Calcestruzzo Armato | Sostenibilità | Patentini Edilizia
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Figure professionali in cantiere: "Prioritaria la formazione e qualifica dei responsabili e della direzione lavori"

In questa intervista Riccardo Schvarcz fa una panoramica del mondo del calcestruzzo, passando dal suo ruolo nel percorso verso la sostenibilità (aumentando anche le prestazioni del materiale), le norme tecniche per finire con norme UNI e patentini professionali. Di seguito l'intervista integrale realizzata dall'Editore e Direttore di INGENIO Andrea Dari.

L'utilizzo dell'acqua di riciclo significa rendere più virtuoso il sistema produttivo del calcestruzzo

Andrea Dari:
I cambiamenti climatici non sono più una minaccia per il futuro ma purtroppo una triste realtà quotidiana. Alluvioni, grandinate, tempeste, incendi, calori e temperature altissime… In tale contesto il tema della resilienza di territori, infrastrutture, edifici diventa fondamentale, e di conseguenza quello della qualità dei materiali da costruzione e delle loro prestazioni. Al tempo stesso ci troviamo con la spinta, giusta ed ineludibile, dell’adozione di prassi sempre più sostenibili, tra cui quella di usare sempre meno cemento, e in genere di miscela, aggregati di riciclo…
Ecco allora la domanda: come il calcestruzzo può rispondere a questa doppia sfida, più prestazioni e più sostenibilità?

Riccardo Schvarcz:

La UNI EN 197-5 include 2 tipologie di cementi ternari designati rispettivamente con le sigle CEM II/C-M e CEM VI. I primi rappresentano uno sviluppo dei cementi Portland compositi CEM II/(A, B)-M della UNI EN 197-1, i secondi contengono, oltre al clinker e alla loppa, un altro costituente scelto tra pozzolana naturale, cenere volante silicea e il calcare. Questi ultimi cementi tipo VI sono attualmente la vera novità. I CEM II/C-M hanno un limite inferiore di contenuto di clinker del 50% rispetto al 64% dei CEM II/(A, B)-M, diciamo tradizionali, i cementi di tipo CEM VI scendono ben al di sotto del 50%. Lo sviluppo di adeguate resistenze è preservato dall’impiego più esteso di costituenti idraulicamente attivi o pozzolanici.

Figura 1 - cementeria deposito clinker

Ricordo che le nuove tipologie di cemento sono nate per rispondere a determinati requisiti di sostenibilità:

  1. Ridurre le emissioni di CO2 mediante la riduzione del contenuto di clinker che è il costituente che maggiormente contribuisce all’impronta di CO2 del cemento;
  2. Impiegare come costituenti materie secondarie provenienti da processi industriali, quali la loppa d’alto-forno, la cenere volante, sempre nell’ottica di ridurre l’impronta di CO2, anche la pozzolana naturale, la pozzolana ottenuta per arrostimento di argille, lo scisto calcinato e il calcare.

La durabilità del calcestruzzo, correttamente progettato e messo in opera, dipende essenzialmente dalla sua permeabilità e diffusività ai fluidi, proprietà che derivano dal volume e dimensione dei pori, a loro volta correlabili principalmente con i parametri di composizione (dosaggio di cemento e rapporto a/c) e in minor misura con la tipologia di cemento. È palese quindi che cementi basati su costituenti idraulicamente attivi, come le loppe e materiali pozzolanici possono dare un contributo, riducendo la porosità della matrice, alla resistenza del calcestruzzo esposto in ambienti con rilevante presenza di cloruri e solfati.

Andrea Dari:
Si parla da anni dell’uso di aggregati di riciclo, provenienti da attività di demolizione, nel calcestruzzo, anche quello ad alte prestazioni. In realtà ad oggi siamo ancora lontani da qualsiasi risultato apprezzabile. Perchè secondo te l’aggregato di riciclo è ancora così poco utilizzato? e quanto secondo te può essere una risorsa affidabile e di qualità per il calcestruzzo?

Riccardo Schvarcz:

Il tasso di sostituzione degli aggregati naturali con quelli di recupero è sostanzialmente rimasto invariato negli ultimi anni. È molto difficile capire quali sia il motivo della mancata sostituzione nella composizione del conglomerato cementizio degli aggregati naturali.

Senza dubbio, mi riferisco in questo caso al mio territorio, la disponibilità del materiale in natura è considerevole, se pensiamo ai fiumi (Piave, Tagliamento, Po) e alle cave presenti ancora coltivabili e alla stessa conformazione del sottosuolo; la grande offerta a fronte invece di una ridotta domanda (il mercato delle costruzioni sta andando verso interventi sull’esistente piuttosto che nuove realizzazioni) comporta una riduzione del prezzo che impedisce il decollo e gli investimenti su impianti di riciclo.

