Estetica e funzionalità della “città ideale” rinascimentale. Curiosità e influenze sull’attualità
Il testo tratta dell'evoluzione del concetto di pianificazione urbana attraverso la storia, con un focus sul Rinascimento e le influenze classiche. Partendo dalle teorie di Ippodamo da Mileto si esplora la ricerca di modelli ideali di città, culminando con il concetto della "città stellare" di Filarete. Si analizzano anche le innovazioni urbanistiche riguardanti la disposizione dei cardi e dei decumani. Infine, si evidenziano le influenze di queste teorie nella pianificazione urbana moderna.
Sabbioneta è una delle città ideali realizzate nel Rinascimento (dette anche città “stellari” dalla loro forma planimetrica) di cui ancora esistono alcune realizzazioni.
Oggi costituiscono una memoria storica (alcune, a ragione, sono Patrimonio dell’UNESCO) ma, come sempre, rappresentano interessanti casi di studio per vedere l’influenza che hanno esercitato sui posteri.
Visitando Sabbioneta (una delle realtà ancora pressoché integre) ho notato una particolarità urbanistica che costituisce un’anomalia dello schema teorico, ma che è stata riproposta (per altre finalità, consapevolmente o no) in alcune realizzazioni del secolo scorso.
Come dire: difficile inventare qualcosa di nuovo.
Lo studio dei canoni formali e teorici sulla cui base progettare e realizzare gli insediamenti umani si fa risalire ad Ippodamo da Mileto (ritenuto il padre dell’urbanistica come Ippocrate è ritenuto il padre della medicina) cui si attribuisce l’ideazione della “maglia ortogonale” che i romani imposteranno sul “cardo” (asse nord-sud) e il “decumano” (asse est-ovest).
La ricerca di “modelli urbani” si svilupperà molto nell’ottocento, ma i primi studi del Rinascimento appaiono particolarmente affascinanti perché mediati da riferimenti culturali che affondano le radici in studi filosofici e nel ritrovato classicismo. Alla ricerca della “città ideale”.
Uscendo dal medio evo, in un’epoca di rinnovamento culturale e di riscoperta delle antiche radici, gli uomini colti sentono il bisogno di uscire dallo spontaneismo di crescita della città medioevale dandosi dei “canoni” ideali.
Il riferimento è, neanche a dirlo, alla classicità, alla ricerca di “modelli” teorici che, riproponendo schemi geometrici e “rapporti” dimensionali armonici, esprimano intrinsecamente un concetto di equilibrio formale ed estetico.
Lo studio – cui si dedicheranno gli eruditi del tempo: letterati, filosofi, matematici, architetti civili e architetti militari - porterà ad un modello “stellare”, esito di una ricerca di funzionalità fondata su concezioni filosofiche che persegue perfezione geometrica della forma, nella convinzione che “il bello” è anche “funzionale”. Già Pitagora riteneva che l’armonia e la funzionalità della natura fossero regolate dai numeri.
In pittura ne sono esempio tre famosi dipinti che rappresentano appunto la restituzione “fotografica” di una città costruita su precisi rapporti dimensionali e prospettici.
Di questi dipinti (rispettivamente siti ad Urbino, Berlino, Baltimora) l’unica cosa (più o meno) certa è che sono coevi della seconda metà del 1400, ma incerto ne è l’Autore che alcuni ipotizzano sia Leon Battista Alberti, o Giuliano da Sangallo, o il Laurana, o Piero della Francesca, o Francesco di Giorgio Martini, ….).
Poco interessa l’Autore; anzi, proprio la difficoltà di attribuzione testimonia che la tensione culturale di quel periodo era corale ed orientata alla ricerca di un “modello spaziale” condiviso e universale che improntasse le forme dell’architettura.
L’estensione dello studio dalle forme dell’architettura allo spazio circostante porterà alla formulazione di canoni progettuali dell’intera città: che dovrà essere una “città ideale”, formalmente, funzionalmente e socialmente perfetta.
Filarete e la genesi della “città stellare”
Certamente il modello più innovativo e che raggiunge una perfezione formale, esito di una elaborazione concettuale rigorosa, è quello della “città stellare” ideato da Antonio Averulino (detto il Filarete) (1400-1469 D.C.) che progetta (come schema teorico ripetibile) una struttura urbana scaturente dalla sovrapposizione di due quadrati sovrapposti e ruotati di 45° che danno luogo ad una poligonale a stella regolare con otto vertici le cui diagonali convergono in un centro.
La genesi formale è geniale e intrigante.
La “Città Stellare” di Filarete si articola dunque in sedici strade che si dipartono da un centro, di cui otto si dirigono ai vertici della stella e otto ai punti convessi.
Nei vertici della stella ottagonale saranno edificati i bastioni della difesa in cui collocare le artiglierie e nelle otto convessità le porte di accesso alla città, sì da fare in modo che le otto porte siano protette dagli otto bastioni. Così anche le strade avranno, rispettivamente, una prevalente funzione militare quelle che dal centro vanno ai bastioni, una prevalente funzione commerciale quelle che dal centro vanno alle porte.
