Il rischio di caduta dall’alto e la progettazione dei sistemi anticaduta
La necessità di progettare ed installare sistemi anticaduta
Il settore delle costruzioni e delle manutenzioni ha da sempre fatto i conti con il rischio di caduta dall’alto, che, purtroppo, si conferma, ancora in tempi recenti, una delle principali cause di infortuni mortali.
Una parte di tali infortuni avvengono, peraltro, in situazioni che non afferiscono alla cantieristica classica, quanto piuttosto alle manutenzioni dell’opera eseguite in seguito.
In tale contesto appare pertanto cruciale l’installazione – e, soprattutto, la corretta progettazione – di sistemi anticaduta da installarsi sulle coperture e ovunque sussista un rischio di caduta dall’alto (ovverosia ogni qualvolta l’operatore si trovi ad agire ad un’altezza superiore ai 2m rispetto ad un piano stabile – art.117 D.Lgs 81/08).
Tale esigenza – anche con l’evolversi delle soluzioni proposte dai produttori – è andata di pari passo con un quadro normativo che ha visto parecchie evoluzioni nell’ultimo decennio, soprattutto per quanto riguarda le norme tecniche (UNI principalmente) e la normativa regionale che ha abbracciato via via porzioni sempre più ampie del Paese.
Sistemi anticaduta e situazione normativa
La legislazione statale, infatti, non è intervenuta in prima persona sulla materia dettando regole specifiche e puntuali, ma ha lasciato alla competenza regionale il compito di decidere se e per quali tipologie di lavori disporre l’obbligo di adottare misure protettive permanenti contro le cadute dall’alto.
Allo stato attuale, molte Regioni (es. Toscana, Lombardia, Liguria, Piemonte, Veneto ed altre) sono intervenute disciplinando l’obbligo di installazione di dispositivi di ancoraggio su tutte le nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni qualora interessino la copertura. Ovviamente esistono differenze fra le varie norme regionali, ma l’impianto delle previsioni normative risulta avere un approccio comune.
Approccio che deriva dalle previsioni di impianto nazionale, in primis il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. che – disciplinando l’uso e la manutenzione dei DPI – affronta anche il tema dei DPI anticaduta (artt. 111, 115, 74 e 77).
Tali previsioni trovano, inoltre, forma in quanto disposto all’Allegato XVI, Scheda II-3, Capitolo II “Il CSE, con riferimento alle sole misure permanenti in dotazione dell’opera, deve indicare le modalità di utilizzo in condizioni di sicurezza delle stesse”.
Dal combinato disposto dei succitati dettami normativi e delle norme tecniche UNI 795:2012, CEN/TS 16415:2013, UNI 11560:2014 e UNI 11578:2015 deriva, infatti, l’impianto normativo su cui sono costruite la maggior parte delle norme regionali, prevedendo di fatto una progettazione esecutiva dei sistemi anticaduta e la redazione di un Elaborato Tecnico di Copertura, da intendersi come elaborato esecutivo e manuale d’uso dei sistemi stessi.
Che cos'è un sistema anticaduta
Il sistema anticaduta, così come descritto nelle varie norme regionali, risulta costituito da due differenti sezioni, fra loro complementari, che necessitano di progettazione coordinata ed integrata:
- i DPI anticaduta, così come definiti dall’art. 74 del D.Lgs. 81/08, sono da intendersi come “attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore”, con tutte le intrinseche caratteristiche di uso personale, rimovibilità ecc.;
- i dispositivi di ancoraggio permanenti (che potranno a loro volta essere puntuali o lineari, le c.d. “linee vita”).
Tale distinzione – che fu oggetto di qualche evoluzione normativa – fu inizialmente precisata dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 13/02/15, n. 3 Dispositivi di ancoraggio per la protezione contro le cadute dall’alto – chiarimenti coerentemente con quanto disposto dalla norma UNI 11578:2015.
