I ponti termici: alcune riflessioni per migliorare la progettazione
Perché i ponti termici sono così importanti in edilizia? In questo articolo si cerca di mettere qualche punto fermo sul tema, partendo da definizione e aspetti normativi, fino ad arrivare ad alcuni consigli pratici.
I ponti termici, definiamoli correttamente e capiamone il significato fisico
Per capire esattamente il significato intrinseco di ponte termico partiamo dalle basi, dalla definizione. Il riferimento internazionale per il calcolo dei ponti termici è la norma UNI EN ISO 10211, la cui versione più recente è del 2018. In questa norma, il ponte termico viene definito come una porzione dell’involucro edilizio dove la resistenza termica, altrove uniforme, è significativamente cambiata da una totale o parziale penetrazione nell’involucro di materiali aventi differente conducibilità termica e/o cambiamento nello spessore e/o differenza tra superficie interna ed esterna, così come accade all’intersezione tra pareti/pavimenti/solai.
Semplificando il ponte termico può essere definito come una discontinuità di tipo geometrico o materico all’interno dell’involucro edilizio. Un esempio lampante è la presenza dei balconi in facciata, dove la continuità della stratigrafia della parete corrente (la parete “lontano” dal ponte termico) è interrotta dalla presenza di un materiale differente (la struttura del balcone) e da una geometria anomala (l’aggetto del balcone). Ma un ponte termico è anche l’angolo di una parete in muratura piena (ponte termico dovuto alla geometria) o la parte di attacco a terra del cappotto dove si utilizza un materiale a basso assorbimento d’acqua (ponte termico dovuto alla variazione di materiale).
Il ponte termico viene caratterizzato dal punto di vista quantitativo mediante il coefficiente ψ (psi) che si misura in W/mK e viene calcolato secondo il metodo previsto appunto dalla norma UNI EN ISO 10211.
Guardando l’unità di misura di ψ è chiaro come questo rappresenti un valore che, moltiplicato per lo sviluppo lineare del ponte termico e per la differenza di temperatura costituisce un componente “aggiuntivo” di dispersione termica. Quindi se la presenza di un pilastro mi da uno ψ pari, ad esempio, a 0,15 W/mK, l’effetto globale del ponte termico si avrà moltiplicando ψ per lo sviluppo del pilastro, poniamo 3 metri, quindi 0,15 W/mK x 3 m = 0.45 W/K. Attenzione però: l’essere un “componente aggiuntivo” non significa necessariamente causare maggiori dispersioni. Esistono molti esempi di ponti termici con valore negativo, che quindi vanno a “ridurre” il fabbisogno complessivo del fabbricato. Purtroppo non c’è in questo articolo spazio per approfondire un aspetto che sembrerebbe controintuitivo, ma è in realtà del tutto logico e fisicamente giustificato ed ha inoltre interessanti risvolti pratici nella progettazione.
Come la normativa considera i ponti termici (in estrema sintesi)
In passato ci si accontentava di utilizzare dei fattori “forfettari” per considerare l’incremento delle dispersioni dell’involucro edile dovute ai ponti termici. Già da questa affermazione “incremento” si capisce quanto fossero metodi approssimativi, se consideriamo appunto che i ponti termici possono assumere valori anche minori di zero. Questo metodo è andato definitivamente in pensione con la revisione del 2014 della UNITS 11300. Eseguire una modellazione energetica oggi richiede quindi di considerare per ciascun ponte termico il corretto valore di ψ ed il corretto sviluppo geometrico dello stesso.
Il valore di trasmittanza lineica del ponte termico non deve essere considerato solamente nella verifica del fabbisogno complessivo dell’edificio (nell’EPgl per intenderci), ma ha un ruolo chiave nella valutazione della trasmittanza media (verifiche per le riqualificazioni energetiche) e del coefficiente medio globale di scambio termico per trasmissione H’T. Eseguire queste verifiche di legge senza considerare correttamente i ponti termici può portare a grossolani errori di valutazione.
Se prendiamo ad esempio il valore limite della trasmittanza delle pareti per la zona climatica E pari a 0,28 W/m2K, effettuare una verifica senza considerare la presenza dei ponti termici potrebbe portarci a pensare che con una dozzina di centimetri di cappotto in EPS su una parete in laterizio potremmo raggiugnere questo valore. In realtà, con un calcolo corretto dei ponti termici è molto dififcile stare sotto ai 14 o 16 cm, pena il mancato raggiungimento delle prescrizioni di legge. Spesso tuttavia, curiosando nei cantieri che vedo in giro per la città, trovo ancora pacchi di EPS da 12cm.