Proprio per il fatto che il mercato edilizio sta andando verso la ristrutturazione, il recupero, la demolizione, l’adeguamento degli immobili vetusti, sarebbe importante quindi valorizzare la “demolizione selettiva” che favorisce il recupero e il riciclo, spingendo sulla massimizzazione del rifiuto da costruzione e demolizione (mi riferisco al concetto End of Waste).

Figura 2 - lavorazione aggregati frantoio mobile
Figura 3 - aggregato artificiale di riciclo

Andrea Dari:
L’acqua di riciclo dovrebbe essere valorizzata nel conto dei CAM?

Riccardo Schvarcz:
Direi proprio di si.
È da anni ormai che si fa uso dell’acqua di “riciclo” nei calcestruzzi; i controlli su di essa ormai sono piuttosto consolidati (pH, contenuto cloruri, zuccheri, contenuto di solidi sospesi, ecc); dall’analisi delle acque il produttore è in grado di valutare la corretta percentuale da impiegare nei propri conglomerati cementizi, in relazione ai prodotti da realizzare (è evidente che l’attenzione va posta su determinati manufatti quali ad esempio le pavimentazioni industriali, i faccia a vista, i getti transitori con scasseri rapidi, ecc).

Premesso questo, se si concorda su questi concetti, è altresì corretto pensare di tenere conto del contributo dell’acqua di riciclo nel peso secco all’interno dei criteri ambientali minimi. Valorizzare questo costituente significa rendere virtuoso il sistema interno produttivo che porterebbe sempre più al riutilizzo dell’acqua di riciclo all’interno del processo, evitando di disperderla nell’ambiente o favorire l’aumento dei rifiuti.

Chiaramente il tema è ampio e comporta un’analisi complessiva del contesto produttivo, dalla gestione dell’acqua di prima pioggia, alla gestione dell’acqua di risulta delle betoniere, al mix design.
Il calcolo del contenuto di riciclato dovrebbe, a mio avviso, tenere in considerazione la quantità d’acqua stechiometrica, o per lo più valutata sulla miscela s.s.a.

Figura 4 - deposito acqua di riciclo impianto di betonaggio

Andrea Dari:
La sostituzione dei cementi tradizionali con quelli di miscela è solo un problema di cambio fornitura o inciderà nella definizione dei mix design? puoi farmi un esempio?

Riccardo Schvarcz:

Sicuramente i nuovi cementi condizioneranno non solo la progettazione delle miscele, ma l’esecuzione delle lavorazioni. Inizia essere chiaro il fatto che l’impiego di costituenti quali le loppe, le ceneri e le pozzolane, andranno ad influire sui tempi di presa, l’andamento e la velocità dello sviluppo delle resistenze meccaniche in particolare nel breve e lungo periodo, il calore di idratazione e quindi la maturazione, il ritiro per essiccamento, ecc.

Chiaramente di esempi ce ne sono molti, pensiamo innanzitutto quanto può influire l’andamento delle resistenze, ad esempio alle 18h, nelle fasi di scassero di elementi precompressi, al getto di inghisaggio di pilastri prefabbricati, ai tempi di esecuzione e movimentazione di tubi vibrocompressi, alla realizzazione delle pavimentazioni industriali.

Oltre al tema resistenze possiamo pensare ai tempi di presa, che saranno indubbiamente più lenti nelle fasi iniziali, per cui il conglomerato sarà più a lungo lavorabile, di contro le operazioni di sbancamento e lievo dei casseri sarà oggetto di pianificazioni più lunghe i termini temporali.

Riccardo Schvarcz

Andrea Dari:
I prodotti si evolvono, ma le norme restano sempre le stesse, o addirittura peggiorano. Si pensi alle norme sul controllo di accettazione del calcestruzzo, che hanno più di quarant’anni, o all’introduzione del CVT per i calcestruzzi fibrorinforzati. Quale priorità nell’ambito delle normative andrebbero affrontate per prima in questo settore. Quale approccio dovrebbe essere seguito?

Riccardo Schvarcz:

Io sinceramente sono sempre stato dell’idea che controllare il calcestruzzo 28 giorni dopo la sua messa in opera sia un aspetto più formale che sostanziale.
Prediligo una buona progettazione della composizione e un presidio durante il confezionamento, il trasporto, la messa in opera, la maturazione e stagionatura.

