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Gli impianti fotovoltaici in isola a servizio di rifugi alpini

Considerazioni pratiche sulla progettazione di impianti fotovoltaici a isola di due rifugi alpini

In strutture come i rifugi alpini, spesso lontani dalla rete elettrica, per generare energia si ricorre all'installazione di impianti fotovoltaici. Di seguito alcune considerazioni pratiche sulla progettazione di impianti fotovoltaici di due rifugi.

L'impianto elettrico in isola

Un impianto elettrico si dice in isola quando non è allacciato ad una rete elettrica che metta a disposizione energia con immediatezza (l’esempio più calzante è la rete elettrica nazionale). In gergo un impianto di questo tipo si dice off-grids, mentre l’impianto collegato alla rete si dice on-grids.

Ci sono un’enormità di impianti elettrici in isola, più o meno permanente, basti pensare a tutte le navi fino ad arrivare alle auto elettriche. Quello che interessa qui sono, però, gli impianti che hanno anche una generazione fotovoltaica.

Come penso sia noto ormai a tutti, un impianto fotovoltaico utilizza l’energia solare per generare energia elettrica. Applicando la definizione di impianto in isola, quello fotovoltaico sarà tale se non è collegato a una rete elettrica, mentre in tutti gli altri casi (esistono anche casi parziali, ma se ne parlerà) non lo sarà.

Quelli in isola, ai più, sembrano essere una sparuta minoranza, in realtà oltre ad essere state le prime applicazioni, sono molto diffusi. Si pensi alle segnalazioni marittime, ai servizi elettrici a bordo di un’imbarcazione a vela o ad un camper (che sono in realtà misti perché qualche volta vengono collegati a una rete elettrica), all’illuminazione di segnali stradali, all’alimentazione di ponti radio telefonici terrestri o satellitari; ovviamente in tutte quelle applicazioni dove ci siano difficoltà di collegarsi ad una rete elettrica. Queste ultime in genere sono determinate da ragioni logistiche che rendono difficile tecnicamente o anche economicamente portare un allacciamento alla rete elettrica. Appunto per entrare nell’argomento dell’articolo, un caso tipico di ubicazione disagiata sono i rifugi e le baite di montagna. In genere questi impianti sono molto semplici, ma a volte, soprattutto se vanno ad alimentare impianti elettrici complessi, richiedono attenzioni da non sottovalutare.

Alcune premesse tecniche sugli impianti fotovoltaici

La radiazione solare viene captata da particolari pannelli che sfruttando l’effetto fotoelettrico (ad A. Einstein è stato attribuito il premio Nobel per questo) convertono l’energia ricevuta in energia elettrica, o meglio generano una forza elettromotrice (f.e.m. cioè tensione con circolazione di corrente elettrica). Chiaramente la quantità di energia elettrica sarà condizionata da come arriva la luce sul pannello (orientamento, inclinazione, superficie, ma anche stato del cielo come nuvole e inquinamento atmosferico, ma anche se il pannello è sporco o ricoperto da uno strato nevoso). In ogni caso il rendimento massimo fra energia solare e energia elettrica generata si attesta intorno al 20%. Tralascio la tecnologia che ci porterebbe lontano.

Ogni pannello viene identificato dalla potenza elettrica di picco (kWp) a 25 °C di temperatura. Con campo fotovoltaico si identifica un insieme di pannelli fotovoltaici combinati fra loro con collegamenti elettrici; ad esempio 20 pannelli da 0,25 kWp daranno un campo fotovoltaico da 5 kWp. 

La f.e.m generata è di tipo continuo (DC), ma la tensione (e quindi la corrente) è comunque legata alla quantità di luce ricevuta. Per cui sarà massima in condizioni di cielo sereno, mentre potrà ridursi, anche a zero, qualora ci siano nuvole oppure i pannelli vadano in ombra. Per brevità mi fermo qui, ma chi è interessato trova, anche in rete, descrizioni dettagliate e casistiche specifiche. 