Non è ancora il concetto di “zonizzazione” (che sarà elaborato dalla cultura razionalista) ma un’idea di specializzazione delle infrastrutture.
E’ evidente la datazione del “modello”, che nasce nel momento storico delle Signorie tra loro belligeranti in cui l’esigenza della città era quella di garantire la sicurezza e la tutela militare in uno con la residenza e lo svolgimento delle attività commerciali.
Sforzinda
Il modello (che il Filarete nel suo Trattato di Architettura chiamerà “Sforzinda” perché dedicata agli Sforza di Milano) soddisfa entrambe le esigenze “urbane” dell’epoca, è frutto di un’indubbia derivazione colta dal punto di vista concettuale e riafferma anche una visione centralistica della città che si armonizza con la concezione centralistica del “potere” del Principe: il potere politico e militare (ed anche quello religioso) stanno nel “centro”.
Un modello radiocentrico di cui è immediata la percezione spaziale (anche perché a metà dei percorsi si collocano piazze legate da un anello circolare che rafforza la centralità del disegno geometrico): si sa sempre dove ci si trova a differenza delle destrutturate conformazioni delle città medioevali frutto di disorganiche sovrapposizioni e aggregazioni.
Con questo modello il Filarete coniuga dunque ideazione concettuale, equilibrio formale, perfezione geometrica e funzionalità urbana (per quelle che erano le esigenze dell’epoca: commercio e difesa).
Non sfuggono i limiti (e anche qualche ingenuità) di questo disegno. La città nasce e resta compressa nella sua dimensione originaria (è una città statica, senza possibilità di crescita, ma allora non era un grosso problema).
Evidentemente la realizzazione di una siffatta “città ideale” presupponeva una realizzazione ex novo, non improbabile però all’epoca del Rinascimento.
Palmanova: una realizzazione (quasi) fedele
Infatti l’elaborazione teorica del Filarete non rimase utopia, ma trovò realizzazioni concrete la cui più famosa in Italia (e ancor oggi la meglio conservata) è Palmanova, città di nuovo impianto costruita appunto come baluardo a nord del territorio della Serenissima (oggi in provincia di Udine).
Lo studio era dedicato agli Sforza di Milano (e dunque ad un Principe), ma sarà la Repubblica di Venezia a dargli corpo.
Ad essere sinceri in Palmanova una variazione sul tema c’è: i vertici della stella sono nove e non otto, ma la pianta è comunque regolare.
Un esempio originale: Sabbioneta
Tra le altre realizzazioni esistenti mi piace richiamare Sabbioneta (in provincia di Mantova) impiantata appunto ex novo dal duca Vespasiano Gonzaga nel 1556-1591 che riprende la filosofia e il concetto della città stellare, voluta e pensata dal “Signore” del luogo e costruita su suo progetto, ancor oggi visitabile e pressoché integra (salvo alcune infelici demolizioni fortunatamente parziali) che però non ne hanno scalfito il fascino.
Anche Sabbioneta ci riserva qualche interessante sorpresa.
Non sappiamo se il Gonzaga l’abbia inventata di sana pianta o se conoscesse le teorie del Filarete e le abbia re-interpretate e manipolate a suo uso e consumo; cronologicamente sarebbe possibile visto che il Trattato del Filarete è del 1464, che la realizzazione di Sabbioneta avviene circa un secolo dopo e che Vespasiano era uomo colto e curioso (anche se non c’era internet i fermenti culturali viaggiavano veloci nelle corti dell’epoca). Di certo non aveva visto Palmanova la cui costruzione cominciò nell’ottobre del 1593 (quando Sabbioneta era ormai ultimata).
Il Filarete era un erudito, letterato, filosofo, architetto, dunque sostanzialmente uomo di penna; il Gonzaga era certamente uomo colto (straordinariamente colto e amante dell’arte), ma prima ancora uomo d’arme (la storia ci dice capace e affidabile).
Così apporta alcune sostanziali modifiche alla perfezione formale ed estetica del Filarete, vuoi per motivi militari, vuoi per motivi culturali.
Intanto la stella non è a otto punte, ma a sei (anzi, inizialmente a cinque) e i vertici (i bastioni) sono asimmetrici sia per posizione che per dimensione; e questo per motivi militari di “distrazione” del nemico che avrebbe potuto avvantaggiarsi di una forma regolare per calibrare il tiro delle artiglierie.
Le porte d’ingresso sono solo due.
La perfezione formale della pianta del Filarete è alterata e la stella risulta irregolare: funzionale però (secondo il duca) a finalità militari.
Se Palmanova è la traduzione (abbastanza) fedele del “disegno urbano” derivato dalla concezione filosofica che lo ha ispirato (e, dunque, ripetibile), Sabbioneta è la realizzazione di un disegno scaturito dalla volontà (e dal carisma personale) di Vespasiano Gonzaga (dunque irripetibile perché unico, condizionato dal territorio e piegato alle esigenze difensive).