I DPI dovranno riportare la marcatura CE ed essere conformi al D.Lgs. 475/92 (appare opportuno ricordare che i DPI anticaduta sono di III categoria e come tali sottoposti agli obblighi di addestramento di cui all’art. 77 del D.Lgs. 81/08), mentre i dispositivi di ancoraggio permanenti rientrano nella disciplina dei Prodotti da Costruzione.
La progettazione dei sistemi anticaduta
Per affrontare il tema della progettazione occorre innanzitutto richiamare la distinzione operata dalla UNI EN 363:2008 che distingue fra un “sistema di trattenuta” ed un “sistema di arresto caduta”.
Il primo è un sistema progettato in modo tale che la caduta dell’operatore sia completamente impedita, mentre nel secondo caso il sistema è deputato a limitare lo spazio e la forza d’urto della caduta stessa.
In entrambi i casi la progettazione va effettuata tenendo conto in modo integrato sia degli ancoraggi permanenti, siano essi puntuali o lineari, sia dei DPI che dovranno essere usati in accoppiata.
Sebbene il sistema di protezione contro le cadute dall’alto che garantisca una maggiore sicurezza e l’eliminazione di rischi residui sia quello di operare in trattenuta, tale procedura non risulta sempre possibile ed applicabile per problematiche legate alle condizioni peculiari del luogo di lavoro specifico.
Per definizione, i sistemi di trattenuta limitano il movimento del lavoratore in modo che questi non possa raggiungere le zone dove potrebbe verificarsi una caduta dall’alto e non sono destinati ad arrestare una caduta dall’alto.
Nel caso invece della “progettazione ad arresto caduta” occorre considerare la copertura nella sua interezza, inclusiva degli elementi a contorno e della morfologia del terreno stesso, in modo da identificare in modo univoco le interazioni fra gli ancoraggi ed i DPI durante la caduta, prevenendo i danni all’operatore (che è il fine ultimo del sistema) e facilitando le operazioni di recupero e salvataggio.
Appare opportuno a questo proposito ricordare che le Linee Guida Ispesl sui Sistemi di Arresto Caduta prevedono – in conformità con il quadro normativo dell’art. 43 D.Lgs. 81/08 – l’obbligatorietà di una procedura ed un addestramento per le operazioni di recupero e salvataggio, nel caso di “progettazione ad arresto caduta”.
Nella “progettazione ad arresto caduta” è importante avere chiari alcuni concetti tipici che possono essere sintetizzati come:
1. “Distanza libera di caduta”: la distanza misurata in verticale dal punto di potenziale caduta (linea di gronda) al punto dove l’operatore può impattare.
DCL = LC – DR + HA
essendo LC la lunghezza del cordino, DR la distanza tra il punto fisso di ancoraggio o la posizione del dispositivo mobile di attacco ad una linea orizzontale sia flessibile che rigida e il punto del bordo oltre il quale è possibile la caduta e HA la massima altezza rispetto ai piedi, dell’attacco del cordino all’imbracatura, quando l’operatore è eretto.
2. “Tirante d’aria”: spazio libero a partire dal punto di caduta del lavoratore, necessario a compensare sia la caduta libera che tutti gli allungamenti/deformazioni del sistema di ancoraggio e del sistema di arresto caduta, senza che il lavoratore urti contro ostacoli durante la caduta, e che comprende un eventuale margine di sicurezza (R)
FC – deformazione ancoraggio
LC – lunghezza cordino
CF – allungamento assorbitore
IP – distanza imbracatura-piedi
R – margine di sicurezza
3. “Effetto pendolo”: il movimento oscillatorio incontrollabile che un corpo imbragato, collegato ad un ancoraggio tramite dispositivo (corda o cavo) può subire per effetto di una caduta.
Altro aspetto fondamentale che deve essere tenuto in considerazione è la struttura di supporto alla quale deve essere vincolato il sistema; non è sufficiente, infatti, affidarsi alle indicazioni fornite dal produttore del dispositivo, data l’ampia gamma di situazioni che si possono incontrare durante un’installazione.
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Si ringrazia l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino e l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Brescia per la gentile collaborazione
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