Gli utilizzatori che adoperiamo tutti i giorni vengono alimentati in corrente alternata sinusoidale (AC), pertanto per alimentarli con un campo fotovoltaico occorre convertire la corrente continua dei pannelli in alternata tramite un’apparecchiatura elettronica (in gergo “inverter”). Uno schema a blocchi dell'impianto ad isola in fig.1. 

impianto in isola

Fig.1 impianto in isola

Un impianto semplice di questo tipo in pratica non può funzionare perché instabile. Infatti, a parte il solo funzionamento diurno, immaginate che in pieno sole stia alimentando un carico da 2 kW, arrivano delle nuvole che riducono drasticamente la potenza generata, il carico non viene più alimentato. Occorre perciò che ci siano delle soluzioni che rendono stabile l’alimentazione. 

 impianto in rete

Fig.2 impianto in rete

Quella di fig.2 è la schematizzazione più comune degli impianti fotovoltaici in rete. La stabilità si ha perché, gli utilizzatori vengono alimentati sia dall'impianto fotovoltaico che dalla rete elettrica nazionale ritenuta sempre disponibile. L’elemento SPI sta per sistema di protezione di interfaccia. La sua necessità deriva dal fatto che l’inverter funziona in “parallelo” alla rete e quindi in caso di problemi quest’ultima deve essere scollegata per sicurezza. L’esempio l’ho fatto, perché se guardiamo le fig. 1 e 2 vediamo che qualora la rete venga staccata si ritorna all’impianto in isola descritto nella fig.1 che come abbiamo già detto è instabile. In questo caso si dice che si è passati in “isola indesiderata” e quindi devono essere presi altri provvedimenti quale ad esempio staccare gli utilizzatori.

Se si sostituisce la rete elettrica nazionale con una rete locale o un gruppo elettrogeno ecco che si può ritornare ad una condizione stabile

impianto in isola teorico

Fig.3 impianto in isola teorico

L’impianto di fig.3 l’ho denominato teorico, perché oltre ad avere dei limiti su cui ritorneremo, presuppone che il gruppo sia sempre in moto. Questo può anche starci, ma non è proprio il massimo. Da notare poi che SPI è stato sostituito da PI in quanto mentre il primo è soggetto a normativa obbligatoria (Cei 0-21) il secondo non è detto che sia lo stesso in quanto sono sufficienti requisiti meno stringenti.

Arriviamo quindi ad una configurazione tecnicamente più corretta.

 impianto in isola con batteria

Fig. 4 impianto in isola con batteria

Tipico impianto in isola di un rifugio alpino

Arriviamo così a un tipico impianto in isola di un rifugio alpino. Il tratteggio sta ad indicare che la parte fotovoltaica potrebbe anche non esserci ovvero essere sostituita da altro impianto di fonte rinnovabile come ad esempio un eolico. L’inverter di batteria però è bidirezionale in quanto può funzionare sia in scarica della batteria che in carica. Pertanto il fotovoltaico può funzionare stabilmente con la batteria nelle ore di sole, sarà compito di quest’ultima andare a coprire l’energia mancante o che il fotovoltaico non riesce più a fornire. Qualora la batteria non avesse carica sufficiente si avvia il gruppo elettrogeno che oltre a supplire alle mancanze del fotovoltaico, andrà a ripristinare la carica della batteria.

Qualcuno dirà: ma io ho un impianto in rete che è fatto più o meno così. Attenzione che è profondamente diverso perché:

  • La rete è sempre disponibile con immediatezza, mentre il gruppo elettrogeno deve avviarsi scaldarsi e infine connettersi; per cui il sistema di batteria deve riuscire a continuare ad alimentare gli utilizzatori per questo tempo altrimenti per sicurezza il sistema si esclude (per salvare la batteria)
  • In un sistema in rete la batteria viene utilizzata principalmente per motivi tariffari in quanto l’energia immessa in rete viene compensata meno di quella prelevata. Per cui di notte fa comodo con carichi ridotti andare a prelevare dalla batteria anziché dalla rete, mal che vada compensa sempre quest’ultima. Nel sistema in isola la batteria è molto più grossa perché deve alimentare con sicurezza gli utilizzatori e per più tempo come accennato al punto precedente

