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Gli spazi aperti della vita monastica: valorizzazione e recupero microclimatico per la città del futuro

Come possiamo progettare interventi di recupero che rispondano alle sfide della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici? È possibile affiancare tutela e restauro a un approccio climate-oriented? La risposta è in questo studio.

Tra i numerosi spazi aperti storici che connotano le nostre città, il ruolo di mediatore termico affidato agli spazi verdi e pavimentati dei chiostri e dei cortili annessi è un tema ancora molto sottovalutato.

Negli ultimi anni la pressante esigenza di recuperare e preservare il patrimonio costruito storico ha trascurato tali spazi aperti, spostando l’attenzione e le azioni di recupero verso i grandi complessi monumentali. D’altra parte, gli effetti del cambiamento climatico hanno esacerbato le molteplici necessità conservative del patrimonio storico, assieme alla necessità di recuperare e rivitalizzare quelle piccole porzioni di spazio aperto, tanto benefiche, quanto difficili da gestire.

Il contributo qui presentato si sofferma dunque sull’analisi del ruolo che gli spazi aperti storici quali i chiostri urbani possono oggi rivestire, sia in termini di resilienza termica urbana sia in termini di resilienza sociale.

Per tale scopo, all’analisi storica e tipologica è possibile oggi affiancare il ruolo delle valutazioni microclimatiche, come strumento conoscitivo e progettuale da integrare alla consolidata prassi del restauro, per rispondere in maniera coerente alle necessità poste del clima che cambia.

 

I grandi complessi monastici e i chiostri nella città storica

Questo contributo si focalizza sull’indagine delle numerose potenzialità ambientali e funzionali dello spazio aperto dei chiostri urbani, una tipologia tanto diffusa quanto sottovalutata, sia dal punto di vista tipologico, sia da quello ambientale, seppur abbondantemente diffusi all’interno del tessuto urbano delle nostre città storiche.

L’obiettivo è quello di identificare alcuni elementi ricorsivi che caratterizzano tali spazi, e di valorizzarne il ripristino e la salvaguardia, come elementi di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, in un panorama dove gli spazi aperti, vegetati e multifunzionali sono sempre meno numerosi, ma altrettanto richiesti dagli utenti della città.

L’aumento della popolazione che oggi vive nei grandi centri urbani e le mutate esigenze del vivere sociale hanno restituito attenzione al tema della carenza degli spazi aperti urbani, sempre più scarsi e prevalentemente resi impermeabili nel corso dei secoli. Il vantaggio di poter fruire di spazi aperti verdi all’interno del denso tessuto urbano si collega non solo ad aspetti funzionali e sociali, ma è riconosciuto essere tra le strategie più efficaci per contrastare l’isola di calore urbana, fenomeno sempre più evidente negli agglomerati urbani.

Sebbene gli spazi aperti siano per antonomasia identificati come la piazza, i portici e i parchi urbani, è possibile riconoscere i caratteri propri dello spazio aperto urbano anche in un’ulteriore tipologia edilizia, tradizionalmente esclusa da tale classificazione, ovvero i chiostri dei grandi complessi monastici e conventuali.

Inoltre, il peso crescente assunto dalle azioni volte a promuovere interventi urbani di resilienza termica e sociale per ridurre e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul patrimonio culturale, gettano nuova luce sull’importanza di preservare e restituire alla città gli spazi aperti dei chiostri urbani. Gli effetti generati dal cambiamento climatico sono infatti tra i principali responsabili di numerosi fenomeni localizzati che impattano il patrimonio costruito, ancor più quello storico, rendendosi responsabili di numerosi fenomeni di degrado degli ecosistemi, di problemi alla salute umana, oltre a evidenti danni al patrimonio culturale. Le strategie di adattamento convenzionali e consolidate negli ultimi decenni si sono tradizionalmente focalizzate su complessi di edifici, se non su interi isolati urbani o quartieri, ponendo dunque al centro del dibattito singoli manufatti o sulle aree aperte storiche, come le piazze monumentali, trascurando, d’altro canto, una vasta gamma di spazi ibridi, verdi e di transizione come cortili e chiostri, portici e loggiati.