Ma l’attenzione sui ponti termici non si limita alla sola valutazione del loro effetto sulle dispersioni dell’involucro. Nel decreto Requisiti Minimi (DM 26 giugno 2015) all’articolo 2.3 si legge che “Nel caso di intervento che riguardi le strutture opache delimitanti il volume climatizzato verso l’esterno si procede […] alla verifica dell’assenza di rischio di formazione di muffe, con particolare attenzione ai ponti termici negli edifici di nuova costruzione”. È interessante notare come la verifica sia richiesta esplicitamente solo nelle nuove costruzioni. Il fatto che nelle riqualificazioni questo non sia “obbligatorio” non deve farci pensare che non sia comunque importante gestirli, valutarne l’impatto e rendere consapevoli i committenti dei potenziali rischi muffa.
In sintesi, allo stato attuale l’influenza dei ponti termici viene considerata, a livello di requisiti di legge, secondo i seguenti aspetti:
- Come effetto sulle verifiche di trasmittanza media delle strutture opache (ove pertinenti);
- In termini di effetto sulle verifiche di H’T (ove pertinenti);
- Come variazione sulle dispersioni complessive dell’edificio aventi effetto sul fabbisogno globale;
- Nella verifica dell’assenza della formazione di muffe, quindi in termini di verifica della temperatura superficiale, obbligatoriamente solo per i nuovi edifici.
L’importanza dell’interazione tra progettista energetico e architettonico
Fatto questo doveroso inquadramento, risulta evidente che non è possibile progettare un intervento edile, sia esso di nuova costruzione o una ristrutturazione senza aver ben chiaro che valori assumeranno le trasmittanze lineiche dei ponti termici e quanto “importante” sia il rischio di muffa.
Per farlo è quindi necessario svolgere un calcolo agli elementi finiti come richiesto dalla norma UNI EN ISO 10211. Ma, come ben sa chi si cimenta in queste valutazioni, sviluppare un modello agli elementi finiti di un ponte termico richiede una elevata conoscenza del dettaglio costruttivo specifico. Spesso piccole variazioni sulla geometria del nodo o sui materiali impiegati comportano importanti variazioni sia sul valore di trasmittanza lineica che nelle verifiche termoigrometriche.
Qui sorge inevitabilmente un problema: il livello di dettaglio richiesto per una buona valutazione dei ponti termici è spesso di tipo esecutivo, ma le valutazioni energetiche (la relazione “ex legge 10”) vengono richieste in fase di autorizzazione comunale, che hanno normalmente un livello di approfondimento ben inferiore.
Soprattutto nelle riqualificazioni sarà necessario aggiornare le valutazioni con lo sviluppo del progetto architettonico e anche in funzione delle effettive condizioni dell’edificio dopo le demolizioni. Emerge dunque un’altra peculiarità dei ponti termici: la loro trattazione richiede una stretta sinergia tra il progettista energetico ed il progettista architettonico.
Nei prossimi paragrafi ci soffermeremo su alcuni ponti termici interessanti e ricorrenti, evidenziandone alcune peculiarità. Per ciascuno dei nodi analizzati si potrebbe in realtà scrivere un intero articolo. Obiettivo di questa trattazione non è una analisi di dettaglio, ma fornire alcuni spunti di riflessione per individuare le criticità di ciascun caso e trarre poi delle conclusioni più generali.
Il ponte termico del serramento (o meglio “i” ponti termici)
Se mi chiedessero qual è il “principe” dei ponti termici io risponderei senza indugio: quello della finestra. Se ci pensiamo è il ponte termico che non può mai mancare in un progetto (esiste forse un edificio senza finestre?), è spesso molto “pesante” in termini assoluti dato che lo sviluppo totale del perimetro delle finestre è sempre notevole e, soprattutto nelle ristrutturazioni, non sempre è di facile approccio.
In realtà però, riflettendoci meglio, bisognerebbe domandarsi: “siamo sicuri che esista IL ponte termico della finestra?”. La risposta è no! Esistono “i” ponti termici della finestra. Attorno al foro architettonico troviamo infatti tre casistiche:
- Le spallette;
- L’architrave;
- Il davanzale.
Ciascuno di questi tre elementi richiederà attenzioni particolari, soprattutto quando in una ristrutturazione non posso o non voglio ridurre la luce architettonica. Potrebbero essere richieste opere murarie anche importanti o invasive in questi casi, come la demolizione di parte del laterizio delle spalle oppure la rimozione del davanzale con conseguente problema di ripristino della resistenza meccanica e della tenuta all’aria ed all’acqua. Sull’architrave poi normalmente anche rimuovendo l’intonaco non resta molto spessore disponibile per l’isolante, quindi bisogna ricorrere a isolanti performanti o altre soluzioni.
In generale quindi ribadiamo l’importanza di uno stretto e preliminare confronto tra il progettista energetico e quello architettonico che devono definire i limiti dimensionali disponibili e le tecniche di intervento.
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Nel proseguo si parlerà del ponte termico del balcone, di quello di gronda e verranno dati alcuni suggerimenti di come agire in concreto.
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