Il Decreto Legge “Aiuti-quater” finalmente nero su bianco in Gazzetta Ufficiale. Che futuro ha ora davanti a sé il Re dei Bonus
A distanza di otto giorni esatti dalla sua prima approvazione in Consiglio dei Ministri, il DL 18 novembre 2022 n. 176 (c.d. “Aiuti-quater”) è stato finalmente messo nero su bianco in Gazzetta Ufficiale, entrando in vigore a partire dal 19 novembre. Bene o male cosa sarebbe cambiato in materia di Superbonus lo sapevamo già, avendolo ampiamente desunto dalle bozze del testo del decreto circolate a profusione in questi giorni e decriptandolo dalle parole pronunciate ai giornalisti da Meloni e Giorgetti. Resta ora di capire che futuro ha davanti a sé il Re dei Bonus.
Il DL 176/2022, c.d. Aiuti-quater pubblicato in Gazzetta: le novità
Il conto alla rovescia iniziato giovedì 10 novembre scorso va avanti.
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo del DL 176/2022, c.d. Aiuti-quater (In questo articolo trovi il testo del DECRETO LEGGE), non ne ha influito il suo incalzante procedere. Non lo ha arrestato, né tantomeno lo ha rallentato. Ha semplicemente ufficializzato dove è posta la linea del traguardo e dove sventolerà la bandiera a scacchi del fine gara.
Il 25 novembre si avvicina, mancano ormai pochi giorni. Ancora meno di una settimana di sofferenza per i tecnici comunali, i progettisti, gli amministratori e i condomini che dovranno tenere duro fino a venerdì continuando a protocollare, compilare e deliberare CILAS come se il 26 novembre il mondo dovesse sparire.
E poi? Che ne sarà di noi? Ci sarà il libera tutti? Mai più 110%? Forse sì, forse no, capiamolo.
Dopo il 25 novembre, cosa accadrà?
Riprendiamo dall’articolo di Matteo Peppucci quelle che sono le novità principali per i soggetti che costituiscono la platea di maggior fruizione del Superbonus, ovvero condomini e unifamiliari, contenute nell'articolo 9 del DL, rubricato "Modifiche agli incentivi per l'efficientamento energetico":
- anticipo della rimodulazione al 90% del Superbonus per le spese sostenute nel 2023 dei condomini e negli edifici plurifamiliari (da 2 a 4 U.I.): si attua quindi un 'taglio' in corsa dell'aliquota, visto che il DL Rilancio prevedeva l'aliquota del 110% anche per il 2023, per i lavori già deliberati ma avviati dal 1° gennaio 2023. Il decreto indica la data del 25 novembre 2022 quale “dead-line” per la presentazione della CILA Superbonus e poter prendere ancora il Superbonus al 110%, sempre che ci sia una delibera assembleare valida precedente a tale data, quindi tenutasi al massimo il 24 novembre e convocata al massimo entro il 19 novembre. Stesso dicasi per gli interventi di demolizione e ricostruzione per i quali al 25 novembre risulti presentata l'istanza per l'acquisizione del titolo abilitativo.
Per gli anni successivi al 2023, invece, resterà in vigore la precedente rimodulazione verso il basso, cioè si passerà al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025; - introduzione della possibilità, anche per il 2023, di accedere al beneficio per i proprietari di singole abitazioni (Superbonus 90% case unifamiliari e villette) a condizione che si tratti di prima casa e che i proprietari stessi non raggiungano una determinata soglia di reddito (15mila euro l’anno, innalzati in base al quoziente familiare edilizio, cioè un meccanismo di calcolo in cui si procede alla divisione dei redditi complessivi posseduti per nucleo familiare per i singoli componenti a cui è attribuito un coefficiente);
- il Superbonus si applica invece al 110% fino al 31 marzo 2023 per le villette unifamiliari che abbiano completato il 30% dei lavori entro il 30 settembre 2022.