Gli spazi aperti urbani, anche di piccole dimensioni, assieme ai cosiddetti spazi di transizione, fungono da zone cuscinetto, nonché da collegamenti fisici tra ambienti esterni ed interni e sono storicamente utilizzati come opportunità in cui fruire e beneficiare di condizioni protette, sia dal punto di vista termico e acustico, sia energetico, oltre ad essere impiegate per funzioni private o pubbliche.

La presa di coscienza di come tali spazi siano permeati di molteplici significati, che travalicano il valore storico testimoniale, e siano in grado di rappresentare istanze energetiche e ambientali di valore per la città attuale, costituisce il punto di partenza della ricerca qui presentata. Comprendere dunque il corpus di funzioni, vantaggi e potenzialità che trascendono il valore intrinseco di questa esigua ma diffusa tipologia di edifici del patrimonio culturale significa comprendere e valorizzare le dinamiche microclimatiche, oltre che spaziali e sociali, dei chiostri urbani.

Gli spazi esterni, come cortili e chiostri, sono infatti storicamente progettati e impiegati come elementi edilizi che, oltre alle funzioni distributive e di protezione, si connotano come validi ed efficaci esempi di architetture bioclimatiche, impiegati come dispositivi passivi, per migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Questi spazi possono aiutare a controllare la temperatura esterna, ridurre la domanda di energia e ridurre il consumo dei sistemi di condizionamento degli spazi interni. Nonostante la loro ampia diffusione nel bacino mediterraneo sia per ragioni religiose, sia per ragioni storiche, ancora scarsa attenzione è stata dedicata agli spazi e al potenziale dei chiostri. Valutare e valorizzare dunque gli elementi ricorsivi, tipologici, morfologici e bioclimatici di tali spazi aperti può supportare sia il recupero e la valorizzazione di tali spazi, sia restituirli alla città come esempi adattivi rispetto ai fenomeni connessi al cambiamento climatico.

 

Da Hortus inclusus a spazio per la collettività

Lo spazio del chiostro è naturalmente connesso alla sua funzione monastica, ovvero quello di offrire a monaci e frati di diversi ordini un giardino sacro, un locus amoenus per eccellenza, un giardino reale dove coltivare frutti e erbe aromatiche, dove trovare spazio per camminare, pregare e riunirsi nei momenti di vita condivisa, ma allo stesso tempo raffigura un giardino simbolico, una sorta di archetipo biblico del paradiso terrestre, il giardino della creazione, da cui discende la vita dell’uomo e dell’intero creato. Il chiostro diviene elemento ordinatore attorno al quale si dipana e si scandisce la vita giornaliera e annuale dell’intero complesso monastico. Il carattere così peculiare del chiostro permette di distinguerlo facilmente dal cortile del palazzo nobile, con il quale, sebbene condivida elementi funzionali come i portici perimetrali e lo spazio centrale, sia esso pavimentato o trattato a verde, si differenzia per il carattere “pubblico”, rispetto al carattere privato del cortile. Lo spazio aperto del chiostro era parte di quel complesso agglomerato di funzioni che hanno portato a definire il monastero come una città nella città dove, nella protezione dei loggiati perimetrali, si dipanava la vita “pubblica” della comunità monastica.

Il chiostro, quindi, accoglie ed ospita le funzioni pubbliche e condivise della vita monastica. La compattezza e la chiusura del monastero si aprivano verso l’esterno proprio attraverso lo spazio del chiostro, il cui scopo primario era di concedere ai suoi ospiti protezione nei confronti dell’avversario umano, fosse guerriero o bandito e, più in generale, contro la pervasività del mondo. Nella vita monastica quotidiana lo spazio protetto e concluso delle logge, ma aperto alla contemplazione del cielo, supportava e sosteneva la qualità spirituale e simbolica di quegli ambienti.

