Fotovoltaico ed edilizia libera: l'illogica formulazione della norma (parte prima)
Analisi delle novità apportat dal Decreto Energia in materia di impianti fotovoltaici, che oggi possono essere installati liberamente senza rispetto delle precedenti condizioni limitative estetiche e anche nelle zone omogenee A
Un’altra novità in edilizia della legge n.34/2022 (conversione del d.l. 17/2022 più noto come “decreto Energia o decreto Bollette) è relativa agli impianti fotovoltaici.
La (cosiddetta) “novità” è presentata come provvidenziale liberalizzazione perché la legge qualifica gli impianti suddetti “opere di manutenzione ordinaria” e, come tali rientranti nell’“edilizia libera”.
L’obiettivo era la totale liberalizzazione (e questo va bene), ma siamo sicuri di non avere fatto qualche danno collaterale? Per capire se per raggiungerlo era necessario fare l’attuale modifica proprio in quel modo o se sussistessero migliori alternative, vale la pena analizzarne le ricadute (che non paiono sempre positive) che l’Autore analizza ricostruendone la genesi concettuale.
Le nuove norme sul fotovoltaico scaturenti dalla recente conversione in legge n. 34/2022 sono spesso commentate con toni di entusiastica soddisfazione perché codificano gli impianti come “manutenzione ordinaria” e dunque li consentono come “edilizia libera”.
Questa affermazione – sicuramente efficace e accattivante dal punto di vista della comunicazione giornalistica – è quantomeno inesatta e un po’ superficiale dal punto di vista tecnico e cercheremo di approfondirne la sostanziale illogicità concettuale e anche le incongruenze redazionali in sede applicativa.
Parliamo dell’articolo 7-bis, comma 5 del d.lgs. 3.03.2011, n. 28 come modificato dall’articolo 9 della legge n. 34/2022.
Indispensabile una premessa.
L’articolo in commento intreccia le prescrizioni liberalizzatrici con limitazioni conseguenti all’eventuale presenza di vincoli ex d.lgs. n. 42/2004, ma tutta la disamina che ne faremo qui è al netto delle problematiche paesaggistiche (di cui parleremo in una prossima occasione) perché ci interessa prima valutare la congruità dell’intervento legislativo nella materia strettamente edilizia.
Visto che si passa per innovazione la classificazione di “manutenzione ordinaria” va smentito che di innovazione si tratti: in realtà è un’estensione di una classificazione risalente al 2008; per cui vale la pena rispolverare da dove veniamo per evitare di essere imprecisi e, soprattutto, per capire perché oggi siamo arrivati qui e se si poteva fare diversamente (e, magari, di meglio).
Ricostruiremo allora un po’ di utile cronologia.
1991 - Il primo incontro energia/edilizia: impianti energetici come opere di manutenzione straordinaria (soggette a d.i.a.)
Si ricorderà che già nel 1991 con la legge n. 10 “Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e delle fonti rinnovabili di energia” all’articolo 26, al comma 1, secondo periodo, si affermava che “Gli interventi di utilizzo delle fonti di cui all’articolo 1 in edifici e impianti industriali non sono soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati a tutti gli effetti alla manutenzione straordinaria di cui agli articoli 31 e 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457. …”
E in più (sempre al comma 1, terzo periodo) che “… negli edifici esistenti (e cioè tutti n.d.r.) e negli spazi liberi annessi …” impianti solari e pompe di calore … destinati alla produzione di acqua calda e aria … è considerata estensione dell’impianto idrico-sanitario già in opera”.
Definizioni perfettamente congrue con quelle della “manutenzione straordinaria”, allora espressa dal citato articolo 31 della l. n.457/78 (il Testo Unico dell’Edilizia era ancora di là da venire) eseguibili con autorizzazione per silenzio-assenso ai sensi dell’articolo 48.
Un contatto senza contaminazione
Un primo contatto della materia energetica con quella edilizia avviene dunque nel pieno rispetto dei ruoli e delle rispettive definizioni per “materia”.
Tanto che non ci sarebbe neppure stato bisogno di scrivere che si trattava di opere di manutenzione straordinaria, perché le opere di manutenzione straordinaria sono quelle “necessarie per …… realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” così qualificate (all’epoca dal citato articolo 31).
Si trattava dunque di una mera precisazione, ma nulla di innovativo.
