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Immobili patrimonio e deduzione delle spese di manutenzione ordinaria

In merito all’individuazione delle spese di manutenzione ordinaria, si deve aver riguardo soltanto a quelle individuate nell’articolo 3, comma 1, lett. a), del Testo Unico Edilizia.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 90 Tuir, gli immobili non strumentali (cd. “patrimonio”) detenuti dalle imprese concorrono alla formazione del reddito d’impresa secondo le regole stabilite per i redditi fondiari (ovvero in base all’articolo 70, comma 2, Tuir, se ubicati all’estero).

Gli immobili patrimonio, al pari di quelli strumentali per natura e per destinazione, producono reddito d’impresa, ma non in base alle regole contabili, ma secondo quanto previsto per i redditi fondiari.

È, quindi, necessario procedere come segue:

  • “pulire” il conto economico, effettuando una variazione in aumento dei costi riferiti a tali immobili (ammortamenti, spese di gestione, ecc.) ed una in diminuzione per eventuali proventi (canoni di locazione);
  • effettuare una variazione in aumento per l’importo più elevato tra la rendita catastale rivalutata ed il canone di locazione, quest’ultimo ridotto di un importo massimo pari al 15% se sono state sostenute e documentate spese di manutenzione ordinaria.

Le regole per la deduzione del canone di locazione

Ciò significa che, a differenza di quanto previsto per le persone fisiche, la deduzione del canone di locazione non è forfettaria, bensì analitica e subordinata alla dimostrazione dell’effettivo sostenimento di costi per la manutenzione ordinaria, ed entro il predetto limite del 15% (circolare n. 10/E/2006).

Le spese di manutenzione ordinaria

In merito all’individuazione delle spese di manutenzione ordinaria, la circolare Assonime n. 54 del 7.10.2005, ha precisato che si deve aver riguardo soltanto a quelle individuate nell’articolo 3, comma 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, secondo cui rientrano in tale ambito le spese relative alle “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edificinecessarie “ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”.

Si osserva che, nella prassi, tali spese sono sostenute dal conduttore e non dal locatore, ragion per cui nella maggior parte dei casi l’importo che concorre alla formazione del reddito d’impresa è pari all’intero canone di locazione (se più elevato della rendita catastale rivalutata).

L’articolo 1576 cod. civ. pone a carico del locatore l’obbligo di eseguire, durante la vigenza del contratto di locazione, tutte le riparazioni necessarie per il mantenimento in buono stato del bene immobile, fatta eccezione per le piccole spese di manutenzione che rimangono a carico del conduttore.

Nella già citata circolare n. 10/E/2006, l’Agenzia delle entrate ha precisato che se le parti stabiliscono nel contratto di locazione che le spese di manutenzione ordinaria sostenute dal locatore sono riaddebitate al conduttore, il locatore stesso non potrà scomputare tali spese, sia pure nei limiti del 15%, dal canone in quanto non sono rimaste a suo carico.

Inoltre, qualora in un periodo d’imposta le spese di manutenzione ordinaria sostenute dal locatore siano superiori al 15% del canone, l’eccedenza non potrà essere dedotta nemmeno nei successivi esercizi.

Va osservato che gli immobili “patrimonio”, pur concorrendo alla formazione del reddito d’impresa secondo le regole dei redditi fondiari, rientrano nella categoria dei beni plusvalenti in quanto diversi dai beni merce.

Pertanto, laddove siano oggetto di cessione, si realizza una plusvalenza o una minusvalenza, per la cui determinazione è necessario tener conto della mancata deduzione delle quote di ammortamento durante il periodo di possesso.

Ne deriva che il costo fiscale di tali immobili è più elevato rispetto al valore contabile (se sono stati imputate quote di ammortamento in base ai principi contabili), con conseguente minor plusvalenza o maggiore minusvalenza.

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