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Governare il Cambiamento nel Settore dell'Ambiente Costruito

Il settore della costruzione e dell'immobiliare è attualmente soggetto a una fase evolutiva di grande intensità. Come affrontare e governare il cambiamento? Una riflessione di Angelo Ciribini

Il settore della costruzione e dell'immobiliare, così come altri ambiti economici e produttivi, è attualmente soggetto a una fase evolutiva di grande intensità.
In Paesi come il nostro tale cambiamento è percepito alla luce della grande crisi strutturale, ben più che recessiva, che ha connotato, più o meno, gli ultimi tre lustri, mentre altrove si proviene da importanti fasi espansive.
In ogni caso, non vi ha dubbio che il combinato disposto di una serie di fenomeni stia determinando una trasformazione che, almeno in parte, si potrebbe definire, senza tema di smentita, radicale.

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Integrazione, unitarietà, collaborazione: le parole chiave del settore della Costruzione e dell'Immobiliare

Alla luce di questa premessa, vale la pena di osservare come il settore stia lentamente prendendo coscienza della propria natura, per così dire, «unitaria».

In altre parole, sia pure con notevoli difficoltà, si riscontra un certo interesse per ricondurre a sistema la Domanda e l'Offerta, la componente professionale e quella imprenditoriale, il segmento della Costruzione e quello dell'Immobiliare.

Tale attitudine sembra, naturalmente, condizionata dall'esigenza, per così dire, forzata di acquisire maggiore visibilità mediatica e migliore potere negoziale nei confronti degli interlocutori, delle istituzioni politiche e finanziarie, ma resta, non di meno, il fatto in se medesimo.

Di là da situazioni contingenti, ricondurre a sistema soggetti eterogenei significa cercarne una integrazione che appartiene, sicuramente, a una concezione «industriale» del comparto che, però, nell'accezione consueta dipende dalla possibilità di conservare una distinzione di ruoli e di fasi temporali, come tipicamente accade per la committenza, per la progettazione, per la realizzazione, per la manutenzione/gestione.

Il racconto contemporaneo sottolinea, però, una certa qual inversione dei termini, enfatizzando il ciclo di vita dei cespiti, implicitamente richiedendo che la cosiddetta integrazione veda una più elevata commistione di ruoli, di attività e di responsabilità.

Lo stesso ciclo di vita, valorizzando la prestazionalità dei beni immobiliari e infrastrutturali, evidenzia, in qualche modo, una prossimità tra professionalismo e imprenditività, chiamati «solidalmente» a una assunzione di responsabilità nei confronti di committenti, di gestori e di utenti.

La diffusione delle forme contrattuali di carattere partenariale non fa altro che rafforzare il fenomeno, innescando, almeno in apparenza, atteggiamenti cooperativi.

Se, dunque, la categoria della collaborazione sembra potersi imporre nel medio periodo, la con-fusione che ne potrebbe derivare appare difficilmente accettabile per rappresentanze che spesso inscenano conflitti addirittura intra-corporativi: ad esempio, relativamente ai conflitti di competenze o alla natura societaria.

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In realtà, rendere sistemico il settore vuol dire anche rivedere le catene del valore e, di conseguenza, non solo fare sì che vi sia una maggiore interazione tra le categorie di operatori, ma pure metterne in discussione il posizionamento e, talvolta, l'esistenza.

È palese, perciò, che sia molto impegnativo assicurare una integrazione che mantenga tratti di distinzione, ovvero permettere una riconfigurazione che riallochi gli attori nella filiera e nelle catene di fornitura senza generare, per alcuni, un ridimensionamento o persino la scomparsa, come potrebbe essere, ad esempio, coll'avvento dell'industrializzazione edilizia oppure colla digitalizzazione della distribuzione commerciale.

A complicare il già problematico quadro sta, inoltre, l'avvento dello sviluppo urbano e territoriale «intelligente» e «sostenibile» che, a titolo esemplificativo, chiama potenzialmente in causa in qualità di attori principali le Utility e magari le Tech Company, poiché affianca alle categorie della circolarità, della decarbonizzazione, della digitalizzazione, della sostenibilità, l'innovazione sociale, dibattuta tra partecipazione e sorveglianza.

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È chiaro, allora, che una simile situazione non possa che richiedere, da parte dei decisori politici, una politica industriale per l'ambiente costruito, declinabile in strategie condivise dalle parti, che permetta di governare un cambiamento i cui tratti sono oggettivamente incerti, ma che appare irreversibile, consentendo difficilmente la preservazione degli assetti attuali, al contempo, consolidati, ma già provati duramente.

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Non si tratta di un compito facile: anzi, esso può apparire talora aporetico od ossimorico.

Per questa ragione, per uscire da una possibile contraddizione, occorre un confronto serrato e un dibattito franco sul futuro del settore.

L'Accademia potrebbe contribuirvi in maniera decisiva.