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I nuovi compiti per i tecnici nel Salva Casa: più responsabilità nelle attestazioni

Analisi dettagliata di tutti gli adempimenti che i tecnici, sia comunali che professionisti privati, devono mettere in atto per dare il via alle nuove prcoedure impartite dal Decreto Salva Casa: si parte dallo stato legittimo, virando sulle differenza tra l'accertamento in capo alla PA e al professionista privato, per poi dettagliare nello specifico le procedure inerenti i cambi di destinazione d'uso, la deroga alle norme igienico-sanitarie, le attestazioni di conformità sismica per le tolleranze e per le sanatorie e la nuova sanatoria semplificata.

Il Salva-Casa è legge da un po’, ma la sua applicazione stenta a decollare anche per una serie innumerevole di nuovi adempimenti tecnici attribuiti in parte alla Pubblica Amministrazione in parte ai professionisti privati.

Adempimenti anche complessi fin qui mai procedimentalizzati che l’Autore esamina analiticamente e che risultano determinanti per il buon esito della norma e che dovranno essere pensati più con orientamento ai principi ispiratori e al risultato che non alla interpretazione letterale spesso lacunosa.

Vista la molteplicità ne abbiamo scisso la trattazione in due parti:

  1. Parte Prima – Più responsabilità nelle attestazioni (qui pubblicate);
  2. Parte Seconda – Le attestazioni incongrue (di prossima pubblicazione)

Il Salva-Casa prevede nuove competenze e adempimenti a carico dei tecnici pubblici e privati disseminandoli un po’ qua e un po’ là nel testo normativo.

Proviamo allora a farne una ricognizione e dare sistematicità a questo nuovo insieme anche per consentire ai tecnici di prepararsi ai nuovi compiti non sempre facili e non privi di responsabilità.

 

Stato legittimo

Abbiamo già esaminato in un precedente scritto il dispositivo del rinnovato articolo 9-bis che, secondo la circolare interpretativa del MIT n.1/2025 avrebbe comportato una semplificazione consentendo di fare riferimento all’ultimo atto abilitativo rilasciato per attestare la “legittimità” dell’esistente su cui confrontare lo stato di fatto.

Secondo questa “interpretazione” spetterebbe al tecnico del richiedente il nuovo intervento attestare le eventuali difformità rispetto allo stato “legittimo” così individuato e procedere poi con l’eventuale regolarizzazione (sanatoria o rimessa in pristino o richiesta di fiscalizzazione).

Abbiamo già detto che non condividiamo questa interpretazione perché la legge condiziona la verifica all’ultimo titolo rilasciato solo se l’amministrazione esaminante ha verificato lei la continuità e la regolarità dei titoli precedenti. (v. InGenio: 28.02.2025 – “Auspicando che l’efficacia del Salva-Casa non si basi sull’(in)efficienza della Pubblica Amministrazione”)

E non convince affatto la tesi sostenuta dalla circolare della “presunzione” che ciò sia avvenuto.

D’altra parte la circolare non può contraddire la legge e a questo punto resta il dubbio di come sia opportuno comportarsi.

Sul punto recente giurisprudenza conferma la nostra interpretazione come si evince da un puntuale commento della dott.ssa Righetti (v. In Genio 17.03.2025 - “Stato legittimo degli immobili e Decreto Salva Casa”).

 

L’accertamento in capo alla Pubblica Amministrazione

Se ci riferiamo al primo comma dell’articolo 9-bis la produzione di tutti gli atti già in possesso dell’amministrazione pubblica (in senso lato) non può essere richiesta al privato ma deve essere reperita dall’amministrazione cui è stata rivolta l’istanza; è di tutta evidenza che i precedenti edilizi sono in possesso dell’amministrazione cui è rivolta la richiesta di intervento edilizio per cui a lei spetta la ricerca dei precedenti … e a questo punto anche la verifica della loro continuità e coerenza.

D’altra parte solo il comune ha contezza di come si è comportato nel passato.

Per cui direi che in caso di nuovo intervento edilizio la verifica del tecnico progettista può ben limitarsi alla verifica delle eventuali difformità dello stato di fatto rispetto all’ultimo titolo rilasciato, ricadendo però sull’amministrazione comunale la responsabilità della conformità del pregresso.

So che questa tesi dispiacerà a molti, ma così dice la legge; sicuramente non c’è stata l’annunciata semplificazione, ma più semplicemente un trasferimento dell’onere di verifica. Né poteva essere diversamente.

