavia la loro resistenza in ambiente alcalino sembra non essere ottimale.
Ne deriva pertanto che le fibre di tipo PP sono quelle più largamente utilizzate nel calcestruzzo per i loro vantaggi sia tecnici che economici mentre le fibre di tipo PET sono oggetto di studi e ricerche che potrebbero portare presto a sviluppi interessanti.
L’articolo, quindi, continua descrivendo le caratteristiche allo stato fresco (lavorabilità, ritiro plastico) e le prestazioni meccaniche (resistenza a compressione, resistenza a trazione indiretta, resistenza a flessione) di calcestruzzi confezionati in laboratorio con diversi dosaggi di fibre PP (da 3,3 a 15 kg/m3) di diverse geometrie (fibre a sezione circolare 0,9mm di diametro e 50mm di lunghezza e fibre a sezione rettangolare 0,44mm di diametro equivalente e 40mm di lunghezza). I risultati evidenziano un drastico miglioramento della resistenza a trazione e un netto miglioramento della duttilità anche in compressione, con un dosaggio di 4,2 kg/m3.
Per quanto riguarda il comportamento post fessurativo, gli autori mettono in evidenza il miglior comportamento del test a flessione su piastra RDPT secondo norma ASTM C 1550 rispetto al test classico eseguito secondo C-MOD in accordo alla norma EN 14651:2005 + A1:2007.
Infatti il test su piastra sembra essere molto più rappresentativo delle modalità di rottura reali che si verificano sia su lastre di pavimentazione che su conci di galleria o su rivestimenti di galleria gettati in opera. Dai risultati dei test su piastra comparando calcestruzzi rinforzati con fibre di acciaio (35 kg/m3) di diametro 0,6mm e lunghezza 30mm, fibre in PP (7,8 kg/m3) di diametro 0,9mm e lunghezza 30mm e calcestruzzo con rete di armatura Ø8mm e maglia 150mm si può notare un miglior risultato con le fibre in PP rispetto alle fibre in acciaio con un incremento del valore di energia assorbita nella fase di post-fessurazione.
L’articolo poi prosegue analizzando altri parametri come il carico allo sfilamento e il ritiro da essiccamento. In particolare per il ritiro da essiccamento, verificato tramite ASTM C157, si evidenzia il positivo contributo alla riduzione dell’ampiezza delle fessure e dell’aumento del tempo di apparizione delle fessure di un calcestruzzo fibrorinforzato con 1,9 kg/m3 (ampiezza delle fessure 0,15mm) di fibre PP rispetto ad un calcestruzzo senza fibre (ampiezza delle fessure 0,3mm).
Un commento alla ricerca e ai risultati ottenuti
L’articolo riporta un interessante riepilogo delle caratteristiche tecniche di vari tipi di fibre plastiche da utilizzare in calcestruzzi fibrorinforzati. Correttamente gli autori evidenziano l’impiego delle fibre in polipropilene vergine o riciclato come il tipo di fibre oggi più largamente diffuso e disponibile sul mercato.
Per quanto riguarda i risultati delle prove di resistenza a flessione e di tenacità in fase di post-fessurazione, i risultati migliori si ottengono con calcestruzzi il cui dosaggio di fibre è sempre piuttosto elevato. D’altra parte, questi risultati non sono supportati da test di lavorabilità sui calcestruzzi impiegati con tali dosaggi di fibre e pertanto le prove andrebbero completate con informazioni relative alla effettiva facilità di posa in opera di tali miscele.
Il suggerimento, da parte degli autori, di utilizzare il test della prova di flessione su piastra anziché il test classico su travetto sembra effettivamente essere più rappresentativo di strutture quali le pavimentazioni industriali in calcestruzzo fibrorinforzato e i conci prefabbricati usati come rivestimento definitivo nelle gallerie.
Sicuramente l’impiego della prova su piastra andrebbe valutato in sede normativa re implementato da test effettuati sia da laboratori di ricerca indipendenti che da laboratori di ricerca di aziende produttrici. Infine, anche la capacità di riduzione del ritiro da parte delle fibre andrebbe maggiormente verificata attraverso test che simulino il ritiro contrastato e non soltanto il ritiro libero come quello che si misura attraverso la norma ASTM C157. A tale scopo sarebbe opportuno verificare l’efficacia delle fibre nella riduzione del ritiro anche mediante l’utilizzo del Ring-Test, metodologia sicuramente più opportuna per questo tipo di valutazione.