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Fisco e Professionista: prelevamenti sul conto e oneri della prova

Prelevamenti sul conto del professionista, Cassazione: incombe sul fisco l'onere di provare che i prelevamenti effettuati dal professionista dal suo conto corrente sono destinati ad investimenti per la sua attività produttiva di redditi

In sede di accertamento del reddito professionale fondato su movimentazioni bancarie, i prelevamenti non giustificati non possono essere considerati automaticamente come elementi presuntivi di costi produttivi di compensi non dichiarati, come invece può succedere per i ricavi derivanti dalle attività d’impresa in quanto quest’ultima è caratterizzata dalla necessità di continui investimenti.

Lo ha 'sentenziato' la Corte di Cassazione con la pronuncia 14087/2017 di recente pubblicazione, che peraltro conferma lo stesso principio già espresso in altre sentenze successive alla sentenza 228/2014 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. 600/1973 "limitatamente alle parole "o compensi"", ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale fosse "lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito".

Nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate a seguito di una verifica eseguita sulle movimentazioni bancarie di un commercialista, esercente anche l’attività di amministratore di condominio, notificava a quest’ultimo un avviso di accertamento di un maggior valore della produzione ed un maggior volume di affari ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, in quanto lo stesso non aveva giustificato alcuni prelievi e versamenti eseguiti sul proprio conto corrente.

La Cassazione ha quindi ‘cassato’ la sentenza della CTR Emilia-Romagna, rimandando alla stessa CTR in diversa composizione l’accertamento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della dimostrazione o meno che le somme prelevate dal professionista sui propri conti correnti fossero o meno destinate ad un investimento relativo alla attività professionale produttivo di reddito. Questo, appunto, perché l’onere di provare che i movimenti bancari del professionista rappresentano ricavi non dichiarati incombe sul Fisco.

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