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IMMOBILI VINCOLATI di competenza degli ARCHITETTI: il parere del prof. Della Torre

le regole non dovrebbero più discriminare l’abilitazione a operare sui beni culturali sulla base della laurea e dell’appartenenza ordinistica, ma di una certificazione delle competenze specifiche

IMMOBILI VINCOLATI DAI BENI CULTURALI di competenza degli ARCHITETTI

Il Consiglio di Stato ha confermato l'esclusione degli ingegneri dall'attività di edilizia civile su immobili vincolati appartenenti al patrimonio artistico, riservando questa attività quindi agli architetti e lasciando agli ingegneri la possibilità di occuparsi solo della «parte tecnica».

Abbiamo volutoo chiedere un parere al Prof. Stefano Della Torre, Direttore del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano ed esperto in materia.

 

La sentenza del Consiglio di Stato, se chiude una lunga controversia, non mi sembra sgombri il campo da alcune riflessioni che in questi anni sono emerse.

Alcune considerazioni dei Giudici, come quella sulla multidisciplinarità dell’ufficio di direzione lavori, sono condivisibili in quanto riflettono una evoluzione disciplinare che, forse, andrebbe tenuta presente più in generale.
 
Quale pratica del restauro ispirava la riserva agli architetti della legge del 1925? Quella antecedente sia la Carta del restauro del 1932 che la nascita delle moderne facoltà di architettura. Una prassi quindi ancora legata ad un’idea “artistica” dell’intervento sui monumenti e alle competenze di un architetto formato in accademia.
 
Oggi il restauro, diretto a obiettivi di conservazione, è disciplina assai più complessa, che richiede competenze diversificate anche solo per svolgere la regia delle professionalità coinvolte. Questo vale in tutte le fasi: dalla programmazione alla progettazione, alla direzione del cantiere, alla gestione.
 
Si può quindi legittimamente dubitare che il titolo rilasciato sulla base di un percorso quinquennale sia sufficiente per tale compito. Nei fatti, l’esperienza quotidiana dimostra che la maggior parte degli architetti non ha per il restauro come lo si pratica oggi adeguate competenze tecniche e culturali.
 
D’altra parte, i percorsi formativi nelle scuole d’architettura consentono di acquisire alcune basi strettamente necessarie per l’approccio ai beni culturali, ma spesso non la sensibilità adeguata per sviluppare tali presupposti. Viceversa, le Scuole di specializzazione in restauro , o dei master post laurea, possono ammettere degli ingegneri, che alla fine del percorso di terzo livello hanno acquisito competenze specifiche ben superiori a quelle dell’architetto medio.

Dal punto di vista dell’interesse pubblico generale, ovvero del patrimonio “bene comune”, le regole non dovrebbero più discriminare l’abilitazione a operare sui beni culturali sulla base della laurea e dell’appartenenza ordinistica, ma di una certificazione delle competenze specifiche. Sarebbe certo molto selettivo e quindi impopolare, ma si potrebbe forse così rendere meno faticoso il lavoro delle Soprintendenze, con qualche vantaggio sia per la qualità delle opere di conservazione sia, e non è trascurabile, sui tempi di cantierizzazione.