Superbonus 90% unifamiliari e calcolo della soglia di reddito: esempio
Relativamente al calcolo della soglia di reddito per accedere sulle unifamiliari al Superbonus 90%, per l’anno 2023, per capirne il meccanismo possiamo fare questo esempio: il reddito di riferimento è calcolato dividendo la somma dei redditi complessivi posseduti, nell’anno precedente, dal contribuente, da coniuge / soggetto legato da unione civile / convivente / familiare, per un numero di parti determinato come segue:
- il solo contribuente: 1
- se c’è coniuge / soggetto legato da unione civile / convivente: +1
- se sono presenti familiari, in numero pari a:
- un familiare: +0,5
- due familiari: +1
- tre o più familiari: +2
In altri termini, un contribuente con reddito pari a 32.000 euro si trova sopra il tetto dei 15.000 euro e non può fruire del Superbonus; se c'è un coniuge o convivente il reddito di riferimento diventa pari a 32.000/2, cioè 16.000 euro ed è quindi ancora oltre il tetto; se c'è un familiare/figlio il reddito di riferimento sarà 32.000/2,5 cioè 12.800 euro quindi sotto il tetto; se i familiari sono 2 si arriva a 32.000/4 cioè 8.000 euro quindi sempre sotto il limite.
Resta tutto invariato per i soggetti ex-IACP, mentre per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, è previsto che, fermo restando quanto previsto dal comma 10-bis (calcolo del limite di spesa innalzato per il moltiplicatore basato sui mq), la detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2025 nella misura del 110%.
Stiamo parlando, dunque, degli interventi realizzati dalle Onlus che svolgono attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali, e i cui membri del Consiglio di Amministrazione non percepiscono alcun compenso o indennità di carica e sono in possesso di immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4, a titolo di proprietà, nuda proprietà, usufrutto o comodato d'uso gratuito (quest’ultimo solo se registrato prima del 30 giugno 2022).
E per quanto riguarda invece la cessione del credito?
Sappiamo tutti bene che questo è l’argomento più spinoso perché le banche, le assicurazioni, Poste e CDP non acquistano più crediti da mesi, vuoi perché hanno bene o male tutti raggiunto la capienza massima, vuoi perché le sentenze della Cassazione e le Circolari dell’Agenzia delle Entrate li hanno spaventati tutti ben bene sulle responsabilità in caso di frodi.
E le imprese restano col cerino in mano e con i loro cassetti fiscali pieni in attesa che un qualche buon samaritano glieli smobilizzi. Nella bozza del decreto trapelata nella nottata di giovedì 10, non c’era alcuna traccia di un intervento in materia.
Perciò per tutta la settimana si sono inseguite le solite polemiche, le solite critiche e i soliti appelli per far sì che qualcuno faccia il miracolo e liberi un po’ i cassetti fiscali delle banche, per dar modo ad esse di tornare a liquidare quelli delle imprese e dei contribuenti.
Non importa chi debba farlo, non importa come debba farlo, basta che si faccia qualcosa.
Nel testo pubblicato in Gazzetta possiamo leggere che:
“i crediti d'imposta derivanti dalle comunicazioni di cessione o di sconto in fattura inviate all'Agenzia delle entrate entro il 31 ottobre 2022 e non ancora utilizzati, possono essere fruiti in 10 rate annuali di pari importo, in luogo dell'originaria rateazione prevista per i predetti crediti, previo invio di una comunicazione all'Agenzia delle entrate da parte del fornitore o del cessionario, […]. La quota di credito d'imposta non utilizzata nell'anno non può essere usufruita negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso".
Eccola qui l’ennesima novità in materia di crediti dei bonus.
Compensazione in 10 anni invece che in 4 o 5 per i crediti non ancora utilizzati e derivanti da Comunicazione all’Agenzia delle Entrate antecedente alla fine di ottobre.
Novità che non ha avuto neanche il tempo di entrare in vigore, che già è stata subito bersagliata, criticata, smontata. A ragione, verrebbe da dire, perché se c’è una cosa che ti insegnano fin dalla prima lezione del primo corso del primo anno in una Facoltà di Economia, è che il denaro nel tempo ha un valore diverso. 1 euro oggi vale, molto di più di 1 euro domani. Un uovo oggi, vale molto di più di una gallina domani.