Tra le sue mura, avvenivano plurime attività, non solo religiose ma anche di studio e di ricerca, di produzione e di coltivazione, di preghiera e di canto, tutte attività protette dalla chiusa stessa del recinto monastico, rispetto alle sollecitazioni secolari della vita cittadina.

Il carattere riservato e introverso dello spazio aperto monastico è parte fondante del cosiddetto genus monasticum, ovvero la necessità di assicurare sicurezza e benessere ai suoi abitanti, senza il quale ogni comunità rischiava l’atrofia spirituale. Il celebre distico scolpito su molte abbazie cistercensi sembra in sintesi raccogliere i caratteri essenziali dello spazio aperto del chiostro “O beata Solitudo, /o sola Beatitudo”.

Uno dei caratteri distintivi dello spazio del chiostro e dei suoi spazi annessi è la sua forma abbassata e schiacciata a terra, molto difforme dalle linee verticali delle grandi chiese romaniche e gotiche. La sua composizione con arcate basse e possenti che assicurano al chiostro protezione e raccoglimento in cui si compie la lectio divina, raccontano un senso di prostrazione degli ordini monastici, dediti alla preghiera e al lavoro, chinati alla parola divina. Protezione, raccoglimento, prostrazione caratterizzano chiaramente il chiostro urbano, differenziandolo ulteriormente dal chiostro isolato, tipico di alcuni ordini di carattere più cenobitico, come i Certosini e i Camaldolesi, che collocano i lori monasteri lontano dalle città, in angoli riparati e isolati dal mondo. La regola religiosa trova espressione compiuta nell’ordine compositivo ben rappresentato dalla pianta di San Gallo (Fig.1), in cui tutto è organizzato attorno ai portici del chiostro, che rimandano chiaramente ai peristili della casa romana. Lo spazio sacro del portico viene accentuato dalla mutevole luce che inonda variabilmente lo spazio coperto, che genera una sorta di zona protetta dagli agenti atmosferici o dallo sferzare della radiazione solare.

 

Rielaborazione della pianta di San Gallo. (© Wikimedia.org)

Il suo essere aperto al cielo e alle stanze limitrofe del convento, ma al tempo stesso chiuso e introflesso rispetto alla città caotica e peccaminosa, lo rende uno spazio storico ma al contempo innovativo, al quale oggi la città contemporanea può attingere con l’obiettivo della salvaguardia e della conservazione di tali caratteri distintivi, beneficiando al contempo di numerosi vantaggi, così carenti in altri spazi aperti.

Sebbene il chiostro, come elemento centrale del monastero e dell’abbazia, fondasse la propria forma su presupposti orientati alla trascendenza, oggi con la trasformazione della cultura occidentale, può assumere un nuovo ruolo, sociale e fisico, ravvivando quel carattere di recinto, sotto la cui egida nacque e si sviluppò per lunghi secoli in tutta Europa, nei cui spazi il dinamismo si contrappone alla vita lenta e monotona. Restituire un ruolo pubblico e sociale allo spazio aperto del chiostro urbano, in un certo senso, ravviva quel ruolo sociale e quell’attitudine alla prestazione culturale che, sin dalle origini, distinguevano la vita monastica.

 

Chiostri urbani come occasione di rigenerazione urbana e di contrasto del cambiamento climatico

Tra i numerosi spazi aperti che la città offre una scarsa attenzione è stata fino ad ora dedicata ai chiostri, ampiamente diffusi in tutto il bacino mediterraneo e nelle regioni di impronta cristiana.

Solo negli ultimi anni, la pressante necessità di offrire alle città spazi aperti urbani con aree verdi, ha trovato nei chiostri urbani un’occasione di recupero e valorizzazione.

Si pensi ai recenti interventi di recupero che hanno interessato a Reggio Emilia i cosiddetti chiostri di San Pietro, recuperati nel 2019, dopo anni di abbandono a seguito della trasformazione del complesso monumentale benedettino in caserma, destino condiviso da numerosi altri casi italiani.

