BIM | Architettura | Restauro e Conservazione
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Il BIM e l'esistente: prospettive di digitalizzazione nella salvaguardia del patrimonio

Applicazione di processi rapidi di gestione e acquisizione del dato per la
la produzione di tali “certificati” ha condotto taluni a riferirsi al BIM come possibile volano d’innovazione. Questo contributo affronta la discussione delle potenzialità e degli eventuali rischi derivanti da questa opzione

ABSTRACT
I recenti, nefasti eventi sismici occorsi nel centro Italia, hanno portato ancora una volta all’attenzione di amministratori pubblici e professionisti la necessità, sempre più urgente, di documentare in maniera oggettiva lo stato di conservazione del patrimonio edilizio con l’introduzione di strumenti legislativi innovativi. Di nuovo si è parlato di cogenza normativa per redigere ad esempio il fascicolo del fabbricato,  sorta di “carta di identità” degli edifici atta ad evidenziarne le caratteristiche di performance e sicurezza. L’applicazione di processi rapidi di gestione e acquisizione del dato per la produzione di tali “certificati” ha condotto taluni a riferirsi al BIM come possibile volano d’innovazione. Questo contributo affronta la discussione delle potenzialità e degli eventuali rischi derivanti da questa opzione.
 
DAL FASCICOLO DEL FABBRICATO AL MODELLO DIGITALE
Di un fascicolo del fabbricato, in grado di raccogliere la documentazione di posizione e le indicazioni di manutenzione di strutture e impianti con chiarezza e precisione, si parla in Italia dal 1998. Svariati anni prima che la stampa di settore introducesse massivamente la digitalizzazione come frontiera auspicabile dell’innovazione in edilizia.
Non si può che essere d’accordo con l’Ing. Pietro Baratono, Provveditore alle Oo.Pp. di Lombardia ed Emilia-Romagna, che in una recente intervista1 sottolinea come la legislazione in materia di costruzioni sconti un sensibile ritardo nella modernizzazione dei flussi di lavoro, recuperabile solo con una decisa introduzione di processi di Information Technology.
La promessa della rivoluzione digitale in effetti, a partire dall’Information Age di Manuel Castells2 fino a giungere al digitale per tutti e con tutti dell’Ubiquitous computing di Mark Weiser3, è propriamente il miglioramento delle condizioni operative in termini di tempi e costi, in molti settori dell’attività produttiva pubblica e privata.
Appare pertanto naturale volgere l’attenzione allo strumento digitale per trovare quelle risposte all’esigenza di informazione estesa che sembrano mancare oggi, quando si è vittima di eventi dai quali traspare la disarmante inconsapevolezza del reale stato di conservazione di costruzioni e territori. Tuttavia, lo strumento a poco serve senza un ordinamento procedurale che ne possa inquadrare l’utilizzo corretto e l’affidabilità del risultato atteso. A partire dall’informazione catalogabile.
Il patrimonio costruito del Paese è in massima parte datato, con periodi di costruzione che, quando non pertinenti a complessi di natura storica o monumentale, sono successivi ai conflitti mondiali e alle età del boom residenziale degli anni ’70 del secolo scorso.
In una recente nota, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha divulgato alcuni dati significativi4, i quali stimano in circa 15 milioni le abitazioni costruite prima del 1974, in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica e costituenti più del 50% del totale del residenziale in Italia. Altri 4 milioni di immobili circa, sono stati edificati prima del 1920 mentre 2,7 milioni prima del 1945.
I modelli digitali in grado di raccogliere e catalogare i dati di questo scenario, anche di natura eterogenea, consentono di strutturare correttamente le informazioni e di agevolare le analisi e le simulazioni, ma per ognuna di queste categorie le modalità costruttive, la qualità dei materiali, la resa degli impianti tecnici e i limiti di durabilità sono estremamente variabili e di difficile valutazione.
Resta da sottolineare anche come gli strumenti di authoring, vale a dire gli ambienti software progettati per raccogliere i dati all’interno di modelli completi degli edifici, siano stati in massima parte concepiti per il nuovo, adatti cioè ad assemblare componenti edilizie moderne le cui astrazioni digitali sono ragionevolmente comparabili a quelle reali, in termini di geometrie, comportamenti strutturali ed energetici.
All’interno di un processo BIM poi, che fa della multidisciplinarietà tra i progettisti il cardine attorno al quale ruota il patrimonio informativo di gestione dell’edificio, questa criticità è ancora più acuta, dal momento che  la consapevolezza dei vantaggi e degli sforzi da compiere è ancora labile per le nuove costruzioni, si immagini per l’esistente dove tutto è ancora da esplicitare.
Un nuovo fascicolo del fabbricato, inteso come manuale d’uso ottenibile dal modello virtuale dell’edificio contenente il patrimonio informativo di tutto il suo ciclo di vita, dovrebbe nascere da queste premesse.
 