Vale la pena accennare, anche se non mi dilungherò molto, all’abbinata gruppo-batteria. Il Gruppo elettrogeno è costituito da un motore a combustione interna che fa girare un generatore elettrico sincrono. Per questione di frequenza della forza elettromotrice generata, il motore è costretto a girare a una velocità fissa (in genere 1500 giri/min) in qualsiasi condizione di carico. Per cui nel caso sia da solo deve inseguire i carichi, mentre con la carica della batteria preponderante il disagio è relativamente meno pesante. Poi, ad esempio, nel caso di carico assente o modesto è come il motore di un’automobile ferma, ma che non gira al minimo e quindi consuma di più. La batteria, in definitiva, con o senza carico elettrico della rete del rifugio, consente con la carica/scarica di utilizzare il gruppo in condizioni di carico migliori e per di più per tempi più brevi. Quindi, e per un ambiente montano non è poco, i tempi di utilizzo diminuiscono a vantaggio dell’immissione di fumi e rumore per un tempo minore. Immaginate la differenza, di rumore e inquinamento, fra un gruppo che funziona continuamente per 8 ore e un altro che funziona per 2 ore e poi sta fermo per le restanti 6. E’ vero la batteria costa, ma non siamo in un ambiente industriale dove, pur con dei distinguo, abbiamo più libertà.

Premessa tecnica sulla batteria

La batteria è l’elemento più importante e problematico di un impianto in isola. Direi che soprattutto sulla bontà e gestione di quest’ultima si gioca il successo o meno dell’impianto.

A dire il vero non lo è solo per questi impianti, ma purtroppo sul tema di stoccaggio dell’energia elettrica, pur con indubbi progressi tecnologici, siamo ancora indietro.

Oggi con le batterie agli ioni di Litio si è ovviato a diverse cose, ma purtroppo se ne sono portate altre negative (ad esempio la deriva termica con conseguente esplosione)

Per quello che ci riguarda tratterò solo delle batterie al piombo con elettrolita liquido (in gergo FLA) o disperso in gel. In sostanza sono tipologicamente le stesse che si ritrovano nelle automobili tradizionali, ma con accorgimenti tecnici superiori sia di qualità che costruttivi. Non tratterò della tecnologia e della fisica della batteria al piombo anche perché in rete si trovano in abbondanza trattati questi argomenti. Qui mi interessa focalizzare alcuni parametri importanti

Vita – Niente a questo mondo è eterno, ma trattandosi bene si può, fortuna permettendo, vivere a lungo. Una batteria trattata bene può durare anche più di 10 anni, a differenza di quelle sulle nostre automobili che hanno una durata di circa 5 anni. La batteria viene trattata male se:

  • Si scarica profondamente (solfatazione). Livello di carica inferiore al 20% della capacità
  • Si sovraccarica prolungatamente (si consuma l’elettrolita) Livello di carica prossimo al 100%
  • Viene lasciata scarica per lungo tempo. In queste condizioni con temperature sotto zero C° l’elettrolita ridotto ad acqua gela facendo scoppiare la batteria

Capacità una batteria viene identificata con la corrente che riuscirebbe a scaricare in un’ora. Una batteria da 100 Ah teoricamente potrebbe erogare questa corrente per un’ora. In realtà le prove si fanno con scariche a corrente inferiore e tenendo conto di tensioni non ridotte a zero; ad esempio scarica in 10 ore e con riduzione di tensione fino a 1,8 V per elemento da 2 V. Nel fotovoltaico la batteria viene spesso indicata con l’energia in kWh. Una batteria da 100 Ah a 12V corrisponde a 100x12=1200 Wh ovvero 1,2 kWh. 