2008 – d.lgs. n. 115/2008 – La prima codifica di “manutenzione ordinaria” nasce nel 2008 e con essa la prima forzatura alla norma edilizia
Nel 2008 (vigente già da un po’ il DPR 380/01) il d.lgs. 115, all’articolo 11 (titolato: “Semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative e regolamentari” fa un passo in più e (a modifica del già citato articolo 26 della l. 10/’91) si allarga a definire “manutenzione ordinaria” i mini generatori eolici e “gli impianti solari termici e fotovoltaici” su tutti gli edifici a condizione però:
- che siano integrati o aderenti ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda;
- che i componenti non modifichino la sagoma degli edifici;
- che abbiamo una superficie non superiore a quella del tetto;
- che siano fatti salvi gli edifici con vincoli paesaggistici (di cui tratteremo in seguito).
L’assimilazione alla “manutenzione ordinaria” risale dunque a quella data e fu fatta al solo fine dichiarato di sottrarli alla denuncia di inizio attività (d.i.a.) cui all’epoca erano sottoposte le opere di manutenzione straordinaria asserendo che per l’installazione era “sufficiente una (non meglio precisata n.d.r.) comunicazione preventiva al comune”.
Il riconoscimento di edilizia libera fatto in via indiretta tramite la definizione di manutenzione ordinaria
Si trattava comunque di una “liberalizzazione” che già faceva annoverare tali impianti come “edilizia libera” di fatto, anche se solo quelli rispettosi delle limitazioni costruttive di cui abbiamo appena detto.
Edilizia libera non espressamente dichiarata (infatti non se ne fece cenno espresso e autonomo nell’articolo 6 del Testo Unico dell’edilizia), ma surrettiziamente, in quanto la manutenzione ordinaria è “edilizia libera” per eccellenza (art. 6, comma1, lett a).
Così facendo si operava però un’indebita incursione nelle definizioni edilizie che anche all’epoca asserivano che sono:
“a) "interventi di manutenzione ordinaria, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”
A meno di non voler ricomprendere “gli impianti solari termici e fotovoltaici” come necessari a “mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (che in effetti pare una forzatura) è evidente che si stava già alterando la definizione della tecnica edilizia.
A che pro?
Al legislatore energetico non interessavano le definizioni in quanto tali, ma solo come strumento per dedurne la “procedura” abilitativa. Che doveva essere di esenzione.
Per cui era la ricerca della procedura per il tramite della definizione.
Proprio per questo l’ingerenza nelle definizioni risultava incongrua e sconveniente perché usata (in modo improprio) per raggiungere un fine.
2014 - d.lgs. n. 28/2011
Arriviamo così al d.lgs. n.28/2011 che nel 2014 si arricchisce dell’articolo 7-bis (introdotto dall’articolo 30, comma 1 del d.l. 24.06.2014, n. 91, convertito in legge n. 116/2014).
Ne omettiamo la stesura originaria – poco significativa in questo contesto - e andiamo alla successiva modifica del comma 5, come apportata dall’articolo 31, comma 2-bis del d.l. 31.05.2021, n. 77 (convertito in legge 29.07.2021, n. 108) perché rappresenta la norma oggetto oggi della modifica normativa qui in commento per effetto dell’articolo 9 della legge 27 aprile 2022, n. 34.
2021 – legge n. 108/2021 - L’ampliamento delle tipologie di impianto e l’abbandono della definizione di “manutenzione ordinaria”
Detta norma (legge n. 108) fin dal 2021 aveva già ampliato l’ambito di realizzazione degli impianti fotovoltaici estendendone l’installazione non solo sugli edifici,
- ma anche su strutture diverse fuori terra (sempre però con le caratteristiche dell’articolo 11, comma 3 dianzi riepilogate)
- e su strutture e manufatti diversi dagli edifici (e questo parrebbe solo per impianti solari fotovoltaici) e in questo caso con ogni modalità (ergo senza le prescrizioni di cui sopra).
Tutto ciò era consentito senza “acquisizione di atti di assenso comunque denominati”, eccezion fatta per i beni dell’articolo 136, co. 1 lett. b) e c).
Questa è la testuale formulazione della norma che, pur esentando gli impianti da qualsivoglia “atti di assenso” (sia nella stesura del 2014 che in quella del 2021) non si azzarda più a classificarli “manutenzione ordinaria” (definizione che rimase semmai solo sullo sfondo visto che l’articolo 7-bis richiama “le modalità” dell’articolo 11 del d.lgs. n. 115/2008 di cui abbiamo detto).
Forse il Legislatore si era accorto che l’ampliamento delle modalità esecutive non consentiva più di poterle far rientrare nella definizione di “ordinaria manutenzione”.
La diretta qualificazione di “edilizia libera”
Tanto è vero che – non rientrando più nell’articolo 6, comma 1, lett a) – dovette codificare espressamente la loro “libertà di esecuzione” inserendole direttamente al comma 1, lett. e-quater) dell’articolo 6 del DPR 380/01.
