BIM | Semplificazione
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I Pericoli della Semplificazione nella Implementazione del «BIM» e della Digitalizzazione

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini

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Uno dei luoghi comuni più praticati nel Nostro Paese, a proposito del settore della costruzione e dell'immobiliare, consiste nella convinzione, incontrovertibile, ponendosi a confronto con altre realtà nazionali, che la digitalizzazione agisca come fattore innovativo, decisivo e abilitante, per la crescita, o, per la ripresa, del mercato.
Nella realtà, anzitutto, anche in contesti domestici altrui che si ritengono, a una lettura esteriore, più «avanzati» di quello domestico, i ritardi e le resistenze al cambiamento sono fortissimi, oltre che le metriche atte a misurare il ritorno sui necessari investimenti manifestarsi di dubbia attendibilità o, quanto meno, assai controverse.
 
In ragione di quanto affermato sopra, sarebbe saggio non coltivare eccessivi luoghi comuni sui benefici che la digitalizzazione, nella fattispecie per il tramite del famigerato «BIM», apporterebbe implicitamente.

Il pericolo delle retoriche sulla «semplicità» del BIM 

Ciò che preoccupa, infatti, sono le retoriche sulla «semplicità» che sarebbe ritenuta necessaria per l'adozione e per la diffusione dei processi digitalizzati.
 
Si reclamano a gran voce, infatti, lessici e linguaggi comprensibili al profano, soluzioni speditive, e quant'altro.
Si tratta di richieste assai pericolose, poiché rischiano di arrecare molti più danni reali di quanti non siano i benefici effettivi che promettono di arrecare.
 
Il fenomeno, invece, proprio in quanto epocale, è assai complesso e, soprattutto, dischiude sempre più problematiche inedite destinate a collidere colle razionalità e colle logiche tradizionali.
 
A parte il fatto che le tecnologie, ormai divenute estremamente eterogenee, per quanto accomunate dalla loro natura «digitale», siano instabili, in continua evoluzione, i processi non appaiono per nulla chiaramente definiti, poiché restano a uno stato sperimentale.
La legislazione e la normazione stesse sono emanate con la consapevolezza della necessità di apporvi correzioni a breve e a medio termine, a seguito di frequenti retroazioni.
 
Il punto è che, come da queste colonne, ripetuto spesso, occorre concentrarsi non già sui processi, sui metodi e sulle tecnologie intrinseche alla digitalizzazione, bensì sulle condizioni al contorno che ne possano ostacolare o inficiare l'efficacia.
 
Come ricordato, l'attitudine degli operatori medi è, a tutte le latitudini, assai conservativa, riscontrandosi sovente in essi una adesione al tema puramente di facciata, del tutto di circostanza.
 
Scambiare, tuttavia, questo atteggiamento per ignoranza e per passatismo sarebbe, oltre che presuntuoso, negligente: è chiaro, invero, che l'accettazione di metodi che si immaginano collaborativi e di tecniche che si reputano integrative comporterebbe pesanti conseguenze sugli assetti caratteristici del mercato, dai rapporti negoziali tra i soggetti alle dimensioni degli operatori, dall'allocazione di responsabilità alla distribuzione della redditività.
 
Non vi è nulla, dunque, di retrogrado in coloro che, più velatamente che ostentatamente, frappongono resistenza alla trasformazione digitale: vi è, anzi, in essi una, talora involontaria, coscienza della portata del passaggio storico e delle sue conseguenze su di essi.
Quanto ciò sia vero è dimostrato dal fatto che sia gli attori della formazione sia i fornitori di tecnologie si trovano oggi, improvvisamente, a erogare consulenze di processo e di sistema nei segmenti di mercato i più disparati, agendo nel cuore della evoluzione identitaria degli stessi: troppo spesso con intenti semplificativi che davvero potrebbero sortire innumerevoli effetti indesiderati, a dispetto delle migliori, lodevoli, volontà.
 
La constatazione, peraltro, che anche in molti casi esibiti come esemplari, la ricchezza dei dati, specialmente alfa-numerici, prodotti ed elaborati attraverso la gestione informativa attraverso i modelli informativi si riveli discutibile, testimonia della misura precaria colla quale il «vecchio mondo» cerchi di transitare nel «nuovo mondo».
 
Per questo motivo, è essenziale che le accademie e le rappresentanze si pongano con urgenza seri interrogativi sulla strategia da perseguire: se, in effetti, è vero che il decennio della crisi strutturale del mercato abbia esercitato un ruolo selettivo all'interno di una sua dinamica evolutiva, pare, a giudizio di chi scrive, che gli assetti mentali e organizzativi non siano un granché mutati.
 
Nonostante, infatti, gli intenti riformisti dei precedenti governi (tra i quali dovremmo annoverare, peraltro, quelli più antichi legati al ministro Franco Bassanini) in relazione ai processi aggregativi, la situazione reale non ha fatto registrare mutamenti troppi significativi.
 
