Garantire la durabilità di un'opera in calcestruzzo partendo dalla conoscenza dei fenomeni di degrado
Il percorso magico che conduce alla durabilità: l’analisi delle forme di degrado
La durabilità nel quadro normativo nazionale
La “durabilità” delle strutture in generale e delle strutture in calcestruzzo armato in particolare, visti i noti eventi successi nella scorsa estate (crollo del ponte Morandi), è diventata uno degli argomenti di discussione di carattere nazionale. Si sono sviluppati esperti di tale fenomeno, dai tavoli dei bar, fino a quelli della politica, passando per gli “esperti da social network”: tutti, o quasi, sono diventati esperti di “durabilità”. A questo punto della discussione, la domanda da porsi è: … Cos’è la durabilità delle strutture?
Per formulare una valida risposta, ci viene in aiuto il “D.M. 17.01.2018 – Norme Tecniche per le Costruzioni”, aggiornamento del precedente D.M. 14.01.2018, che al paragrafo “2.1 – Principi fondamentali”, da la seguente definizione:
“durabilità: capacità della costruzione di mantenere, nell’arco della vita nominale di progetto, i livelli prestazionali per i quali è stata progettata, tenuto conto delle caratteristiche ambientali in cui si trova e del livello previsto di manutenzione”.
In queste poche righe vengono racchiuse tutte le variabili a cui è legata e cioè: dal progetto in relazione all’ambiente di servizio della struttura, dalla qualità dei materiali utilizzati, dalla conseguente posa in opera (… più maturazione dei getti, per le opere in c.a.), dai controlli in fase di esecuzione, dall’ambiente in cui è inserita la struttura, dal monitoraggio con conseguente continua e costante manutenzione. Trascurando una di queste variabili, sarà compromessa la possibilità di garantire la “durabilità” di una struttura, a patto che non si intervenga con importanti e costosi interventi di ripristino. Infatti, a supporto di tale deduzione concorre sempre il D.M. 17.01.2018, dove al paragrafo “2.1 – Principi fondamentali”, vengono citati anche i materiali da utilizzare e cioè: “(…) I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle presenti norme riguardanti i materiali. (…)” e al paragrafo “2.2.4. DURABILITÀ”, viene “esploso” il concetto di “durabilità” e vengono spiegate le azioni da svolgere, partendo dal progetto, passando per la realizzazione ed i controlli in corso d’opera, fino alla manutenzione affinché venga garantito il “requisito di durabilità”, cioè viene esplicitato quanto segue:
“Un adeguato livello di durabilità può essere garantito progettando la costruzione, e la specifica manutenzione, in modo tale che il degrado della struttura, che si dovesse verificare durante la sua vita nominale di progetto, non riduca le prestazioni della costruzione al di sotto del livello previsto.
Tale requisito può essere soddisfatto attraverso l’adozione di appropriati provvedimenti stabiliti tenendo conto delle previste condizioni ambientali e di manutenzione ed in base alle peculiarità del singolo progetto, tra cui:
a) scelta opportuna dei materiali;
b) dimensionamento opportuno delle strutture;
c) scelta opportuna dei dettagli costruttivi;
d) adozione di tipologie costruttive e strutturali che consentano, ove possibile, l’ispezionabilità delle parti strutturali;
e) pianificazione di misure di protezione e manutenzione; oppure, quando queste non siano previste o possibili, progettazione rivolta a garantire che il deterioramento della costruzione o dei materiali che la compongono non ne causi il collasso;
f) impiego di prodotti e componenti chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanico-fisico-chimiche, indispensabili alla valutazione della sicurezza, e dotati di idonea qualificazione, così come specificato al Capitolo 11;
g) applicazione di sostanze o ricoprimenti protettivi dei materiali, soprattutto nei punti non più visibili o difficilmente ispezionabili ad opera completata;
h) adozione di sistemi di controllo, passivi o attivi, adatti alle azioni e ai fenomeni ai quali l’opera può essere sottoposta.
Le condizioni ambientali devono essere identificate in fase di progetto in modo da valutarne la rilevanza nei confronti della durabilità”, quindi, viene riportato un vero e proprio elenco delle variabili da pensare, prescrivere, pretendere, realizzare, controllare, monitorare e fare la manutenzione. Tali concetti, conosciuti a molti, ma trascurati da quasi tutti sia nel campo privato che pubblico.
Come si è ben capito da questa breve introduzione al pari delle fasi di progetto, realizzazione, maturazione e controllo esistono due altre fasi importantissime e strettamente legate: il monitoraggio (contino e costante) e la manutenzione.