 

L’accertamento in capo al professionista privato

Diverso però è il caso di trasferimenti immobiliari laddove venga richiesta la verifica di conformità ad un tecnico da allegare al rogito; in questo caso non si verte più nel comma 1 dell’articolo 9-bis perché non vi è nessuna istanza rivolta ad una pubblica amministrazione.

Suggerirei allora al tecnico incaricato di verificare non solo l’ultimo atto rilasciato ma la continuità della legittimità anche dei precedenti per evitare brutte sorprese in futuro (oppure di farsi una congrua assicurazione).

Anche perché l’accertamento di eventuali difformità – lo abbiamo già scritto più volte – non preclude la compravendita, ma serve semplicemente a rendere edotto l’acquirente delle eventuali “pecche” dell’acquisto che, se evidenziate, esonerano da responsabilità il venditore di aver venduto una cosa per un’altra in quanto saranno state valutate congruamente per la definizione del prezzo.

In questo caso la verifica del pregresso non è trasferibile al pubblico e resta in capo al professionista privato.

 

I cambi d’uso

Uno degli aspetti più coinvolgenti (e stravolgenti) è certamente la liberalizzazione dei cambi d’uso dell’articolo 23-ter condizionabili solo attraverso specifiche disposizioni delle amministrazioni comunali.

La legge non chiarisce in modo cristallino se si possano o no utilizzare le norme già in essere, ma su questo punto la circolare MIT 1/2025 è stata tassativa: deve trattarsi di norme nuove, ad hoc, successive alla legge n. 105/2024.

Norme che non possono neppure dipendere da legislazioni regionali (che per loro natura devono essere di contenuto generale), perché devono essere unicamente scaturenti da analisi documentate e puntuali che solo l’amministrazione comunale può conoscere e motivare. Le legislazioni regionali infatti sono relegate a ruoli di eventuale ulteriore “semplificazione” (comma 3) o per disciplinare i primi piani fuori terra o seminterrati (? - comma 1-quater, 4° periodo) o per la definizione dell’urbanizzazione secondaria da corrispondere (! - comma 1-quater, 3° periodo).

E’ evidente che la responsabilità di redigere o meno siffatta normazione non può ricadere sui tecnici comunali, ma sul consiglio comunale che ne ha la competenza; però la sollecitazione, il supporto tecnico e la segnalazione di eventuali “urgenze” (e l’eventuale predisposizione di una normativa ad hoc) questo sicuramente sì: è competenza dei tecnici. Anche perché la legge richiede che sia una formulazione tecnica oggettivamente sostenibile e motivata (“tecnica” appunto).

Tra queste possibili norme ci sarebbero anche quelle dirette alla “finalizzazione” dei cambi d’uso nei condomini (norma di incerto contenuto e finalità) (v. comma 1-quater, 1° periodo).

 

Deroga alle norme igienico-sanitarie

Abbiamo già detto che la deroga alle norme igienico-sanitarie (comunque esperibili solo su edifici esistenti e per interventi di recupero edilizio su interi edifici o ristrutturazione su unità immobiliari singole – così dice testualmente la norma del comma 5-ter) sono vieppiù condizionate dall’assenso dell’amministrazione comunale e dalla certificazione che la riduzione dei parametri dimensionali comporti comunque un “miglioramento” delle condizioni igienico-sanitarie con possibilità da parte del comune di imporre anche prescrizioni specifiche (!).

Ne abbiamo dettagliatamente detto in InGenio 26.08.2024 – Le deroghe igienico-sanitarie del Salva-Casa e le condizioni di applicabilità e ancora 27.08.2024 – La procedura e i requisiti migliorativi sostitutivi per le deroghe igienico-sanitarie del Salva-Casa”.

Con quale competenza non è dato sapere, se non interpellando un medico-igienista di cui suggerisco alle amministrazioni comunali di dotarsi.

La condizione di legge però non è un suggerimento: è un obbligo.

Perché non è vero l’automatismo dell’applicazione delle norme derogatorie, come ingannevoli notizie di stampa hanno spesso pubblicizzato; se saranno applicate senza le (pur problematiche) verifiche di merito si configureranno inadempimenti della Pubblica amministrazione.

 

Danno paesaggistico

Un ulteriore gravame che ricade sulle amministrazioni comunali è la redazione della perizia di stima che valuti sia il danno paesaggistico sia il maggior vantaggio conseguito dalla violazione in campo paesaggistico. E su quella base applicare una sanzione (art. 36-bis, co. 5-bis).