Benché, indubbiamente, le relazioni ufficiose e sostanziali tra gli specialisti delle discipline progettuali si siano intensificate, non risulta che si sia dato vita alla soluzione del tema del nanismo dimensionale negli organismi di progettazione.
Quantunque si processi la necessità che il tessuto imprenditoriale del settore riacquisisca strutture interne rafforzate, non sembra essere questa la consuetudine ordinaria.
 
Per quanto i servizi di Global Service abbiano vissuto, per una piuttosto effimera stagione, una certa popolarità, non è che i servizi ausiliari integrati godano sempre di una diffusione capillare.
Se, inoltre, davvero si volessero promuovere ecosistemi digitali in cui gli attori possano tendere alla concorrenza perfetta, potremmo sinceramente aderire acriticamente a una prospettiva secondo cui strutture di dati perfettamente omogenee ed esaustive possano essere messe a disposizione da parte dei concorrenti?

Le incognite sui tempi e sui modi della transizione e della trasformazione digitale

Non vi ha dubbio che la transizione e la trasformazione digitale abbiano avuto inizio e che sembri irrealistico poterle arrestare, ma permangono molte incognite sui tempi e sui modi secondo i quali esse possano avvenire.
Tali perplessità, o meglio tali interrogativi, come si ricordava, non pertengono sostanzialmente ai metodi o agli strumenti, quanto alla loro praticabilità in contesti incoerenti con essi: questa è la ragione per cui «semplificare» appare sommamente irragionevole, perché, appunto, ciò significherebbe non tenere conto del significato ultimo della digitalizzazione.
 
Delle due, infatti, l'una: o la somministra alla stregua di un placebo, sperando che, tutto ostante, sortisca, comunque, qualche effetto benefico (ma con quali costi?), oppure si inizia a ragionare sulla visione radicale che è sottesa al cambiamento di paradigma che la sottende.
 
Per accogliere la seconda ipotesi serve, però, porsi alcune domande.
  1. Se il dato acquisisse una importanza inedita, come fattore competitivo, perché mai dovrebbe essere facilmente condiviso in piattaforme da cui attingerlo senza oneri eccessivi e senza assunzioni di responsabilità?
  2. Se le previsioni si fondassero esclusivamente su elaborazioni statistiche di serie storiche che addestrino algoritmi decisionali, quali spazi di libertà assumerebbe ciascun decisore?
  3. Se gli accadimenti che riguardano la commessa (la progettazione come l'esecuzione) fossero discernibili in remoto e in tempo reale attraverso l'analisi dei dati, come muterebbe l'atteggiamento degli stakeholder?
  4. Se veramente si affermassero le modalità di notarizzazione certa del dato, quale grado di flessibilità (nell'interpretazione e nella remunerazione) sarebbe accettabile dagli operatori?
  5. Se il cespite fosse in grado di rilevare e di comunicare tempestivamente e puntualmente in remoto i propri livelli prestazionali, che ne sarebbe delle dichiarazioni di conformità?
  6. Se l'acquirente fosse definitivamente convinto di comperare servizi immobiliari, anziché di detenere la proprietà, come cambierebbe il prodotto?
Occorre domandarsi se sia credibile praticare una semplificazione a fronte di scenari di questo genere, ma, in special modo, se una simile prospettiva sia desiderabile dai player.
Bisogna ricordare che il racconto dominante prevede una condizione in cui il soggetto che richiede, origina o elabora dati e informazioni ne sia il dominus, ma, come è palese dai casi appena citati, in realtà, si verifica l'esatto contrario.
 
La detenzione del dato deve essere protetta, ma, d'altra parte, chi lo utilizzi acriticamente (semplicemente per comodità traendolo da una fonte pubblica o privata) ne assume conseguentemente la corresponsabilità.
La decisione supportata da eventi pregressi comporta spesso la riproduzione dei pregiudizî insiti in essi.
Il comportamento implicito degli attori, fondato su una interpretabilità variabile e su una asimmetria informativa, potrà difficilmente essere mantenuto tale in un regime di immediata
tracciabilità e discernibilità.
La immutabilità di un dato certificato potrebbe, alla luce degli impegni contrattuali vigenti, divenire sorgente di imbarazzo e di ostacolo, oltre che di irrigidimento, per entrambe le parti in causa.
La trasmissione continua e puntuale dei dati che alimentano gli indicatori dei livelli prestazionali da parte del cespite in esercizio costringerebbe produttori, progettisti e costruttori, oltreché manutentori, a una capacità previsionale estremamente più accurata e a un presidio costante del bene.
 
L'erogazione dello Space as a Service modifica nettamente la concezione e la funzione dei beni fisici, immobiliari e infrastrutturali, collegandoli in maniera diretta alla soddisfazione singolare delle esigenze individuali.
 
Che percorsi formativi possono immaginarsi per questi profili di mercato?
Che forme professionali imprenditoriali possono divisarsi per le competenze richieste?
È tempo di affrontare con disincanto il tema della digitalizzazione, per evitare di divenirne rapidamente vittima.

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