Da area militare dismessa il complesso grazie all’intervento progettuale dello studio Zamboni Associati Architettura, non solo ha valorizzato lo spazio aperto monumentale, ma ha creato una nuova occasione urbana di impiego dello spazio aperto e protetto dei due chiostri (Figura 2): la trasformazione di poli abbandonati in contenitori dinamici e multifunzionali ha interessato anche il complesso dei chiostri del Correggio a Parma, recentemente restituiti alla città.

 

Valorizzazione e recupero microclimatico dei chiostri urbani per la città del futuro
Figura 2. Vista interna del chiostro grande del complesso di San Pietro a Reggio Emilia (© Barbara Gherri, Sara Matoti, Lisa Rovetta)

 

Nel 2022 è stato inaugurato il complesso dei chiostri di San Paolo, restituito all’uso pubblico grazie a finanziamenti regionali e comunali in concerto con finanziamenti di istituti privati che hanno consentito un attento intervento di restauro conservativo che si identifica, a tutti gli effetti, come un riuscito progetto di rigenerazione urbana . Il progetto ha essenzialmente riguardato il restauro del noto Chiostro della Fontana e del recupero funzionale di tutti gli antichi locali che si affacciavano sui percorsi perimetrali, sia a piano terra che al piano primo. Nel riuscito progetto dello studio Bordi Rossi Zarotti i locali ospitano la biblioteca Guanda e gli spazi afferenti al Laboratorio Aperto di Parma (Fig.3).

 

Valorizzazione e recupero microclimatico dei chiostri urbani per la città del futuro
Figura 3. Il chiostro centrale con fontana del complesso di San Paolo a Parma. (© Barbara Gherri, Sara Matoti, Lisa Rovetta)

 

Interventi di recupero di chiostri urbani si collocano anche più indietro nel tempo con il celebre recupero a firma di Giancarlo de Carlo nel caso del Monastero benedettino di San Nicolò l’Arena a Catania, alla fine degli anni Ottanta recuperato e rifunzionalizzato per ospitare strutture ed aule dell’università di Catania (Fig.4).

 

Valorizzazione e recupero microclimatico dei chiostri urbani per la città del futuro
Figura 4. Vista della fontana all’interno del chiostro del complesso monastico benedettino di San Nicolò l’Arena a Catania. (© Barbara Gherri, Sara Matoti, Lisa Rovetta)

 

In generale si osserva come l’attenzione e la cura riservata al recupero del valore storico testimoniale di tali complessi, ma ancora di più per la valenza urbana di questi spazi di transizione, aperti verso il cielo ma riparati rispetto alle sollecitazioni della città odierna, costituiscono una vera e propria sfida, che travalica il semplice restauro conservativo e abbraccia pienamente le istanze ambientali, volte a contrastare gli effetti del cambiamento climatico di oggi e del prossimo futuro.

In un contesto così sfidante si colloca sempre in maniera più evidente la necessità di offrire a progettisti e amministratori strumenti di valutazione numerica che siano in grado di offrire non solo un quadro conoscitivo microambientale quanto più raffinato e dettagliato possibile, ma che costituiscano una base di dati da cui fare scaturire un progetto integrato di recupero, riuso e valorizzazione, climaticamente responsabile.

In un siffatto contesto, la necessità di valutare simultaneamente le prestazioni indoor e outdoor nel patrimonio culturale è ancora sottovalutata, nonostante sia ampiamente diffusa la consapevolezza delle potenzialità di algoritmi e strumenti (tra cui, ad esempio ENVI-met e Ladybug Tools) che indagano e simulano numericamente le condizioni micro-locali, prevedendo comportamenti energetici ed ambientali sulle condizioni di vivibilità del costruito e dell’adiacente spazio esterno.

 

La conoscenza dei fenomeni derivanti dal microclima urbano è fondamentale per affrontare e coordinare la creazione di soluzioni progettuali che promuovano il comfort outdoor attraverso strategie climate oriented e coscienti del cambiamento climatico in atto, aumentando la vivibilità all'aperto e riducendo il consumo energetico degli edifici limitrofi.

