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Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: quanto costa evitare la demolizione? Ecco come si calcola la sanzione

Consiglio di Stato: la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria - posta da tale normativa - deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione

A volte, un abuso edilizio può costare carissimo. Nel 'caso' della sentenza 7857/2021 del 23 novembre scorso del Consiglio di Stato, addirittura 160 mila euro!

Ma come si fa a capire se quella sanzione è corretta? E quando il comune può decidere di optare per un'ammenda al posto della demolizione dell'abuso?

Tutte queste domande trovano risposta nella pronuncia sopracitata, che deve occuparsi del ricorso opposto da un cittadino - autore dell'abuso - contro l’annullamento del provvedimento comunale avente ad oggetto l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 34 del Testo unico edilizia (dpr 380/2001), con riferimento alla realizzazione di opere eseguite in difformità dalla concessione edilizia e successive varianti (prima e seconda).

Con il provvedimento contestato, il Comune ha rilevato un abuso relativo ad una maggiore altezza del fabbricato e non essendo possibile demolire l’abuso senza pregiudizio della parte di fabbricato regolare, era ingiunto il pagamento di una sanzione pecuniaria.

 

Sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria: quali valutazioni?

Palazzo Spada evidenzia che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria - posta da tale normativa - deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione.

L’art. 34 del dpr 380/2001 (Testo Unico edilizia), difatti, ha valore eccezionale e derogatorio, non competendo all'amministrazione procedente di dover valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, se essa possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (cfr., ancora sull’argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2021 n. 3666).

Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: quanto costa evitare la demolizione? Ecco come si calcola la sanzione

L'agibilità non sana l'abuso edilizio: le differenze tra SCA e permesso di costruire

L'appellante sostiene che il rilascio, seppure per effetto di silenzio-assenso, del titolo di agibilità con riferimento all’intero fabbricato produrrebbe un effetto di autotutela decisoria (posta in essere d’ufficio dal Comune ) nei confronti dell’ordinanza di demolizione.

Non è così. Palazzo Spada ha infatti da tempo fornito una costante interpretazione delle norme che disciplinano il rilascio del certificato di agibilità (artt. 24 e 25, dpr 380/2001 nella formulazione vigente all’epoca dei fatti rispetto ai quali è qui controversia), anche in relazione alla incidenza di tale titolo (spesso rilasciato silentemente, per effetto dell’istituto del silenzio-assenso) sulla appurata illiceità delle opere realizzate sull’immobile per il quale l’agibilità era stata richiesta.

Premesso che per effetto dall’art. 3, comma 1, lett. i), D.Lgs. 222/2016 (che ha novellato l’art. 24 dpr 380/2001 e abrogato il successivo art. 25) attualmente il regime giuridico del “certificato di agibilità” è configurato quale segnalazione certificata di inizio attività (ma tale regime giuridico, come sopra si è accennato, non vigeva all’epoca dei fatti), con riguardo all’applicazione delle disposizioni surrichiamate e all’epoca vigenti, con orientamento che non si vede il motivo per dover mettere in discussione, la Sezione ha affermato che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che:

  • il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti;
  • il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, con la conseguenza che i diversi piani possano convivere, sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica di una loro divergenza.

In sostanza, la diversa struttura e funzione dei due titoli esclude non solo che i suddetti certificati possano avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020 n. 316 e, in epoca più recente, Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2021 n. 3783).

Nel caso di specie, quindi, non può farsi discendere dalla mera formazione silenziosa del provvedimento di agibilità dell’immobile (secondo le norme all’epoca in vigore), per mancata pronuncia da parte del comune sulla domanda presentata dall’interessato nei tempi previsti dalla norma, escludendosi radicalmente che il legislatore abbia voluto far discendere dalla formazione silenziosa (e quindi priva di puntuale verifica da parte dell’ente preposto al controllo e alla tutela del territorio) del certificato di agibilità un effetto sanante sulle opere realizzate illegittimamente, non potendo realizzarsi tale effetto laddove non siano rispettate le disposizioni di rango primario e secondario sulla legittimità delle costruzioni edilizie.

 

La tipologia e il valore della sanzione

Prima di tutto, nella sentenza si ricorda il principio secondo cui il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione e non già quello in vigore all'epoca di consumazione dell'abuso; e la natura della sanzione demolitoria (così come di quella pecuniaria ad essa sostituibile), finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l'ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività.

Fermo quanto sopra va rammentato (ancora una volta) che l’art. 34 dpr 380/2001, nel disciplinare gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevede, al secondo comma, che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione”.

Va dunque condivisa l'impostazione dell'amministrazione comunale, per cui, ai fini della quantificazione della sanzione è stato considerato l'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere abusive, piuttosto che il semplice valore delle opere abusive realizzate, impiegando il criterio indicato dal dpr 26 settembre 1991, in base al quale “Il costo base di produzione a metro quadrato per gli immobili ultimati nel 1990 è determinato in L. 1.155.00”. Sicché riportando tale valore in euro (pari ad Euro 596,50) detto valore è stato utilizzato per calcolare la sanzione da infliggersi (secondo il seguente calcolo: mq 134,788 x Euro/mq 596,50 = Euro 80.462,643 che, raddoppiati ai sensi dell’art. 34 dpr 380/2001, sono pari a Euro 160.925,28).

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