Gestione - E’ importante tener conto che cicli di carica-scarica riducono la vita della batteria quanto più ampi sono e soprattutto quando la scarica è in profondità (in gergo si identifica con DOD “depth of discharge”). Anche se le batterie al piombo hanno un effetto “memoria” abbastanza ridotto, non di meno bisogna cercare di ripristinare dei livelli carica-scarica ragionevolmente ampi, perciò:

  • Effettuare dopo periodi di inattività delle cariche-scariche per la regolarizzazione 
  • Periodicamente (circa ogni 30 gg ad esempio) fare una carica a fondo
  • Le batterie sono composte da elementi da 2 V. Perciò una batteria da 48 V avrà 24 elementi posti in serie. Con il tempo però si creano delle differenze, per cui la tensione degli elementi non sarà omogenea. Per questo bisogna procedere, sempre periodicamente, a una carica a fondo di equalizzazione in modo da raggiungere anche gli elementi più “pigri”
  • I locali devono essere ben aerati durante una carica a fondo in quanto si sviluppano idrogeno e ossigeno. 
  • Periodicamente e in ogni caso dopo una carica a fondo bisogna, nel caso di elettrolita liqudo, controllare o ripristinare il livello dell’elettrolita aggiungendo acqua demineralizzata

Stato di carica -  E’ un parametro importante, ma difficile da valutare bene in quanto dipende da molti fattori. Lo stato di carica (in gergo SOC “state of charge”) dipende principalmente dallo stato di salute (in gergo SOH “state of health”) della batteria, in quanto una batteria vecchia e/o maltrattata ha una capacità minore di una nuova. Una misura della tensione della batteria, dipendendo dal carico, non dà affidabilità e neanche una misura a vuoto in quanto l’impedenza interna della batteria non è un dato costante valutabile a priori. Esistono dei sofisticati sistemi sui dispositivi di carica/scarica che valutano decentemente lo stato della batteria, ma occorrono delle operazioni di carica/scarica affinché possano farlo con buona precisione . Da considerare, infine, che una batteria non rimane carica per sempre, ma lasciata a se stessa si autoscarica. 

Gli installatori degli impianti fotovoltaici

Faccio un piccolo preambolo a questo punto, se qualcuno vuole criticarmi come colui che vuole togliersi dei sassolini dalla scarpe ebbene lo pensi pure, anche se ci tengo a precisare nella mia esperienza nel fotovoltaico non sempre è stato così.

Il mondo installativo degli impianti fotovoltaici è fatto di gente che corre molto, forse anche troppo. Vuoi anche perché gli impianti fotovoltaici oramai si assomigliano un po’ tutti e anche perché spesso il committente non è il cliente finale, ma un procacciatore. E si corre anche quando sarebbe meglio riflettere un po’, soprattutto nel caso di impianti che hanno caratteristiche diverse dalla routine. Ricordo un impianto da 3 kWp connesso in rete in una villetta in cui sono stato coinvolto come CTU in una causa civile; un sopralluogo, arrivati i tecnici con camion-gru che hanno montato tutto, in 2 persone, in una giornata e ….morale non avevano i materiali giusti e così hanno forato la guaina del tetto con conseguente acqua in casa alla prima pioggia, ma la parte elettrica l’avevano fatta decentemente!

Di solito per un impianto fotovoltaico in rete basta guardare la bolletta e fare un sopralluogo o due, per un impianto in isola non c’è una bolletta da guardare, si dovrebbe fare un’analisi dei carichi elettrici e capire come ottimizzare le gestioni dell’utente, ma tant’è! Correre!

Gli impianti fotovoltaici in isola dei rifugi alpini

Innanzitutto occorre fare una distinzione per indicare a quale tipo di rifugio mi riferisco: non a quello raggiungibile con dei fuori strada tramite mulattiera, né, per contro a quello che ha la possibilità per gli approvvigionamenti del solo elicottero. Mi riferisco cioè al rifugio in cui è raggiungibile con un percorso con fuoristrada, su mulattiera di fondo valle, la base di una teleferica, mentre il raggiungimento fisico può avvenire solo a piedi su sentieri di montagna. Negli esempi che farò pur riferendomi ad impianti realmente esistenti non citerò né i nomi, né il costruttore dei materiali, né chi ha installato l’impianto. Non è una questione di privacy, ma di libertà di esprimere le proprie idee senza che nessuno si senta offeso.

