Etica nella professione ingegneristica: la virtù della temperanza
L'etica nella professione ingegneristica: la virtù della temperanza
È ancora Giotto, nel suo affresco sui vizi e le virtù della Cappella degli Scrovegni, a fornirci un incipit per trattare di un’altra virtù, tradizionalmente inserita tra quelle “cardinali”, cioè fondamentali per l’agire etico. Egli dipinge la temperanza con le sembianze di una donna dalla lunga tunica, con un freno alla bocca e che impugna una spada interamente fasciata. Sull’altro lato, è raffigurato il vizio opposto, l'ira: una figura femminile che con gesto folle si straccia le vesti scoprendosi il petto e piegandosi all’indietro palesemente fuori di sé. I simboli sono chiari: la compostezza della prima figura, la spada fasciata e il freno indicano misura, dominio di sé, rifiuto di ogni eccesso e violenza. L’atteggiamento scomposto e rabbioso della seconda mostra invece l’incapacità di governare se stessi e di moderare le proprie emozioni.
Il termine “temperanza” oggi non gode di grande popolarità. Evoca inibizione, freno, regola: tutti aspetti che l’attuale cultura della competizione e del desiderio considera poco attraenti. Eppure la radice del termine latino temperantia la si ritrova non soltanto in temperatura, ma anche in tempra, che indica durezza, resistenza e in temperamento, usato spesso come sinonimo di carattere e di energia personale. Temperato si dice anche di uno strumento musicale che risulta accordato secondo una scala di misura ben definita e costante. Contemperare indica la capacità di conciliare e di bilanciare diversi bisogni e impegni, adattandoli alle situazioni concrete. Il termine greco sophrosýne significava assennatezza, disciplina, conoscenza dei propri limiti e ricerca di ciò che è conveniente. Platone fa analizzare questa virtù da Socrate nel dialogo “Carmide”, giungendo alla conclusione –forse un po’ intellettualistica- che essa consiste nell’essere consapevoli di ciò che si sa e di ciò che non si sa. Oggi la chiameremmo onestà intellettuale, indispensabile per l’ingegnere che fa ricerca e per chi è responsabile della direzione di un lavoro.
In sintesi, temperante è chi è capace di gestire razionalmente desideri e timori, non sulla base del calcolo di costi e benefici, ma della conoscenza di sé e del proprio contesto. In questo modo, tra i diversi beni che ci si presentano, si è in grado di riconoscere il meglio, in vista di un equilibrio personale e del rispetto degli altri. Nell’esercizio della professione, la temperanza è particolarmente importante: non ha una funzione inibitoria, ma equilibratrice sia delle paure che dei desideri. La paura di sbagliare, la collera di fronte alle inadempienze altrui, la volontà di rivalsa, l’insofferenza nei confronti della fatica o delle difficoltà di un’impresa sono temperate dalla considerazione attenta della posta in gioco, dal dominio di sé e dal valore del servizio agli altri. Allo stesso modo, la temperanza modera la ricerca del potere e del guadagno, il bisogno di consensi e il protagonismo ad ogni costo, tutte manifestazioni che la psicologia ha incluso nella fenomenologia del narcisismo.
Nel film cult di Oliver Stone “Wall Street - il denaro non dorme mai”, l’avido finanziere Gordon Gekko tesse l’elogio dell’avidità: “l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha impostato lo slancio in avanti di tutta l’umanità”. Ma Gekko, che sembra lanciato verso un successo dietro l’altro, è in realtà un perdente, perché è privo di affetti e di autentiche amicizie – “se vuoi un amico, prendi un cane”: dirà all’aspirante yuppie Bud- e alla lunga la sua vita piena di sospetti e di invidie si rivelerà insopportabile e autodistruttiva.
Nell’agire professionale possiamo distinguere tre tipi di motivazioni e di connesse gratificazioni: quelle intrinseche, che derivano dal gusto dell’azione in sé e per sé; quelle estrinseche, che provengono da consensi esterni; quelle trascendenti, frutto della coscienza di aver agito per il meglio. Un buon esercizio è ogni tanto esaminare come funziona in noi questa struttura motivazionale: se hanno più peso le motivazioni estrinseche, ossia il guadagno o il successo, rischiamo di diventare un’antenna sismica di quanto accade fuori di noi. Se al contrario attribuiamo esclusiva importanza alle motivazioni intrinseche, ci esponiamo alla chiusura egocentrica sui nostri interessi. Le motivazioni trascendenti sono quelle che consentono di coltivare una prospettiva più ampia, contemperando anche gli altri due tipi di motivazioni e raggiungendo così una maggiore gratificazione.
Uno degli effetti della temperanza è, infatti, quella che gli antichi chiamavano tranquillitas animi, che non è l’apatica soddisfazione di una vita borghese e mediocre. È piuttosto la serenità che deriva dall’ordine interiore, dalla consapevolezza di una gerarchia tra i beni e tra i diversi bisogni, che rende capaci di scegliere in ogni momento il meglio e il giusto. Nel lavoro in team queste qualità sono di estrema importanza ai fini della lucidità di certe decisioni e della scelta delle strategie più opportune. Occorre riconoscere i propri limiti e quelli dei collaboratori, ma anche individuare punti di forza e possibilità di miglioramento. “Se sei passivo, mettiti all’opera; se sei attivo, fermati a riflettere su quello che conviene fare”: così si vince l’inerzia di chi teme il cambiamento, ma anche l’azzardo di chi pensa che il nuovo sia sempre migliore.
La tradizione cristiana ha chiamato umiltà questa capacità di ammettere i propri talenti e limiti, moderando il desiderio di primeggiare a tutti i costi. Nell’autobiografia “Elogio dell’imperfezione”, in cui Rita Levi Montalcini narra la sua esperienza umana e scientifica, si ripercorrono i successi e gli insuccessi professionali che hanno costellato il cammino della neuroscienziata. Dalla lettura si comprende come il progresso scientifico ed intellettuale sia possibile solo riconoscendo i propri errori, in modo da analizzarli e possibilmente risolverli. Da qui il titolo del libro: l'imperfezione, inevitabile nell’esistenza umana, merita un elogio se diventa una tappa per giungere alla meta.