IL BIM E L’ESISTENTE: QUANDO LA CULTURA DEL COSTRUIRE INCONTRA IL DIGITALE PER UNA NUOVA STRATEGIA EDILIZIA
 
Due quindi le problematiche tecniche da affrontare in primis nella documentazione tecnica dell’esistente: la difficoltà nel reperire un’informazione corretta sullo stato dei luoghi (non sempre disponibile o investigabile) e la preparazione degli operatori in grado di valutarne la correttezza della traduzione nel formato digitale5.
Altre criticità, come la mancanza di un quadro normativo specifico o la proliferazione di best practices mutuate da contesti nazionali spesso differenti, sono elementi da considerare attentamente per affrontare le prime; la finalità ultima, vale a dire quella di tracciare linee guida ritagliate appositamente sulle esigenze del Paese, si potrebbe raggiungere con la messa a sistema delle esperienze già maturate o in fieri su casi di studio rilevanti.
La formazione professionale, sia universitaria che post-laurea, gioca un ruolo importante nella preparazione di operatori capaci ma è l’esperienza delle attività progettuali e di impresa che da anni insistono sul territorio a portare (e a ricevere dalla digitalizzazione) un valore aggiunto all’economia delle costruzioni esistenti, soprattutto se i prossimi riferimenti legislativi sapranno lavorare sulla valorizzazione di un sapere tecnico già acquisito ma spesso non ancora esprimibile in termini digitali.
Miglioramento, adeguamento, restauro e riqualificazione sono azioni che la normativa regola da tempo e che l’approccio alle tecnologie BIM del costruito potrebbe rendere più snelle, sistematiche e controllabili6, soprattutto in funzione di una gradualità manutentiva che è auspicata anche nella Circolare n. 15 del Segretariato generale del MIBACT del 3 aprile 20157, avente per tema le “Disposizioni in materia di tutela del patrimonio architettonico e di mitigazione del rischio sismico”. In questo documento è espressa volontà di conferire risalto alla sicurezza strutturale proprio mediante pratiche di carattere manutentivo, cioè azioni attente e continuative mirate a prevenire ed eliminare con interventi ordinari, le fragilità strutturali negli edifici già costruiti.
 
 
Figura 1 – Modello digitale BIM di un complesso residenziale: da esso è possibile ad esempio ricavare semi-automaticamente l’insieme degli elaborati grafici per gli interventi di manutenzione (S. Garagnani, 2016).
 
Una conoscenza puntuale e strutturata dei fabbricati, organizzata in modelli codificati, ne renderebbe sicuramente più semplice l’identificazione e i provvedimenti progettuali. Ma se l’approccio teorico BIM è valido e validabile, altrettanto non si può dire per la sua fattibilità, non solamente per le problematiche di complessità tecnica e abilità già espresse.
La cultura costruttiva italiana è un complicato insieme di varianti, dove le scelte costruttive vernacolari si confrontano con espressioni tipologiche di strutture, materiali e finiture molto spesso differenti, da epoca a epoca e da regione a regione.
Uno strumento di valenza nazionale quindi, sia esso normativo che operativo, dovrebbe garantire prima di tutto una scalabilità e una versatilità che sono oggi davvero obiettivi ambiziosi da raggiungere.
Sebbene vi sia già chi intravede tra le pieghe di questo ipotetico sistema centralizzato, dimostrando una preoccupante miopia culturale, un nuovo balzello per le proprietà o nuovi margini di profitto per la “casta” dei professionisti, questo coordinamento informativo davvero costituirebbe una rivoluzione. Ma è realmente praticabile oggi?

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