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Il soppalco di 60 metri quadri con travi in ferro e cemento è una ristrutturazione edilizia

Consiglio di Stato: un soppalco di 5 vani per una superficie totale di 60 mq è una ristrutturazione edilizia e richiede un titolo edilizio legittimante

Oggi parliamo di soppalchi. Assieme alle tettoie e ai gazebo, sono senz'altro tra le opere edilizie più gettonate.

Nel caso della sentenza 7817/2021 del Consiglio di Stato, ci troviamo di fronte a un soppalco il cui condono è stato annullato in autotutela dal comune, sul presupposto dell’esistenza di un vincolo storico-ambientale non dichiarato dall’appellante nella autocertificazione.

In data 10 marzo 2010 veniva, altresì, notificata all’appellante la disposizione dirigenziale con cui si ordinava, ai sensi dell'art. 33 del Testo Unico Edilizia, il ripristino dello stato dei luoghi mediante eliminazione di un soppalco.

Il provvedimento traeva origine dal verbale di sopralluogo della Polizia municipale in cui si dava atto del rinvenimento di un soppalco con travi di acciaio e cemento di 60 mq, impostato a 2,25 metri dal calpestio e a 2,30 metri dalla copertura. Ne scaturiva anche un decreto di sequestro preventivo che veniva successivamente revocato a seguito di archiviazione del relativo procedimento penale.

Entrambi i provvedimenti sopra indicati (l’annullamento in autotutela del condono e l’ordine di demolizione) sono contestati dalla ricorrente proprietaria dell'appartamento. Vediamo le decisioni del Consiglio di Stato, tutte piuttosto interessanti e specifiche.

 

Vincolo storico ambientale e interpretazione del termine "villa"

Con i primi due motivi di appello, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il vincolo posto con decreto n. 461/2009, successivamente annullato, in relazione all’immobile per cui è causa, a seguito di ricorso al TAR della medesima appellante, fosse meramente ricognitivo e novativo di un vincolo preesistente che comprendeva l’intero complesso residenziale denominato “Villa Belvedere”.

Ma in realtà - fa notare Palazzo Spada - l'esame della documentazione conferma l’esistenza di un vincolo storico e architettonico sul complesso residenziale denominato “Villa Belvedere” già in data antecedente all’emanazione del decreto n. 461/2009, successivamente annullato in sede giurisdizionale.

Il Consiglio di Stato si spinge oltre, precisando che:

  • la legislazione in materia (legge 1089/1939, d.lgs 490/1999, d.lgs 42/2004) conferma l’interpretazione estensiva del termine “villa” che non si esaurisce nell’edificio principale, ove era ubicata la residenza dell’originario proprietario, ma ha un significato più ampio e articolato, identificando un bene che, pur essendo composto da una pluralità di edifici e fondi tra loro nettamente distinti sul piano fattuale (la residenza principale, le pertinenze, i locali di servizio e di rappresentanza, i parchi e i giardini), deve essere inteso giuridicamente come unitario in quanto espressivo, nel suo insieme, di un rilevante valore storico e culturale;
  • il particolare interesse sul piano storico e architettonico non può, quindi, che afferire alla villa intesa come complesso unitario, che non si identifica e non si risolve nella semplice sommatoria dei singoli elementi che la compongono, esprimendo un quid pluris di valore che rappresenta l’oggetto della tutela: da ciò discende che il vincolo, che quell’interesse mira a preservare, deve investire il bene nella sua unitarietà.

Ne deriva che la previsione contenuta nell’art 10, comma 4, lett f) d.lgs. 42/2004 si colloca sulla scia della disciplina previgente, a conferma della costante considerazione, ai fini della protezione artistico-architettonica, della villa come complesso unitario.

In considerazione della disciplina richiamata e della finalità ad esso sottesa, i decreti del 1924, che indicano come oggetto di vincolo la Villa Belvedere, non possono che riferirsi all’intero complesso monumentale, e non al solo edificio principale, come correttamente osservato dal giudice di primo grado.

Il soppalco di 60 metri quadri con travi in ferro e cemento è una ristrutturazione edilizia

Condono edilizio non valido senza parere della Sovrintendenza

Con il terzo motivo di appello l’appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimo l’ordine di demolizione pur in presenza di un valido ed efficace provvedimento di condono.

Ma - osserva Palazzo Spada - il provvedimento di condono non poteva considerarsi validamente rilasciato a causa della mancanza del necessario parere della Sovraintendenza.