Ora, la stima di un maggior vantaggio patrimoniale potrà anche essere un problema di ordinaria amministrazione per un tecnico comunale, ma la valutazione del danno paesaggistico richiede indubitabili competenze che generalmente non si trovano già disponibili nella maggior parte dei comuni italiani (non foss’altro che per la limitata dimensione).

Sul come si provvederà ho sentito variegate ipotesi, alcune anche fantasiose o addirittura inopportune.

 

Le attestazioni di conformità sismica sia per le tolleranze (art. 34-bis, co. 3-bis) che per le sanatorie (ex articolo 36-bis, co. 3-bis)

Il tecnico privato è chiamato ad attestare la conformità alle norme in materia antisismica sia in contemporanea certificazione dell’esistenza di tolleranze che concorrano allo stato legittimo (art. 34-bis, co. 3-bis), sia in caso di richiesta della nuova sanatoria cosiddetta asincrona (art. 36-bis, co. 3-bis); il che comporta anche l’attivazione del procedimento della Parte II, capo IV, sezione I del DPR 380/01 sulla cui specificazione non entreremo ora.


Sanatoria ex articolo 36-bis

La nuova sanatoria asincrona (così la definisce la dottrina) vuole che siano impartite prescrizioni di adeguamento sia in materia sismica che di accettabilità comportanti dunque:

  • esecuzione di nuove opere strutturali
  • eliminazione di opere non sanabili

addebitandone l’individuazione alle amministrazioni comunali in sede di istruttoria.

Sull’incongruenza dei tempi abbiamo già detto in un precedente scritto (v. InGenio - 28.02.2025 – “Auspicando che l’efficacia del Salva-Casa non si basi sull’(in)efficienza della Pubblica Amministrazione”), ma sulla competenza e cogenza dell’imposizione di tali prescrizioni c’è molto ancora da dire.

Alla sanatoria edilizia si sovrappongono anche le eventuali sanatorie sismiche e paesaggistiche (se dovute).

In merito possiamo dire che:

  • La richiesta della sanatoria sismica pare inequivocabile debba essere di iniziativa del privato richiedente;
  • quanto alla sanatoria paesaggistica invece pare debba essere attivata dal comune se si interpreta alla lettera il disposto del comma 4 dell’articolo 36-bis.

Ciò comporta una maggiore complessità procedimentale che inciderà sulla fluidità dei tempi disponibili per il parere finale, anche al netto delle maggiorazioni concesse per il parere della Soprintendenza. Infatti in caso di silenzio dell’Autorità competente (la Soprintendenza) è vero che si forma l’assenso tacito, ma è anche vero che questo assenso si riferisce al solo parere della Soprintendenza restando inalterato il potere del comune di esprimere il proprio parere, se è vero, com’è vero, che in materia siamo di fronte ad una co-gestione del vincolo (v. InGenio - 07/07/2021 - “Autorizzazione paesaggistica: chiarimenti applicativi di una complessa co-gestione tra Stato e Regioni (comuni)”.

In altri termini il comune dovrà comunque esprimere il suo parere di competenza ancora una volta ricondotto negli esigui termini dei 45 giorni complessivi.

Il sospetto è che il silenzio-assenso impererà sovrano anche in questi casi.

 

Necessaria una interlocuzione pubblico/privato

Quel che più resta emblematico comunque è il potere-(dovere?) di imporre i necessari “interventi edilizi anche strutturali” per assicurare la rispondenza ai requisiti di sicurezza (sismica e anche statica?) e l’eliminazione delle “opere che non possono essere sanate” neppure ai sensi del novello articolo 36-bis.

Procedura innovativa e apprezzabile (finora ritenuta inammissibile dalla giurisprudenza visto che il potere conformativo era riservato alla sola s.c.i.a. ex articolo 19, co. 3, 2° periodo della legge n. 241/90) che però va gestita con buon senso e rapporto collaborativo tra richiedente ed esaminante rifacendosi (come abbiamo più volte raccomandato) più ai principi e alle finalità della norma che al suo dettato letterale. Che sul punto fa capire cosa vuole, ma non lo disciplina.

Sulla corretta applicazione finalistica di questo aspetto si giocherà gran parte dell’efficacia della nuova normativa sanante.

In ogni caso gli adempimenti per la gestione del procedimento restano assai problematici e presumibilmente si tradurranno nella necessità di una revisione/riproposizione dell’istanza in quanto comportano una necessaria interlocuzione tecnica tra privato e pubblico per raggiungere l’equilibrio del sanabile con integrazioni strutturali rispetto all’esistente e presumibilmente un nuovo progetto.

Allegati

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

Scheda

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