Per chi ha già acquistato un credito oggi (dando in cambio soldi veri) con il programma finanziario di recuperarlo in quattro o cinque anni, allungare il tempo di compensazione a dieci anni vorrebbe dire registrare al contempo una perdita legata ai maggiori oneri di attualizzazione di quell'importo.
Non era difficile da capire prima che questo sarebbe stato il risvolto, basti pensare che ad oggi un credito che vale 100 viene acquistato a circa 85-90 se spalmato su quattro anni, a 70 se spalmato in dieci.
Questo delta di 15-20 punti percentuali dà l'idea della differenza di costo ed è l’esatta applicazione del concetto di valore del denaro nel tempo. Per quale motivo le banche oggi dovrebbero accettare di registrare perdite finanziarie sui crediti già acquistati, spalmandoli a dieci anni invece che a quattro? Per fare un favore al Governo e alle imprese e tornare a comprare crediti nuovi?
"Purtroppo questo allungamento, che noi prendiamo come uno sforzo del governo che ha voluto dare una mano per lo sblocco dei cassetti fiscali, servirà a ben poco", ha detto sabato all'ANSA la presidente dell'Ance Federica Brancaccio: "Pensiamo che si bloccherà tutto".
E sul tema Giancarlo Giorgetti era stato ruvido, polemico e lapidario: “Il Superbonus diventerà meno generoso perché costa troppo allo Stato. L’utilizzo sotto forma di detrazione sarà sempre garantito, ma ricordiamoci che la cessione del credito è una possibilità, non un diritto. Deve essere chiaro a tutti che non abbiano creato una moneta parallela, nell’immaginario collettivo è passata quest’idea e oggi occorre uscire con urgenza da questa ambiguità”.
Tradotto in parole semplici: d’ora in poi, o il bonus te ne fai una ragione e te lo compensi solo con le imposte, pagando subito prima cash i lavori, o prima ti assicuri di avere la banca alle spalle che ti compra il credito, sia che sei un contribuente che vuole cedere e non compensare, sia che sei un’impresa che vuole concedere uno sconto in fattura.
Sapendo che se oggi, con queste condizioni, trovare una banca che compri il credito è più difficile che trovare un’oasi nel deserto, dobbiamo davvero rassegnarci all’idea che resterà solo più la detrazione diretta per beneficiare di questi benedetti bonus?
Capiamolo con gli ottimi esempi riportati sul Sole 24 Ore da Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste lo scorso 14 novembre.
Qualche considerazione pratica sulle novità relative alla Cessione del credito
Secondo i dati dell’Enea, l’investimento medio in un Superbonus per le unità funzionalmente indipendenti è di 97mila euro. Con un minimo di approssimazione, possiamo riferire quest’importo a ciascuno dei due appartamenti di cui si compone una casa bifamiliare posseduta da due fratelli. Passare da una detrazione del 110% a una del 90% significa scendere da 106.700 a 87.300 euro di bonus: nel primo caso, avanzavano quasi 10mila euro che potrebbero essere utili per coprire i costi di cessione del credito e rientrare in pieno dei 97mila euro spesi; nel secondo caso, ciascuno dei due comproprietari deve innanzitutto farsi già carico di circa 10mila euro di costo dei lavori non coperti, e poi se volesse cedere il credito dovrebbe sostenere completamente da sé gli ulteriori costi di liquidazione.
L’utilizzo diretto, in detrazione, potrebbe essere ancora più complicato, poiché un Superbonus di 87.300 euro comporta un recupero in quattro rate annuali da 21.825 euro. Una cifra che davvero pochi contribuenti possono permettersi di scontare dall’Irpef.
Dalla lettura delle Statistiche fiscali delle Finanze (dichiarazioni 2021) si nota che per avere un’Irpef netta in grado di assorbire una rata del genere serve un reddito complessivo dai 75mila euro in su: livello raggiunto solo dal 2,4% dei contribuenti. Altrimenti la detrazione va sprecata. Nelle analisi di fattibilità in condominio, la faccenda si complica ancora di più.