Il rilascio del provvedimento di sanatoria, infatti, è subordinato al parere vincolante dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Il previo rilascio del parere è espressamente imposto dall’art 32 della legge 47/1985 che statuisce, al primo comma, che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” e, al quarto comma, che “il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.

Quindi: il parere della Sovraintendenza è, per espressa previsione di legge, necessario e vincolante, con la conseguenza che la mancanza o il contenuto non favorevole dello stesso rendono il diniego di condono un atto dovuto (Cons. Stato Sez. VI, 04/03/2019, n. 1483; Cons. Stato Sez. IV, 27/07/2018, n. 4611; Cons. Stato Sez. V, 27/05/2014, n. 2696).

 

Il soppalco della discordia

L'ordine di demolizione trae il proprio fondamento non dall’annullamento in autotutela del condono, ma dagli abusi accertati dalla Polizia municipale nel verbale di sopralluogo, da cui emerge la realizzazione di opere difformi rispetto a quelle indicate nell’istanza di condono e sfornite del prescritto permesso di costruire (pur trattandosi di interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art 3 comma 1 lett d) dpr 380/2001), oltre che dei requisiti di abitabilità di cui al D.M. 5.07.1975.

Si trattava, tra l'altro, di un un soppalco di 60 metri quadri impostato a metri 2,25 dal calpestio e metri 2,30 dalla copertura, realizzato in acciaio e cemento.

La richiesta di sanatoria era stata presentata un “soppalco in muratura realizzato nella maggiore altezza degli ambienti”, opera che non coincide con il soppalco che la Polizia municipale ha accertato essere in fase di realizzazione nel corso del sopralluogo.

Le due opere sono indubbiamente diverse sia per consistenza che per estensione:

  • il soppalco oggetto di condono è in muratura, mentre il soppalco in corso di realizzazione al momento del sopralluogo è realizzato con travi in acciaio e in cemento;
  • il primo ha una estensione pari 43,18 mq (cfr. prot. n. 379291 del 14.05.2013 del servizio antiabusivismo e condono edilizio del comune, nonché l’allegata documentazione di pagamento dell’oblazione, depositati dal Comune in primo grado in data 30.05.2013 nel fascicolo RG 5262/2010), mentre il secondo è di 60 mq, realizzato su quasi tutta la superficie dell’immobile, pari a complessivi 80 mq.

La diversa data di realizzazione, le diverse caratteristiche e la diversa estensione dei manufatti escludono che il più recente rientri tra le opere oggetto del provvedimento di sanatoria, sicché non ha pregio l’assunto difensivo secondo cui l’intervento era legittimo, in quanto sorretto da un titolo valido ed efficace.

 

Abitabilità e condonabilità: non c'è correlazione automatica

Quanto all’inosservanza del requisito di altezza minima imposto dal D.M. 5.07.1975, del pari indicata nell’ordine di demolizione quale ulteriore profilo di irregolarità dell’opera, la preesistenza della stessa rispetto all’istanza di condono, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’appellante, non è idonea a determinarne la sanatoria, in quanto l'istanza di sanatoria non può essere concessa qualora non siano rispettate quelle disposizioni di rango primario in ordine alla presenza di un limite invalicabile di altezze a tutela del diritto della salute la cui mera specificazione è rimessa ad una fonte di rango secondario, ossia al D.M. 5 luglio 1975. (Cons. Stato, sez VI, 29/10/2021 n. 7285), sicché deve “essere esclusa la configurabilità di un’automatica corrispondenza tra condono ed abitabilità”.

 

Soppalco con travi in acciaio e cemento: è ristrutturazione edilizia

Un soppalco con travi in acciaio e in cemento armato di 60 mq cosa configura? Una ristrutturazione edilizia comportante un organismo edilizio in parte diverso da quello precedente, con aumento degli spazi abitabili e della superficie calpestabile e, quindi, necessitanti di permesso di costruire ai sensi dell’art 10 dpr 380/2001, anche nella versione all’epoca vigente.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti costantemente affermato che la realizzazione di un soppalco rientra nella ristrutturazione edilizia laddove sia idoneo a generare un maggiore carico urbanistico, mentre potrà considerarsi un intervento minore nel caso in cui i lavori siano tali da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ossia un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone. Al di fuori di tale ultima ipotesi, il soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell'unità con conseguente aggravio del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. VI, 20/07/2021 n. 5461 e 17/11/2020, n. 7132 relativo a un soppalco di mq 5,16 mq; Cons. Stato Sez. VI, 09/07/2018, n. 4166; Cons. Stato Sez. II, 05/08/2019, n. 5518).

L'ordinanza di demolizione, quindi, è atto dovuto.

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