 

Questo approccio considera parametri come la radiazione solare, la velocità del vento, l'umidità relativa, la temperatura media radiante e la topografia del luogo per controllare e gestire le preferenze individuali, i materiali di finitura del contesto urbano, così come la presenza e la qualità del verde urbano, sin dalle prime fasi del processo progettuale. Il fatto che le condizioni microclimatiche abbiano un impatto significativo sulla percezione del comfort delle persone, nonché sulla frequentazione e l'uso che le persone fanno degli spazi esterni è ormai ampiamente riconosciuto, ma ancora eccessivamente trascurato dal punto di vista operativo e pianificatorio.

 

Le valutazioni microclimatiche e le proiezioni al futuro

L'obiettivo delle valutazioni microclimatiche è dunque quello di esaminare i fattori ambientali che influenzano il comfort e il discomfort localizzato e studiare il comportamento dello spazio aperto tra gli edifici.

Per raggiungere l'obiettivo, l'analisi quantitativa microclimatica si concentra sull'identificazione dei vincoli e delle possibilità di resilienza termica di questi spazi.

Le variabili che regolano il microclima sono tra i molti fattori che influiscono direttamente sulla vivibilità delle città densamente costruite e rivestono un ruolo cruciale nella determinazione delle condizioni di comfort all'aperto, per garantire una condizione di salute e benessere e per incrementare le opportunità intrinseche agli spazi stessi di promuovere la creazione di spazi confortevoli, ambientalmente ed energeticamente sostenibili.

Con il termine valutazioni microclimatiche si intendono quel complesso corpus di osservazioni da condursi attraverso software specifici, che indagano le complesse connessioni che interagiscono con un dato luogo, mettendo a sistema gli effetti reciproci dei parametri ambientali (temperatura dell'aria, temperatura media radiante, velocità del vento, umidità relativa, radiazione solare diretta e riflessa) e delle caratteristiche morfologiche, tipologiche e dei materiali di rivestimento e finitura delle superfici esterne dei manufatti.

Per la complessità intrinseca di queste valutazioni, congiuntamente al carattere estremamente variabile legato alle condizioni al contorno, tali indagini sono applicabili con maggiore verosimiglianza a porzioni contenute di tessuto urbano. L'analisi microclimatica si applica prevalentemente e con maggior facilità (sia a livello di calcolo, sia per ciò che attiene la lettura degli esiti) alla microscala, dove le condizioni ambientali, climatiche, antropiche e funzionali possono essere considerate omogenee.

In tal senso, l'unità di quartiere assume le caratteristiche migliori per la "dimensione analitica e progettuale", sia nel caso si debba affrontare un’indagine microclimatica da affiancare alla riqualificazione o alla rivitalizzazione di alcune porzioni di città.

[...] CONTINUA LA LETTURA NEL PDF IN ALLEGATO

L'articolo prosegue approfondendo un caso studio specifico: le indagini microclimatiche condotte nel progetto di rifunzionalizzazione del complesso di San Francesco del Prato a Parma. L’Università di Parma, che dal 1993 dispone dell’uso gratuito e perpetuo del complesso per finalità istituzionali, ha avviato un importante intervento di recupero e restauro, con l’obiettivo di realizzare 87 nuovi alloggi per studenti, oltre a spazi comuni e aree di socializzazione.

 

Valorizzazione e recupero microclimatico dei chiostri urbani per la città del futuro
Figura 7. Mappe relative ai valori di MRT, secondo quanto valutato per l’anno 2080 e viste di progetto dei chiostri del complesso di San Francesco del Prato a Parma. (© Elaborazioni di Federica Nigro)

 

L’analisi microclimatica è stata eseguita utilizzando il software ENVI-met, mentre il file climatico relativo alla città di Parma è stato generato tramite il software Meteonorm. Per approfondire sui risultati delle indagini, scarica l'articolo completo in formato PDF.

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