2022 - ai giorni nostri: un incongruo ritorno alla definizione di “manutenzione ordinaria”
Veniamo ora alla legge n. 34/2022 di cui commenteremo solo il testo finale della conversione in legge, ampiamente rimaneggiato rispetto a quello di prima stesura.
Innanzi tutto opera una ulteriore estensione delle fattibilità esecutive che sono consentite:
- sempre con “qualsiasi modalità” e senza il rispetto le condizioni limitative (estetiche) del vecchio articolo 11 (precisando, chissà perché, anche nei comprensori sciistici (?!?))
- anche nelle zone omogenee “A” (prima non era detto esplicitamente)
- ricomprendendo anche il potenziamento e adeguamento della rete esterna sia nell’area di pertinenza del fabbricato che, addirittura, all’esterno dell’area di pertinenza (opere, queste, evidentemente più prossime alle urbanizzazioni)
e poi ritorna al passato perché, nonostante si precisi che “non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati” (e ciò già bastava) le vuole comunque denominare (ad abundantiam) anche “manutenzione ordinaria”.
Per essere edilizia libera non è necessario essere manutenzione ordinaria
Se la finalità era (come in effetti è) semplicemente quella di sottrarre questo tipo di impianti a qualsiasi tipo di atto abilitativo in materia edilizia, bastava inserirli tout court nell’elenco dell’“edilizia libera” dell’articolo 6 del DPR 380/01 che già di per sé è una ricca enumerazione di opere “libere” che sicuramente non sono manutenzioni ordinarie (lett. a-bis, b, c, d, e, e-bis, e-ter, e-quater). Come già fatto in precedenza.
E invece nell’articolo 6 non se ne fa più cenno. Non ce n’è più bisogno perché vi rientrano “d’ufficio” nel comma 1, lettera a).
Quindi si è tornati perseguire il tipo di procedimento (la “libertà esecutiva”) non per effetto di una puntuale e specifica individuazione (che avrebbe fatto salve le definizioni dell’articolo 3 del Testo Unico dell’Edilizia) ma per indiretta conseguenza del loro essere manutenzione ordinaria.
Ma questo scardina la definizione sostanziale e concettuale dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del DPR 380/01 ed estende in modo abnorme la definizione di opere di manutenzione a interventi che di manutenzione non possono essere nemmeno con la più benevola concessione.
Per sua definizione concettuale la manutenzione ordinaria è “riparativa” e non additiva.
Non si sta criticando il “fine” (che è obiettivo politico condivisibile), ma il metodo!
Le formulazioni legislative per il raggiungimento di un fine (che di per sé, per definizione, è discrezionale e mutevole in ragione delle condizioni economico-sociali-temporali) non deve fare violenza alle definizioni tecniche (che di per sé devono essere logiche e consolidate) e devono costituire un parametro certo e stabile di riferimento (da tutti condiviso) su cui poter innestare qualsivoglia politica applicativa.
E le definizioni tecniche dell’articolo 3, come dice la Corte Costituzionale, sono “principi” della materia edilizia e i principi non si cambiano tutti i giorni a seconda del cambiamento del fine (tanto che prevalgono per legge sulle norme locali. - v. Corte Cost. n. 309/2011 – n. 259/2014).
L’articolo 6 invece non è norma di principio ed è addirittura implementabile per norma regionale (comma 6).
Una questione di metodo ... di cultura tecnica e di tecnica giuridica
Dal punto di vista del metodo e degli effetti indotti perseguire la possibilità di ricondurre questi impianti nell’edilizia libera qualificandoli come manutenzione ordinaria è operazione fuorviante, perché supporta la convinzione che tra i due aspetti sussista un rapporto di reciprocità di causa-effetto: il che non è. Ma è quello che traspare nei tanti commenti di questa “innovazione”.
Non sarebbe male che – ai fini proprio della ricercata chiarezza interpretativa e della tanto declamata semplificazione – ognuno stesse nel suo e si mantenesse il rispetto reciproco tra materie contigue ma non sovrapponibili: la cosiddetta competenza per materia.
Che poi è quello che il Legislatore ripetutamente raccomanda: “… nel rispetto delle normative di settore …”.
Come abbiamo premesso tutto quello che abbiamo detto fin qui trascura il caso di presenza di vincolo paesaggistico di cui l’articolo 7-bis pure si occupa.
Sarà opportuno parlarne (e magari anche delle “altre norme di settore”, come ad esempio la sismica) ma non qui e non ora.
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