I più violenti terremoti che, in passato, colpirono l’Italia in gennaio
Sono descritti i 6 più violenti terremoti, che, in passato, colpirono l’Italia in gennaio. Ne sono riportati magnitudo, intensità e posizione epicentrale. Sono poi citati il numero di vittime ed i danni che provocarono. Date le devastazioni da essi causate, a conclusione dell’articolo si invitano i lettori a collaborare affinché siano urgentemente attivate adeguate politiche di prevenzione del rischio sismico, oltre che degli altri rischi naturali, firmando una petizione lanciata a fine 2020.
In passato, il mese di gennaio fu funestato, anche in Italia, da violenti terremoti.
Sono da ricordare gli eventi:
- di Verona del 3 gennaio 1117, l’evento sismico noto più violento ad aver colpito l’area padana;
- della Val di Noto del 9÷11 gennaio 1693, l’evento sismico italiano noto più violento;
- di Foligno del 13 gennaio 1832;
- della Marsica, del 13 gennaio 1915, uno degli eventi italiani più catastrofici;
- del Belìce del 14÷15 gennaio 1968;
- del Friuli del 25 gennaio 1348, che fu pure assai catastrofico.
In quest’articolo, ricordo gli tali terremoti.
Il terremoto di Verona del 3 gennaio 1117
Il 3 gennaio fu l’anniversario del 1117. Esso fu di intensità IM=IX (grado della Scala Mercalli) nelle aree epicentrali, di magnitudo stimata Ms=6,9, di magnitudo momento Mw=6,8 e con epicentro della prima scossa tra Zevio e Belfiore (nella campagna veronese). È il più forte evento sismico verificatosi nell’area padana di cui si abbia notizia. Fu talmente violento da causare, oltre a 30.000 vittime, vastissimi danni non solo a Verona e nei territori limitrofi, ma anche in diversi altri centri dell’Italia Settentrionale, sia veneti, che emiliani, che pure lombardi.
A seguito dell’evento maggiormente distruttivo (che fu registrato in un’ampia area, dalla Slovenia alla Francia e dal centro Italia alla bassa Germania), si verificarono forti repliche per tutto il 1117: il 12 gennaio, il 4 giugno, il 1º luglio, il 1º ottobre ed il 30 dicembre. Secondo alcuni studiosi, gli epicentri principali in Pianura Padana potrebbero essere stati due: uno nel territorio veronese e l’altro in quello cremonese: si dovrebbero a al terremoto avvenuto in quest’ultimo il crollo della costruenda cattedrale di Cremona e altri gravi danni nelle città emiliane.
Il terremoto della Val di Noto del 9÷11 gennaio 1693
Il primo dei terremoti che devastarono la Val di Noto, in Sicilia, nel 1693 si verificò, improvvisamente, la sera del venerdì 9 gennaio, circa alle 21:00, con epicentro tra Melilli e Sortino. Fu di intensità IMCS≈VIII (grado della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg) e di Ms=6,5. Crollarono numerosi edifici, altri furono gravemente lesionati e vi furono numerose vittime.
Dato che il giorno dopo, il sabato, era passato senza forti scosse, la gente si illuse che tutto fosse finito. Invece, la mattina della domenica, 11 gennaio, il terremoto iniziò a colpire nuovamente con violenza: circa alle 9:00 si verificò una seconda forte scossa, seguita da una terza, circa un’ora dopo. Però, l’evento principale (di IMCS=XI), fu la tremenda e distruttiva scossa di Ms=7,7 (magnitudo momento stimata Mws=7.3÷7,4), che si verificò alle 13:30, provocando immani distruzioni e pure l’innesco di un violento maremoto.
L’epicentro di tale evento è stato identificato al largo del porto di Catania (tra Catania ed Augusta) e l’ipocentro risulta essere stato ad una profondità hi=18 km. Alcuni studiosi ritengono che si sia trattato di un terremoto distinto rispetto a quello di due giorni prima; tuttavia, l’estrema prossimità tra i due eventi e l’assenza di dati tecnici rilevati non permettono di stabilire con precisione l’esatta natura dei due eventi.
La scossa dell’11 gennaio 1693, assieme ai due terremoti del 1169 e del 1908, costituisce l’evento sismico più catastrofico ad aver colpito la Sicilia Orientale in tempi storici. Inoltre, essa risulta essere il 23° terremoto più disastroso della storia dell’umanità (almeno tra quelli storicamente accertati). Il terremoto fu avvertito in un’area molto vasta, che si estese dalla costa africana alla Calabria Settentrionale ed alle isole Eolie. Provocò danni abbastanza gravi anche nell’isola di Malta (IMCS=VIII); però, la parte più colpita fu la Sicilia Meridionale, dove il terremoto interessò una superficie di circa 5.600 km2, raggiungendo un’intensità di almeno IMCS=IX. L’area che risentì dei massimi effetti ebbe una superficie di circa 550 km2 e mostra una direzione di allungamento verso nord-est e verso sud-ovest, cioè verso Messina e verso Malta: in entrambe le località (site a circa 180 km e, rispettivamente, 110 km dall’epicentro) l’intensità del sisma fu di IMCS=VIII. Invece, nella direttrice perpendicolare, si ebbe una forte attenuazione della sua intensità e IMCS=VIII fu raggiunto fra i 20 ed i 40 km dall’epicentro: ciò spiega, ad esempio, perché, alle isole Eolie, che si trovano proprio sulla direttrice verticale, l’intensità del sisma fu solo di IMCS=VI, cioè di ben due gradi inferiore rispetto a Messina.