Infatti, al paragrafo “2.4.1. Vita nominale di progetto”, sempre del D.M. 17.01.2018, si ribadisce l’importanza della maturazione e viene riportato quanto segue: “La vita nominale di progetto VN di un’opera è convenzionalmente definita come il numero di anni nel quale è previsto che l’opera, purché soggetta alla necessaria manutenzione, mantenga specifici livelli prestazionali. (…)”, il tutto collegato con il “Capitolo 10 - REDAZIONE DEI PROGETTI STRUTTURALI ESECUTIVI E DELLE RELAZIONI DI CALCOLO”, dove al paragrafo “10.1. caratteristiche generali”, si cita il “Piano di manutenzione dell’opera” come parte integrante del progetto.
A coronamento di tutto ciò, al “Capitolo 11 – Materiali” sempre del D.M. 17.01.2018, al paragrafo “11.2.11. Durabilità”, viene esplicitato il “percorso che conduce alla durabilità” delle strutture in calcestruzzo armato e che per chiarezza si riporta integralmente:
“Per garantire la durabilità delle strutture in calcestruzzo armato ordinario o precompresso, esposte all’azione dell’ambiente, si devono adottare i provvedimenti atti a limitare gli effetti di degrado indotti dall’attacco chimico, fisico e quelli derivanti dalla corrosione delle armature e dai cicli di gelo e disgelo.
A tal fine, valutate opportunamente le condizioni ambientali del sito ove sorgerà la costruzione o quelle di impiego, conformemente alle indicazioni della tabella 4.1.III delle presenti norme, in fase di progetto dovranno essere indicate le caratteristiche del calcestruzzo da impiegare in accordo alle Linee Guida sul calcestruzzo strutturale edite dal Servizio Tecnico Centrale del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici facendo anche, in assenza di analisi specifiche, utile riferimento alle norme UNI EN 206 ed UNI 11104. Inoltre devono essere rispettati i valori del copriferro nominale di cui al punto 4.1.6.1.3, nonché le modalità e la durata della maturazione umida in accordo alla UNI EN 13670:2010, alle Linee Guida per la messa in opera del calcestruzzo strutturale ed alle Linee Guida per la valutazione delle caratteristiche del calcestruzzo in opera pubblicate dal Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Ai fini della valutazione della durabilità, nella formulazione delle prescrizioni sul calcestruzzo, si potranno prescrivere anche prove per la verifica della resistenza alla penetrazione degli agenti aggressivi, quali ad esempio anidride carbonica e cloruri. Si può, inoltre, tener conto del grado di impermeabilità del calcestruzzo, determinando il valore della profondità di penetrazione dell’acqua in pressione. Per la prova di determinazione della profondità della penetrazione dell’acqua in pressione nel calcestruzzo indurito potrà farsi utile riferimento alla norma UNI EN 12390-8.”
Come anticipato e come si è potuto constatare, in tale paragrafo, vengono riportati chiaramente tutti i passaggi da osservare per garantire la durabilità delle strutture in calcestruzzo armato e sarebbe “cosa buona e giusta” che gli addetti ai lavori avessero tale paragrafo, come guida nelle rispettive fasi, che caratterizzano la struttura, e relative azioni.
Ritornando al “Capitolo 2” del D.M. 17.01.2018, nei paragrafi di seguito riportati, si può notare che tra le azioni che possono portare al limite una struttura, non esistono solo le azioni statiche o dinamiche (“azioni dirette”), ma anche quelle derivanti dall’ambiente in cui “vive” una struttura (“azioni indirette”) e quelle relative al degrado, esogeno o endogeno. Quindi, nello specifico al paragrafo “2.5.1. Classificazione delle azioni”: “Si definisce azione ogni causa o insieme di cause capace di indurre stati limite in una struttura.” ; mentre al paragrafo “2.5.1.1 Classificazione delle azioni in base al modo di esplicarsi”:
a) dirette:forze concentrate, carichi distribuiti, fissi o mobili; b) indirette: spostamenti impressi, variazioni di temperatura e di umidità, ritiro, precompressione, cedimenti di vincoli, ecc.; c) degrado: endogeno: alterazione naturale del materiale di cui è composta l’opera strutturale; esogeno: alterazione delle caratteristiche dei materiali costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti esterni.
Visto tutto ciò, risulta ovvio ciò sostenuto dal D.M. 17.01.2018 e cioè, che la struttura deve essere progettata così che il degrado nel corso della sua vita nominale, purché si adotti la normale manutenzione, non pregiudichi le sue prestazioni in termini di resistenza, stabilità e funzionalità. Inoltre, le misure di protezione contro l’eccessivo degrado, devono essere stabilite con riferimento alle previste condizioni ambientali e deve essere ottenuta attraverso un’opportuna scelta dei dettagli, dei materiali, delle dimensioni strutturali, con l’eventuale applicazione di sostanze o ricoprimenti protettivi, nonché con l’adozione di altre misure di protezione attiva o passiva.
