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I limiti della digitalizzazione nelle costruzioni e la fine della grande narrazione sulla transizione gemella

I settori delle costruzioni e dell'immobiliare stanno affrontando un'importante transizione digitale, ma la mancanza di cultura del dato e di competenze ostacola il progresso. Una strategia complessiva che coinvolga l'intero sistema è necessaria per sfruttare il potenziale delle tecnologie digitali e affrontare la sfida collettivamente.

Digital Twin e intelligenza artificiale: un'ambizione frenata dalla mancanza di cultura del dato

Si fa attualmente, pure nel settore della costruzione e dell’immobiliare, un gran parlare di Gemello Digitale (supportato, tra gli altri, dall’Internet of Things) e di Intelligenza Artificiale, due tematiche di notevole tecnicalità, se considerate dal punto di vista degli esperti di dominio, le cui versioni proposte nello specifico andrebbero sottoposte ad attento e rigoroso vaglio da parte di un pubblico sovente distratto e frettoloso.

Per un verso, ci si attenderebbe che i modelli di simulazione del funzionamento di un processo gestionale di concezione e di realizzazione degli interventi o di un prodotto immobiliare o infrastrutturale fossero così raffinati e attendibili da permettere un accentuato livello di controllo sui fenomeni da parte dei processi decisionali alimentati da flussi di dati originati da recettori presenti sul e intorno al cespite fisico e riversati successivamente su di esso mediante attuatori.

 

Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università degli Studi di Brescia
Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università degli Studi di Brescia. (Ingenio)

 

Per un altro canto, questi modelli di simulazione, al limite, anche non basati su teorie in grado di fornire spiegazioni causali, bensì su altri approcci, dovrebbero essere aumentati nelle loro prestazioni da dispositivi capaci di giungere al grado assoluto di predittività, ben oltre l’universo della previsione, di per sé stesso ulteriore rispetto alla reattività.

Sembra palesemente esservi una sorta di contraddizione tra la grande e pervasiva difficoltà del settore nell’acquisire una razionalità digitale e una cultura del dato, almeno a livello sistemico, e l’ambizione di giungere a possedere metodi e strumenti capaci di governare e di dominare aleatorietà e incertezza nelle dinamiche dei processi e dei prodotti.

Sullo sfondo di questa scommessa sta il presupposto che sia la domanda, pubblica e privata, a innescare comportamenti virtuosi nei confronti delle catene di fornitura, non solo a partire dalla configurazione del capitolato informativo, ma, ben anticipatamente, con la configurazione di un sistema di gestione dei processi digitalizzati; epperò, quasi mai ciò accade nella direzione di una profonda interiorizzazione del tema.

In alternativa, si può ipotizzare il ruolo positivo esercitabile da finanziatori e da investitori, peraltro alla ricerca di metriche computazionali atte a misurare la compliance agli ESG Criteria, allorché fosse chiaro a essi che la digitalizzazione contribuisca a mitigare il rischio di insuccesso di un investimento e che, pertanto, anche nell’ottica della Twin Transition, sia opportuno assicurare che gli operatori mettano in atto strategie e tattiche consone.

La suggestione, in questa occasione, consisterebbe nella possibilità che le istituzioni e gli istituti finanziari esercitassero forti pressioni su committenti e gestori di patrimoni immobiliari e infrastrutturali e che modelli linguistici di grandi o di piccole dimensioni svolgessero azioni di supplenza nei confronti degli operatori medi del mercato.

Ciò che, tuttavia, rileva è il fatto che il pensiero retrostante riveli una embrionale presa di consapevolezza di due tematiche fondamentali, connesse a quanto appena ricordato: il valore del dato e la possibilità (o meno) di formulare previsioni e predizioni disponendo di modelli di calcolo e di simulazione in grado di fornire spiegazioni causali per tali vaticinî.

