I recenti terremoti poco profondi in Italia: caratteristiche peculiari trascurate dalle norme
1. INTRODUZIONE
Gli eventi sismici catastrofici verificatisi in Italia negli ultimi anni, ed in particolare il terremoto di Santa Venerina (Etna – CT) del 29/10/2002, il terremoto dell’Aquila del 06/04/2009, il sisma dell’Emilia del 29/05/2012, il terremoto del Centro Italia del 26/10/2016 e quello di Casamicciola (Ischia – Napoli) del 21/08/2017, hanno evidenziato molte caratteristiche comuni.
Innanzitutto, le prime informazioni giunte dai notiziari subito dopo il verificarsi di ciascun sisma sorpresero tutti per la sproporzione tra l’intensità di ciascun terremoto ed il danno sulle costruzioni da esso provocato.
Infatti, l’intensità del terremoto di Santa Verina fu di M4.5, ma produsse danni molto gravi in molte strutture della zona, come in quelle del Rifugio Sapienza (Fig. 1). I terremoti aquilani del 2009 ebbero un’intensità massima di M5.9, ma distrussero interi paesi e quasi tutto il centro storico del capoluogo abruzzese. Il terremoto dell’Emilia, che provocò ingentissimi danni soprattutto a chiese e capannoni industriali, ebbe un’intensità di M5.1. I terremoti dell’Italia Centrale, che determinarono la scomparsa di interi comuni, ebbero una magnitudo massima M6.5. Infine, lo scorso anno il terremoto verificatosi a Casamicciola provocò danni spropositati rispetto alla sua intensità di M3.6.
Figura 1–Danni su elementi strutturali in cls causati dal terremoto di Santa Venerina del 2002.
D’altra parte, chiunque si occupi del comportamento delle strutture in zona sismica è consapevole che l’intensità del sisma, misurata in magnitudo, fornendo la misura dell’energia sprigionata in profondità, nell’ipocentro, non può essere considerata una buona misura del segnale che si manifesta in superficie, che è quello che influenza ovviamente il comportamento delle strutture.
In tal senso, la profondità dell’ipocentro, insieme ad altre caratteristiche, potrebbe spiegare la suddetta sproporzione tra energia sprigionata e danni in superficie. Infatti, è evidente che all’aumentare di tale profondità corrisponde una maggiore dissipazione di energia nei vari strati compresi tra il punto focale e la superficie; quindi, a parità di magnitudo, gli effetti in superficie saranno più deboli.
Pertanto, appare interessante controllare la profondità dell’ipocentro dei terremoti sopra considerati. Dall’esame della Tab.1, si osserva che, per tutti i terremoti presi in esame, tale profondità è minore di 10 km, con un limite inferiore per Casamicciola (1.7 km) e un limite superiore di 8.3 km per il più intenso dei terremoti dell’Aquila del 2009. Nella tabella è riportato un secondo terremoto dello stesso sciame sismico, avente magnitudo un po’ più bassa e caratterizzato da una profondità maggiore (17.1 km). Come si vedrà in seguito, un confronto tra questi due eventi consentirà di definire alcune caratteristiche di quello con ipocentro meno profondo
Il limite dei 10 km è significativo perché, fin dagli anni novanta, i codici statunitensi (UBC, 1997) definivano i sismi con profondità inferiore a tale limite come “near-source (o near-fault) earthquakes”; in questo lavoro li definiremo “terremoti poco profondi”.
Tabella 1–Principali caratteristiche dei terremoti in esame
L’introduzione nelle UBC della classe dei terremoti poco profondi è motivata dal fatto che, al di là della già citata limitata dissipazione di energia nei vari strati di terreno attraversati, la poca profondità dell’ipocentro produce, nelle azioni sismiche che sollecitano le strutture in superficie, una serie di caratteristiche peculiari e particolari.