Sempre secondo il D.M. 17.01.2018, paragrafo “4.1.2.2.4.2 Condizioni ambientali”, “Ai fini della protezione contro la corrosione delle armature metalliche e della protezione contro il degrado del calcestruzzo, le condizioni ambientali possono essere suddivise in ordinarie, aggressive e molto aggressive in relazione a quanto indicato nella Tab. 4.1.III(Tabella 3 del presente documento) con riferimento alle classi di esposizione definite nelle Linee Guida per il calcestruzzo strutturale emesse dal Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nonché nella UNI EN 206:2016 .”
A tal proposito, si desidera evidenziare che le classi di esposizione XC1-XC2-XC3-XC4, XD1-XD2-XD3 e XS1-XS2-XS3 riguardano la corrosione delle armature, mentre le classi di esposizione XF1-XF2-XF3-XF4, XA1-XA2-XA3 riguardano il degrado del solo calcestruzzo e non la corrosione delle armature.
CONDIZIONI AMBIENTALI |
CLASSE DI ESPOSIZIONE |
Ordinarie |
X0, XC1, XC2, XC3, XF1 |
Aggressive |
XC4, XD1, XS1, XA1, XA2, XF2, XF3 |
Molto aggressive |
XD2, XD3, XS2, XS3, XA3, XF4 |
Tabella 3 - Tabella 4.1.III D.M. 17.01.2018 – Descrizione delle condizioni ambientali
Sempre per la durabilità delle strutture in calcestruzzo armato, anche della “sensibilità” delle armature alla corrosione bisogna tenere conto, poiché si hanno situazioni completamente diverse. A tal proposito il paragrafo “4.1.2.2.4.3 Sensibilità delle armature alla corrosione” tratta l’argomento e specifica quanto segue: “Le armature si distinguono in due gruppi: armature sensibili; armature poco sensibili.
Appartengono al primo gruppo gli acciai da precompresso. Appartengono al secondo gruppo gli acciai ordinari.
Per gli acciai zincati e per quelli inossidabili, si può tener conto della loro minor sensibilità alla corrosione sulla base di documenti di comprovata validità.”
Inoltre, al paragrafo “4.1.2.2.4.4 Scelta degli stati limite di fessurazione”, sono indicati i criteri di scelta dello stato limite di fessurazione con riferimento ai “Gruppi di esigenze”, i quali dipendono dalle “condizioni ambientali (ordinarie – aggressive – molto aggressive), alla frequenza (frequente – quasi permanente) delle “combinazioni di azioni”, dalla “sensibilità delle armature” (sensibili – poco sensibili) e relativo “stato limite”.
Naturalmente, le armature ai fini della durabilità delle strutture in calcestruzzo armato, devono essere protette da uno strato di calcestruzzo: il copriferro, la “qualità” di tale elemento è fondamentale ai fini della durabilità. Infatti, nel D.M. 17.01.2018 al paragrafo “4.1.6.1.3 Copriferro e interferro”, si tratta proprio di questo e ne descrive i principi fondamentali: “L’armatura resistente deve essere protetta da un adeguato ricoprimento di calcestruzzo. Gli elementi strutturali devono essere verificati allo stato limite di fessurazione secondo il § 4.1.2.2.4.
Al fine della protezione delle armature dalla corrosione, lo strato di ricoprimento di calcestruzzo (copriferro) deve essere dimensionato in funzione dell’aggressività dell’ambiente e della sensibilità delle armature alla corrosione, tenendo anche conto delle tolleranze di posa delle armature; a tale scopo si può fare utile riferimento alla UNI EN 1992-1-1.
Per consentire un omogeneo getto del calcestruzzo, il copriferro e l’interferro delle armature devono essere rapportati alla dimensione massima degli inerti impiegati.
Il copriferro e l’interferro delle armature devono essere dimensionati anche con riferimento al necessario sviluppo delle tensioni di aderenza con il calcestruzzo.”
Inoltre, per capire cos’è il copriferro, viene in aiuto la definizione data dall’EC2-UNI EN 1992-1-1 – paragrafo “4.4.1 Copriferro”, dove si specifica quanto segue: “Il copriferro nominale deve essere specificato sui disegni. Esso è definito come il copriferro minimo, cmin più un margine di progetto per gli scostamenti, Δcdev:
cnom = cmin + Δcdev ”,
dove il cmin, deve essere assicurato garantendo: la corretta trasmissione delle forze di aderenza, la protezione dell’acciaio contro la corrosione (durabilità), un’adeguata resistenza al fuoco. Per quanto riguarda gli scostamenti, il valore da adottare in uno Stato, può essere reperito nella sua “Appendice Nazionale”. Il valore raccomandato dall’EC2 è 10 mm e tale valore è anche dall’Appendice Nazionale Italiana.