La scossa dell’11 gennaio provocò la distruzione totale di oltre 45 centri abitati (70 furono quelli nei quali si verificarono danni maggiori od uguali a quelli corrispondenti ad IMCS=IX), causando un numero complessivo di almeno 60.000 vittime (secondo alcune stime fino a 93.000), e, come già accennato, fu seguito da un maremoto, con onde di altezza massima stimata pari ad 15 metri (ad Augusta).
Tale maremoto, verosimilmente innescato da un’enorme frana sottomarina, causata dal terremoto (probabilmente nella faglia ibleo-maltese), colpì le coste ioniche della Sicilia, lo Stretto di Messina e, probabilmente (secondo alcune simulazioni), interessò anche le Isole Eolie.
Le scosse di assestamento furono numerosissime (circa 1.500) e si protrassero per circa due anni; alcune di esse (come quella del 1° aprile) furono forti e provocarono altri danni. Secondo le fonti disponibili, in gennaio 1693, a Catania morirono 16.000 dei 20.000 abitanti che contava allora la città. Per quanto riguarda altri centri abitati, a Ragusa le vittime risultano essere state 5.000 su 9.950 abitanti, a Lentini 4.000 su 10.000, a Siracusa 4.000 su 15.339, a Modica 3.400 su 18.200, a Militello circa 3.000 su quasi 10.000, a Mineo 1.355 su 6.723, a Licodia Eubea 258 su 4.000 e ad Acireale 2.000 su 12.000. Ad Occhiolà (l’antica Grammichele) perì il 52% dei 2.910 abitanti e gli altri centri abitati ebbero dal 15% al 35% di morti rispetto alla popolazione residente: più di 1.000 furono le vittime a Caltagirone (anch’essa in gran parte rasa al suolo), su una popolazione di circa 20.000 persone e Palazzolo Acreide e Buscemi lamentarono la scomparsa del 41% degli abitanti.
Il terremoto di Foligno del 13 gennaio 1832
Il terremoto di Foligno, di IMCS=IX÷X e Mws=6,3, si verificò alle 14:00 e durò (secondo i racconti del tempo) ben 1 minuto. Esso fu avvertito distintamente in tutto il Centro Italia (da Roma ed Ancona fino a Lucca, Firenze e Ferrara). Si presume che l’epicentro sia stato a metà strada tra Cannara e Budino. Si trattò della più violenta di una serie di scosse (di durata molto più breve) iniziata il 27 ottobre 1831, con un primo evento che aveva causato danni, anche importanti, pure a Foligno. A questo evento ne era seguito un altro, il 6 novembre, durante il quale si erano aperte alcune fenditure nel terreno ed erano risultati lesionati, più o meno gravemente, vari edifici, soprattutto a Foligno, a Bevagna ed a Spello. Poi, fino al 13 gennaio 1832, si erano verificate, ad intervalli regolari, molte altre scosse più lievi.
Il terremoto di Foligno del 13 gennaio 1832 fu talmente violento da distruggere la quasi totalità delle abitazioni di molte città della della parte settentrionale della Valle Umbra. In particolare, provocò enormi danni al patrimonio storico-artistico e molti crolli anche di strutture private, in una vasta area intorno a Foligno. Inoltre, si registrarono danni significativi ad Assisi, vi furono crolli anche a Perugia (ad esempio, nel Palazzo Apostolico), molti danni a Spello, crolli e gravi danni a Trevi (ad esempio nella Chiesa della Maria delle Lacrime) ed in altri centri abitati (soprattutto a Bastia, a Bettona, a Bevagna, a Butine, a Budino, a Cannara, a Ripa ed a Ripabianca).
Alla scossa principale del 13 gennaio seguirono numerosissime repliche, che resero difficile la ricostruzione immediata e che non cessarono fino al 19 aprile (le ultime due forti, però, si verificarono durante la notte fra il 12 ed il 13 marzo). Infatti, dopo nemmeno un’ora dalla scossa principale delle 13:30, ci fu una forte replica, risentita soprattutto a Bevagna ed a Foligno. Durante la notte successiva, poi (secondo i racconti), si contarono circa 130 repliche. Anche nei giorni successivi le scosse continuarono: prima delle due citate del 13 marzo, ve ne furono di particolarmente forti il 22 gennaio, durante la notte tra il 24 ed il 25 gennaio, il 27 gennaio ed il 10 febbraio. Alcune di tali repliche peggiorarono fortemente le condizioni degli edifici già danneggiati.
La sola scossa principale del 13 gennaio 1832 causò almeno 40 vittime, ma si presume che, nel corso dell’intera sequenza sismica, siano decedute molte più persone (anche indirettamente, poiché le condizioni degli sfollati costretti all’addiaccio erano aggravate dal freddo dell’inverno)”.
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All'interno si tratterà del Terremoto della Marsica, del Belice e del Friuli.
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