Detto questo, che ha poco di normativo, ritengo che il controllo in accettazione ha il compito di validare la progettazione e il mix qualificato; quindi, l’accettazione dovrebbe avvenire nei primi giorni di maturazione (ad esempio 2gg stabilendo un valore minimo richiesto), 28gg (per la storicità dei dati), 56gg perché le resistenze continueranno ad aumentare in virtù della presenza di costituenti idraulicamente attivi.
Faccio veramente fatica ad esprimere in sintesi delle considerazioni sui calcestruzzi fibrorinforzati, entriamo in un tema specialistico che necessiterebbe dedicare un articolo sull’argomento.

Figura 5 - fase di getto cantiere

L’aggiunta di fibre in acciaio in forma dispersa in un conglomerato cementizio ne modifica le proprietà meccaniche e fisiche e, in particolare, migliora il comportamento a trazione contrastando l’apertura progressiva delle fessure. Una volta raggiunta la fessurazione del conglomerato, le fibre sono in
grado di manifestare il proprio contributo, conferendo al composito una resistenza post-fessurazione assente nella matrice senza fibre.
La presenza delle fibre conferisce al calcestruzzo, dopo la fessurazione, una significativa resistenza residua a trazione, la tenacità, la durabilità, nonché la resistenza all’urto (resilienza), alla fatica e all’abrasione.

Andrea Dari:
L’applicazione obbligatoria della certificazione FPC sembra aver fallito il suo ruolo visto la presenza sul mercato di tanti impianti ancora senza automazioni, senza controllo del calcestruzzo, senza dispositivi ambientali. Quali le soluzioni, riformare la normativa, oppure appoggiarsi a un sistema volontario?

Riccardo Schvarcz:
Purtroppo, credo che il sistema abbia fallito perché la normativa ha impostato l’asticella della “qualità” a livello molto basso
, per permettere al settore di certificarsi e rispettare le norme tecniche vigenti.
Non sono convinto che il mercato italiano possa aumentare la propria qualità attraverso un sistema volontario
, produrre in qualità significa investire in formazione, personale, macchinari, attrezzature, ecc.

A dirla tutta, per la mia esperienza, il sistema produttivo è piuttosto evoluto e al passo con i tempi e la tecnologia, rimane arretrato tutto ciò che riguarda i processi a valle della consegna in cantiere, in altre parole l’attività d’impresa e di direzione dei lavori. I processi a mio avviso più delicati e critici sono la fase relativa al getto in opera, la maturazione, la pianificazione delle lavorazioni, il controllo del calcestruzzo fresco e indurito, la corretta definizione dei requisiti (prestazione meccanica, durabilità, consistenza), il controllo.

Quindi, per concludere, il controllo di produzione di fabbrica di fatto funziona e la tecnologia ha dato un forte ed efficace supporto al sistema produttivo; avremo bisogno di contro di qualificare l’impresa e i suoi addetti, i progettisti nonché i direttori dei lavori, che spesso sottovalutano il controllo del calcestruzzo in opera.

Figura 6 - fase di realizzazione transitoria

Andrea Dari:
Molti settori stanno certificando tramite norme UNI e patentini le proprie figure professionali. Ne parleremo anche al SAIE di Bari. Cosa ne pensi, questo settore dovrebbe qualificare le figure che vi operano?

Riccardo Schvarcz:

Senza dubbio qualificare e certificare le figure che operano nel settore del calcestruzzo, in primis i tecnologi, è buona cosa; mi preme di più riferirmi ai tecnici che effettuano i controlli da parte di laboratori ufficiali e/o autorizzati.

Non nascondo che spesso riscontro contenziosi tra committenti, imprese e produttori che sono conseguenti a controlli in sito da parte di laboratori che successivamente risultano non correttamente realizzati.

Figura 7 - controllo calcestruzzo fresco

Il lavoro dei laboratori è incrementato nel tempo e la necessità di inserire nuovo personale per affrontare la maggiore domanda spesso va in contrasto con la preparazione, le competenze e la formazione di questi giovani professionisti. La formazione e la qualifica del personale di controllo, quindi, dovrebbe essere qualificata e certificata da Organismi di parte Terza.

Mi preoccupa di più, comunque, la gestione del cantiere, per cui ritengo prioritaria la formazione e la qualifica dei responsabili di cantiere e della direzione dei lavori, che talvolta non ha le competenze necessarie per presidiare gli aspetti strutturali (non solo del calcestruzzo, ma anche della carpenteria metallica, legno, muratura, vetro-alluminio, ecc.).
Secondo me la qualifica del personale tecnico impiegato per la realizzazione di un’opera andrebbe legata all’assicurazione decennale postuma
, così facendo si potrebbe responsabilizzare il mercato e sensibilizzare tutti gli attori attraverso la responsabilità di ciascuno.

Figura 8 - realizzazione di strutture prefabbricate

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