Le azioni sulle strutture e le cause di degrado
I fenomeni di degrado possono essere ricondotti a due cause principali: “chimiche ed elettro-chimiche” e “fisiche”, che a sua volta vanno divise in esogene ed endogene. Le “chimiche ed elettro-chimiche” implicano, reazioni tra i fluidi aggressivi provenienti dall’ambiente esterno e, rispettivamente, gli ingredienti o i prodotti di idratazione del cemento e le barre di armatura, le “fisiche”, determinate dalle variazioni di temperatura del calcestruzzo e/o dell’ambiente esterno, dai gradienti di umidità relativa oppure derivanti dai carichi statici e dinamici agenti sulla struttura, dai carichi impulsivi, da quelli ciclici e dalle azioni abrasive. Inoltre, come già precedentemente citato, sia le cause chimiche che quelle fisiche, possono essere distinte in “degrado endogeno”, cioè alterazione naturale del materiale di cui è composta la struttura e/o “degrado esogeno”, cioè l’alterazione delle caratteristiche dei materiali costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti esterni.
Le cause esogene di natura chimica ed elettrochimica che promuovono il degrado dei materiali strutturali sono da ascrivere a reazioni chimiche e a processi elettrochimici che coinvolgono i fluidi aggressivi presenti nell’ambiente e i prodotti di idratazione del cemento e/o le barre di armatura. I fluidi aggressivi più importanti in relazione alle tipologie di degrado sono rappresentati segnatamente dall’ossigeno, dall’anidride carbonica (presenti entrambi in forma gassosa nell’atmosfera), dall’acqua e dalle sostanze in essa disciolte in forma ionica (ad esempio, acido carbonico, solfati, cloruri o sostanze chimiche di provenienza industriale). Tuttavia, perché i processi acquistino rilevanza dal punto di vista ingegneristico non è sufficiente che i fluidi aggressivi lambiscano la superficie esterna della struttura, ma è, invece, necessario che essi la penetrino interessando spessori centimetrici di calcestruzzo. Si intuisce, quindi, che qualsiasi processo di degrado, indipendentemente dalla natura degli aggressivi e dai materiali strutturali coinvolti, dipende fortemente dalla capacità dei fluidi di penetrare nella matrice cementizia quindi, migliore sarà la qualità del calcestruzzo, la messa in opera, la compattazione, la maturazione minore sarà la possibilità dei fluidi aggressivi di penetrare all’interno della struttura in esame
I meccanismi di penetrazione all’interno del calcestruzzo possono essere ricondotti alla tematica più generale dei processi di trasporto che dipendono non solo dalla porosità totale del materiale, ma anche dalla natura, dalla distribuzione dimensionale dei pori (i macrovuoti, i pori capillari e gli spazi interstratici tra i prodotti di idratazione) e, soprattutto, dal grado di interconnessione che si stabilisce tra gli stessi. Il termine penetrabilità riassume queste proprietà del materiale poroso nei confronti dei meccanismi di trasporto dei fluidi al suo interno.
Sono sostanzialmente tre i meccanismi che determinano la penetrazione dei fluidi aggressivi nel calcestruzzo ed ognuno è associato ad una diversa “forza motrice”: la permeazione è il meccanismo per il quale la penetrazione del fluido aggressivo è determinato da un gradiente di pressione; la diffusione in cui l’ingresso nel mezzo poroso è governato da un gradiente di concentrazione; l’assorbimento o suzione capillare generato dalle forze di adesione superficiale per affinità di un liquido, dell’acqua in particolare, con le superfici di un solido (del calcestruzzo per i nostri scopi).
Naturalmente, nelle strutture reali i processi di trasporto sopramenzionati non intervengono mai singolarmente e l’ingresso dei fluidi aggressivi nella matrice cementizia è generalmente da ascrivere a più processi agenti simultaneamente.
Nelle cause esogene, si intendono quelle forme di degrado legate agli ingredienti per confezionare il calcestruzzo, i quali, già “contaminati” da elementi pericolosi, che possono scatenare il fenomeno dall’interno del conglomerato realizzato. Tipici esempi sono l’utilizzo di acque contaminate, presenza di cloruri, solfati, aggregati reattivi che danno origine alla reazione alcali/aggregato e altre forme di contaminazione pericolose che favoriscono il precoce degrado dell’intera struttura realizzata.
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All'interno dell'articolo i seguneti paragrafi
- APPROCCIO RAGIONATO ALLA DURABILITÀ E AI FENOMENI DI DEGRADO
- DEFINIZIONE DEGLI AMBIENTI DI ESPOSIZIONE DELLE STRUTTURE E DESCRIZIONE DEI FENOMENI DI DEGRADO
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