Nei prossimi paragrafi, dopo aver trattato alcuni fenomeni che avvengono nell’ipocentro e che possono indurre caratteristiche inaspettate ai terremoti poco profondi, verranno riportate sinteticamente le proprietà di tali terremoti derivanti dalla propagazione delle onde sismiche in un tratto di terreno di spessore limitato. In particolare, verranno evidenziate le diverse caratteristiche dei terremoti poco profondi con riferimento al moto sismico orizzontale (parallelo alla superficie) e a quello verticale (ortogonale alla superficie). Successivamente, verrà evidenziato come le norme statunitensi (UBC), l’Eurocodice8 e le norme italiane (NTC18) tengono conto dei terremoti poco profondi nel definire le azioni di progetto sulle strutture in zona sismica. Infine, le registrazioni di alcuni dei terremoti italiani sopracitati verranno analizzate, anche attraverso la valutazione degli spettri di risposta elastica del moto orizzontale e verticale al fine di evidenziarne le peculiarità di terremoti poco profondi.
2. EFFETTI DEL SISMA ALLA SORGENTE
Quando si analizzano gli effetti dei terremoti poco profondi sulle strutture in superficie è fondamentale conoscere le modalità con le quali il segnale sismico si sprigiona alla sorgente. Infatti, il ridotto spessore dello strato intercorrente tra la sorgente e la superficie non riesce a modificare le caratteristiche del segnale alla sorgente e alcune di tali caratteristiche permangono, poco alterate, fino alla superficie. Di seguito sono trattate sinteticamente le principali di tali caratteristiche.
2.1 Direzionalità progressiva (forward-directivity)
Già da un pò di anni, i sismologi hanno evidenziato che terremoti di medio-alta intensità frequentemente determinano, in prossimità della sorgente, dei movimenti di tipo impulsivo, aventi una durata molto limitata. In particolare, essi si manifestano quando si verifica la cosiddetta direzionalità progressiva (forward-directivity), consistente nella circostanza che la frattura della faglia si propaga ad una velocità paragonabile a quella di propagazione delle onde di taglio S (Somerville et al., 1997; Braya&Rodriguez-Marek, 2004; Ghahari et al., 2010). L’andamento delle distorsioni da taglio lungo la faglia determina questo considerevole moto impulsivo nella direzione ortogonale alla faglia. Questi effetti sono usualmente caratterizzati da alte frequenze e, nel domino del tempo, sono meglio osservabili nei diagrammi delle velocità (Fig.2).
Figura 2–Componenti di velocità ortogonali alla faglia in prossimità della sorgente per sismi caratterizzati da direzionalità progressiva (tratta da Braya&Rodriguez-Marek, 2004)
2.2 Cedimento a gradino (fling-step)
Un’altra importante caratteristica dei terremoti poco profondi può essere quella indotta da un campo di spostamenti permanenti che, dovuto alle deformazioni tettoniche del sisma, viene generalmente indicato col termine anglo-sassone “fling-step” e che in italiano potrebbe essere tradotto “cedimento a gradino” (Fig.3). Tale cedimento si verifica nella direzione dello scivolamento della faglia, per cui i suoi effetti non si accoppiano in modo consistente con gli impulsi direzionali, per i terremoti con scivolamento di faglia normale o inversa (“strike-slip” earthquakes); mentre avviene esattamente il contrario per i terremoti con scivolamento di faglia trascorrente (“dip-slip” earthquakes), per i quali un impulso per cedimento a gradino può coincidere con quelli direzionali producendo segnali a bassa frequenza più forti (Bozorgnia& Campbell, 2004; Ghahari et al., 2010).
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All'interno i seguenti paragrafi:
- 3. MOTO IN SUPERFICIE PER I TERREMOTI POCO PROFONDI
- 4. I TERREMOTI POCO PROFONDI SECONDO LE NORME
- 5. ANALISI DEI TERREMOTI POCO PROFONDI ITALIANI
- 6. CONCLUSIONI