Ma le anomalie rispetto al modello del Filarete non finiscono qui e non sono neanche le più significative.
La maglia urbana
Il Gonzaga non adotta un sistema viario radiocentrico, ma a maglia ortogonale (non necessariamente quadrata) di evidente derivazione dal “castrum” romano.
Con alcune significative alterazioni (o, forse sarebbe meglio dire, personalizzazioni).
Gli isolati infatti non sono solo quadrati, ma anche rettangolari e di dimensioni irregolari (si dice per disorientare l’eventuale nemico che fosse riuscito a penetrare nella città).
Infatti lo schema radiocentrico orienta; la maglia a isolati irregolari disorienta.
La planimetria appare a prima vista casuale e disorganica e invece è frutto di una scelta.
La “maglia urbana” ortogonale irregolare e non radiocentrica appare ad un tempo una scelta di strategia militare e un indubbio riferimento culturale e storico.
La rottura dello schema classico: lo sfalsamento cardo-decumano
Il Gonzaga aggiunge però un’altra peculiarità (che riteniamo la più rilevante anche perché sarà riproposta quattro secoli dopo come vedremo tra poco), ancora tesa (così pare) a disorientare l’eventuale aggressore:
- il Cardo e il Decumano non si incrociano in un “centro”, ma sono sfalsati e
- il Cardo e il Decumano non vanno da porta a porta, ma si interrompono sul fronte di un palazzo o di una casa.
Per chi non vive la cittadella e ci entra per la prima volta rende ancor più difficile orientarsi, mentre sarebbe assai facile farlo in una pianta radiocentrica in cui da ogni strada si vede il centro città o anche in una maglia a “castrum” romano classico con cardo e decumano passanti che lasciano percepire la profondità dell’isolato.
Non essendoci un centro anche il palazzo del potere è decentrato.
Un’anomalia che diventa motivo di organizzazione degli spazi urbani
Questo aspetto mi ha incuriosito, perché la peculiarità dello “sfalsamento” del Cardo o del Decumano la ritroveremo molto più tardi in alcune città di fondazione realizzate nel “ventennio”.
In questo periodo storico sono state realizzate molte città (o borghi) di nuovo impianto (dette appunto “città di fondazione”) perché sorte dal nulla e come tali realizzate sulla base di un “progetto” urbanistico preventivo (e teorico).
Il modello è derivato dal razionalismo in cui si propongono reinterpretazioni dell’architettura romana con studi dettagliati dei rapporti geometrici delle componenti base (gli archi ad esempio).
Come a suo tempo le città stellari, anche le città di fondazione sono “città progettate” ex novo.
Le “Città di Fondazione” italiane - si pensi a Latina, (già Littoria), a Sabaudia, a Pontinia, …. - riprendono lo schema a maglie ortogonali del “castrum” romano in cui la piazza principale si trova all’incrocio cardo-decumano che risultano (generalmente) passanti da un capo all’altro della città dando così un’idea di profondità.
Non sempre però. In alcuni casi (Aprilia, Segezia progettate dall’architetto Concezio Petrucci & Co., ma anche in alcuni Borghi secondari: Giardinetto, Cerbaro, Incoronata, … ) si apporta un’innovazione planimetrica costituita dallo sfalsamento del percorso cardo-decumano.
Cardo e Decumano si innestano l’uno rispetto all’altro “a baionetta” in modo da interrompere la veduta passante da un estremo all’altro (da una porta all’altra) facendo sì che lo sguardo incontri una “quinta” su cui fissarsi; quinta costituita da un “palazzo” del potere (politico o religioso).
Un modo per creare un simbolismo ed enfatizzare la centralità di quel potere.
Il centro (sia urbano che del potere coincidono) ma non viene materializzato da un incrocio (cioè da un “vuoto”), ma da un manufatto (cioè da un “pieno”).
Anche la piazza che ne deriva risulta più articolata e avvolgente e presenta scorci dinamici meno scontati che invitano alla permanenza: insomma è una “piazza” e non un incrocio, luogo avvolgente di sosta e non di svincolo.
Si è ritenuto che questa innovazione fosse un’invenzione (un vezzo prospettico) di alcuni urbanisti del regime.
In realtà – come abbiamo scoperto - questo disallineamento era già stato adottato da Vespasiano Gonzaga a Sabbioneta; certo per motivazioni diverse: militari quelle, scenografico-politiche queste.
Ma l’artificio materiale è lo stesso: sta a vedere che l’hanno copiato !
Reinterpretandolo naturalmente.
Non è dato sapere se Sabbioneta fosse stata studiata dagli urbanisti del ventennio e quindi ne fossero a conoscenza (probabilmente sì); certo è che a quella data quella soluzione formale non era più originale.
Originale però ne è stata la sua finalizzazione.
La grammatica è la stessa, diversa la semantica.
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