In poche parole, i soggetti committenti, professionali e imprenditoriali maggiormente attrezzati iniziano a rendersi conto di disporre, invero da tempo, di data set da cui possano trarre significativi ritorni: sia per migliorare gli algoritmi più tradizionali a loro disposizione da tempo sia per utilizzare soluzioni più inedite, per sfruttarne le capacità emergenti.

 

I dati come risorsa chiave: un ostacolo da superare

La consapevolezza in merito al valore del dato provoca, tuttavia, quesiti sulla disponibilità dei loro detentori a condividerne la proprietà o l’utilizzo. Esauritasi, in effetti, la volgata relativa alla collaborazione e alla condivisione (delle informazioni), la valorizzazione del dato, direttamente e indirettamente, inizia a giocare un ruolo nelle transazioni tra le parti in causa.

Naturalmente, questo fenomeno sancisce un divario tra coloro che restano indifferenti alla cultura del dato, coloro che si predispongono a una accettazione formale del cosiddetto BIM o di altre soluzioni tecnologiche e, infine, coloro che cercano di acquisire una razionalità digitale.

A fronte di tale evoluzione della transizione digitale è palese che sorgano due ordini di argomenti con cui fare i conti: la relatività della progressione nella maturità digitale, che richiede di operare differenziazioni negli obiettivi; la necessità di un disegno generale atto a orientare la trasformazione e a gestire il cambiamento, che implica la predisposizione di infrastrutture strategiche e critiche immateriali.

Se, infatti, il primo aspetto suggerisce di evitare modelli lineari universali di progressione della cosiddetta maturità digitale, sempre più in voga, il secondo risvolto induce ad auspicare che la transizione non sia più lasciata a sé stessa, a uno spontaneismo debolmente stimolato da provvedimenti legislativi la cui cogenza potrebbe tradursi in un vuoto formalismo.

Deve, infatti, essere chiaro che i sistemi complessi offerti dai soggetti della domanda, pubblica e privata, e dall’offerta, professionale e imprenditoriale, non possono essere governati superficialmente con parole d’ordine come, di fatto, appunto non sono, ma suonano, Information Modelling, Digital Twinning, Artificial Intelligence.

Tra l’altro, a un acuto osservatore non sfuggirà il fatto che, a causa della diffusione della digitalizzazione nella fase produttiva e realizzativa e al contestuale prossimo inverno demografico, termini come Automazione o Robotica inizino a presentarsi come più pressanti o meno remoti, facendo prefigurare un sempre più ridotto dell’apporto umano nelle attività che, a dispetto della retorica, attualmente resistono fortemente alla evoluzione digitale.

Stiamo, infatti, parlando, per ogni fase temporale di un programma o di un progetto di investimento e per ogni settore specifico di intervento, della graduale possibilità che tutti gli attori accettino di muoversi entro infrastrutture immateriali, come gli Spazi Europei dei Dati, secondo logiche relazionali e contrattuali destinate incrementalmente ad affrancarsi dalla nozione di documento.

Gli European Data Space diverranno, infatti, sempre più verticali, andando a influire sulla CPR (Construction Products Regulation) e sul DPP (Digital Product Passport), ma anche sui Common Data Environment.

Qui risiede il grande impedimento di apparati mentali che concepiscono prevalentemente infrastrutture fisiche, tangibili, stentando a vedere, letteralmente, ciò che è invisibile, nonostante che, ad esempio, il Cloud Computing sia ormai appannaggio della quotidianità.

Gli operatori di cui si discorre agiscono, peraltro, in un contesto che si propone di migliorarne la produttività e di ottenere agenti valoriali sulle tematiche della resilienza e di una sostenibilità sempre meno legata esclusivamente ai fattori ambientali ed energetici o alla neutralità climatica, ma, piuttosto sempre più orientata ai temi sociali ed etici.
Il punto è, però, dopo almeno tre lustri di racconti e di narrazioni, di comprendere per che cosa e come, la doppia transizione, ecologica e digitale, possa andare oltre circoscritte ottimizzazioni di prassi analogiche e modeste misure orientate da buone intenzioni.


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