Finalmente viene considerata la vulnerabilità dei sistemi urbani
La pubblicazione del recente rapporto della Struttura di Missione Casa Italia ha ri-sistematizzato la conoscenza nel campo della analisi e prevenzione dei fenomeni di rischio. Materia ampiamente studiata in campo scientifico, ha da sempre stentato a farsi strada nella consapevolezza di ampi strati di popolazione e di politici e decisori.
Ciò che si vuole in particolare evidenziare in questo breve scritto è da un lato la vulnerabilità dei sistemi urbani, che è caratteristica spesso dimenticata, che va oltre la semplice sommatoria delle vulnerabilità dei singoli manufatti edilizi.
Ogni evento sismico ha evidenziato la fragilità dell’assetto territoriale, accanto alla vulnerabilità di edifici e infrastrutture.
Forti terremoti dei secoli scorsi hanno determinato l’abbandono degli antichi nuclei (Noto, Avola …) o il completo ridisegno di parti di città (Lisbona, Catania ….), a dimostrazione che non basta ricostruire il costruito.
Ma cos’è la vulnerabilità dei sistemi urbani e come la si misura e governa?
Secondo Fabietti, “in estrema sintesi, la “vulnerabilità di un sistema urbano” misura la correlazione non lineare esistente tra l’intensità dell’evento sismico e l’entità del danno al sistema urbano, causata dalle caratteristiche dell’esposizione”.
Bisogna poi ricordare che i fenomeni catastrofici sono descrivibili solo in termini probabilistici, mentre gli strumenti di governo del territorio sono essenzialmente deterministici e statici.
Quindi si deve operare una riduzione e semplificazione che passa necessariamente attraverso la costituzione di scenari (di pericolosità, di danno atteso, di assetto territoriale) che consentono di agire prefigurando gli effetti al manifestarsi di un diverso evento.
Si pensi per esempio al metodo dei Piani di Assetto Idrogeologico che rappresentano su carta le fasce di esondazione per determinati tempi di ritorno di piene, a loro volta ipotizzate su dati storici e regimi pluviometrici. Ciò che contribuisce alla forma delle fasce sono poi la morfologia e topografia locali, elementi statici dei luoghi.
Ebbene, anche la vulnerabilità dei sistemi urbani si descrive per layer tematici statici, dove i diversi fattori interagiscono tra loro: la mappa della vulnerabilità degli edifici che si confronta con il reticolo viario, con il sistema degli spazi aperti, con la relazione tra vuoti e pieni urbani, con la vulnerabilità delle reti, ecc..
Data la rappresentazione e l’analisi, si pone il problema di come intervenire per la compatibilità dell’assetto urbanistico presente e futuro con gli eventi catastrofici.
Già la Legge 64/74 prevedeva che i piani urbanistici fossero appunto “compatibili” con il rischio sismico e successivamente (L. 741/81) l’arduo compito di valutarlo fu delegato alle regioni. Operazioni non certo facile in assenza di riferimenti consolidati.
Le più recenti metodologie e soprattutto le numerose esperienze di recupero dopo i più recenti eventi sismici hanno evidenziato la possibilità di ragionare sul sistema urbano come se si trattasse, anche se il paragone è un po’ ardito, di un complesso ed articolato edificio (l’insediamento) considerando gli elementi imprescindibili di resistenza al fine di consentire una resistenza minima.
È in fondo lo stesso criterio alla base delle norme per la progettazione delle strutture in zone sismiche: esse non sono concepite per evitare i danni agli edifici, ma per consentire loro di resistere ad un terremoto dato, senza che vi siano perdite di vite umane. Così non tutta la città dovrà resistere al danno, ma l’insieme urbano non dovrà collassare, non dovrà perdere la propria funzionalità e configurazione socio-economica.
Ecco quindi la definizione della Struttura Urbana Minima (SUM) elaborata in occasione del sisma dell’Umbria del 1997. Sempre secondo Fabietti essa “è un sistema di percorsi, di funzioni, edifici strategici e spazi ritenuti essenziali per la tenuta al sisma dell'organismo urbano, anche in seguito alla possibile concatenazione di eventi collaterali causati dal sisma (come frane e dissesti e fenomeni idrogeologici)”.
Tale metodologia verrà recepita nella legge regionale umbra n. 11 del 2005 al fine di prevedere la redazione della SUM contestualmente al PRG. Una novità assoluta: la SUM integra una modalità pianificatoria tradizionale al fine di prevenire e ridurre i danni indotti da un evento sismico, perlomeno per ridurre il disfuzionamento del sistema urbano e garantirne la più rapida ripresa.
Analogo approccio ispira la definizione della Condizione Limite per l’Emergenza (CLE) dell’insediamento urbano (OPCM 4007/2012, OCDPC 52/2013). Come afferma Giuffré, “essa esprime il fatto che, a seguito del manifestarsi dell’evento sismico, l’insediamento subisce danni fisici e funzionali tali da condurre all’interruzione della quasi totalità delle funzioni urbane presenti, compresa la residenza. Si tratta di una categoria che, a somiglianza di quanto definito nelle norme tecniche per le costruzioni, gli “stati limite”, introduce anche per gli organismi urbani una condizione limite funzionale che valga a garantire la gestione dell’emergenza”.
Due approcci progettuali, la SUM più ascrivibile alla logica della pianificazione urbanistica, la CLE più figlia dell’approccio della protezione civile.
Entrambe finalmente, seppur acerbe nella metodologia e scarse nell’applicazione e nella verifica dell’efficacia, tentativi di descrivere e governare la vulnerabilità dei sistemi urbani che tanti danni ha determinato negli eventi sismici degli ultimi anni.
Se vi sarà mai finalmente un Piano Marshall per il consolidamento del costruito in vista del rischio sismico, una parte di risorse economiche andrà riservata alla redazione e verifica delle SUM e delle CLE, provvedendo da subito ad affrontare il doveroso compito della loro integrazione.
A cura di CeNSU