È vero che la spesa a carico del singolo condomino tende a essere più bassa che nelle villette e nei piccoli edifici plurifamiliari. E infatti l’investimento in media rilevato dall’Enea per l’intero edificio condominiale è di 594mila euro.
Tuttavia, dove ci sono più persone, è più probabile che ci sia anche qualche contribuente a basso reddito. O, comunque, qualcuno che, pur avendo un’Irpef “capiente”, non ha la disponibilità economica o la volontà di anticipare le spese su cui si calcolerà la detrazione.
Non sono problemi inediti. Anzi, è questo il motivo che per anni ha frenato gli interventi di riqualificazione con i bonus in condominio, finché non sono esplose le cessioni “a tappeto” del DL Rilancio 2020.
Ipotizzando che questa spesa condominiale di 594mila euro sia riferita a un edificio di 20 appartamenti, la detrazione pro capite totale è di 26.730 euro, in quattro rate da 6.682 euro, che richiedono un reddito di circa 35mila euro per non essere sprecate.
La spesa non coperta dal bonus di cui ogni condomino dovrebbe farsi carico in caso di aliquota al 90%, invece, è di poco meno di 3mila euro. Sono conti tutto sommato vantaggiosi. Il punto però è che, senza cessione o sconto in fattura garantiti, bastano pochi pensionati al minimo o qualche forfettario che non possono compensare per bloccare il voto in assemblea.
Come può quindi un reddito basso beneficiare di un bonus per riqualificare la propria casa se non può detrarre le spese dalle imposte?
Con le opzioni alternative della cessione del credito o dello sconto in fattura.
Ma quando Meloni ha dichiarato in conferenza stampa post CdM che “sono stati finora i redditi più alti a beneficiare nella maggior misura del Superbonus 110% e per questo l’intento del Governo è di fare in modo che siano soprattutto i redditi più bassi ad accedervi d’ora in avanti”, e quando Giorgetti ha martellato un altro chiodo sulla bara della cessione del credito lapidandolo come “un’opportunità e non un diritto”, viene da pensare che nessuno dei due prima di aprire bocca si era fatto questa domanda e si era fatto gli stessi semplici calcoli dei due giornalisti del Sole.
I meccanismi di cessione del credito e di sconto in fattura erano nati con i migliori degli intenti, ovvero allargare a quanti più soggetti possibili la fruizione dei bonus fiscali in edilizia, soprattutto a quelli meno abbienti che non avevano abbastanza capienza fiscale per fruirne nella maniera classica della compensazione. Ovvero, non avevano negli anni imposte tali da pagare per giustificare la compensazione di una rata di un bonus.
E’ bene ricordarlo, questo meccanismo è forse stato esteso troppo frettolosamente a tutti i principali bonus edilizi e su di esso non sono state definite delle procedure con garanzia finale da parte dello Stato. Ma, nonostante tutti gli errori, è indubbio che il binomio Superbonus 110%-cessione del credito è stato il più grande shock economico e sociale che l'edilizia ricordi da decenni.
Ormai si dovrà parlare di un'edilizia prima e dopo il Decreto Rilancio perché da queste misure sono cambiati usi e costumi di tutti i protagonisti coinvolti, qualche volta anche improvvisati tali.
Quindi, che futuro ha davanti a sé il Re dei Bonus?
Come sempre, impossibile da dirsi pochi giorni dopo l’entrata in vigore di un decreto che ne modifica per l’ennesima volta la prassi. Queste modifiche sono state introdotte con un DL che dovrà essere convertito in legge ordinaria, al cui interno si possono inserire tutte le modifiche che la mente umana di un politico italiano è in grado di immaginarsi.
Inoltre, tra poco più di un mese dovrà essere definita e approvata la Legge di Bilancio per il prossimo anno, difficile pensare che Governo e partiti si lasceranno sfuggire un’occasione così ghiotta per piantare ognuno la sua bandierina da sventolare agli elettori e legiferare ciascuno qualche altra succosa novità sui nostri adorati bonus edilizi.
Nel frattempo, che la sclerotica corsa agli sportelli comunali per depositare le CILAS entro venerdì prossimo continui pure indisturbata.
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