Perché fare un impianto fotovoltaico?

Le motivazioni che spingono a fare un investimento per un impianto fotovoltaico sono molteplici. Quella principale sembrerebbe per l’utilizzo di una fonte rinnovabile a beneficio dell’ambiente, ma purtroppo come ho constatato in questi non brevi anni (20) il motivo principale è il risparmio sulla bolletta dell’energia elettrica, confortato in passato da incentivazioni statali. Qualche volta i due interessi anche coincidono, ma non dico che sia per caso, ma quasi.

Ciò premesso un rifugio alpino raramente è servito dalla rete elettrica e nella grande maggioranza dei casi deve arrangiarsi da solo con gruppi elettrogeni. Per cui la fonte rinnovabile andrà a mitigare il consumo di gasolio. Tenendo conto che eccettuati i giorni di preapertura e di post chiusura funzionano in buona parte 3 mesi/anno si comprende come la fetta economica non sia poi tanto grande. Quindi le motivazioni per questi impianti sono di tipo ambientale in quanto vanno a ridurre l’inquinamento e il rumore prodotto dai gruppi elettrogeni e che, per la delicatezza dei siti in cui sono ubicati, non sono proprio poca cosa. Sempre sotto il profilo economico c’è anche da dire che salvo casi rari, il proprietario del rifugio non è chi lo gestisce. Ad esempio se il proprietario è una sezione del Club Alpino Italiano le risorse sono poche per non dire minime. 

Una valutazione economica di massima

Il gasolio ha un potere calorifico inferiore pari a 14,3 kWh/l. Se teniamo conto che ben che vada il rendimento del gruppo elettrogeno è del 25%, ci ritroviamo che dobbiamo tener conto che con un litro di gasolio si producono 14,3*25% = 3,6 kWh/l elettrici (per questi casi arrotonderò sempre perché non avrebbe senso una maggior precisione).

In un anno, nei 90 giorni di gestione o poco più, si sono consumati 3.500 l di gasolio portato in rifugio con taniche da 20 l mediante una teleferica di servizio. Si sono movimentate cioè 175 taniche di gasolio, a partire dal punto di rifornimento e con un trasporto in valle su fuoristrada di circa 40 minuti fino alla base della teleferica. Applicando il potenziale energetico elettrico specifico, si sono prodotti 3.500*3,6= 12.600 kWh elettrici. Ponendo il costo del gasolio, per semplicità, a 1,4 €/l si sono spesi 3.500*1,4= 4.900 €. di costo vivo (il gasolio potrebbe anche essere incentivato, ma sia per quantità che per motivi burocratici si andrebbe a risparmiare poco) .

Su un rifugio del genere potrebbe essere installato un impianto che mediamente fornisce in stagione 60 kWh/giorno. Per cui moltiplicando per i 90 giorni fornirà 5400 kWh. Questo facendo un calcolo a ritroso vuol dire 5400:3,6= 1.500 l di gasolio risparmiati ovvero 75 taniche in meno ovvero 2.100 € in meno. Siccome poi l’impianto non ha più alcuna possibilità di essere utilizzato (in quanto non avendo allacciamento non può fornire corrente in rete), brutalmente in 20 anni porta ad un risparmio di 42.000 €. . 

E’ chiaro quindi che al proprietario non conviene, al gestore un po’ si perché movimentare 75 taniche in meno non è uno scherzo, ma è molto restio a concorrere, ecco spiegato perché la sola motivazione di farlo è di riguardo all’ambiente e anche perché impianti di questo tipo sono al momento rari.

Condizioni logistiche 

Chi si trova a gestire un rifugio alpino deve in prima battuta fare affidamento su se stesso. Chiaramente se dovesse avere bisogno dell’intervento per un guasto non è pensabile possa aspettare diversi giorni per l’intervento di un tecnico che venga magari anche solo dal primo centro abitato. Quindi il gestore (o un suo dipendente) non una persona tecnicamente a digiuno e questo è importante per quello che dirò. 

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