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Esposizione umana ai campi elettromagnetici: le peculiarità della legislazione nazionale rispetto alla normativa europea

Nella legislazione italiana in materia di esposizione umana ai campi elettromagnetici si evidenziano alcune peculiarità e disallineamenti rispetto alla normativa europea, con riferimento sia ai limiti nazionali più restrittivi per l’esposizione della popolazione sia alla distinzione tra esposizione professionale e non professionale dei lavoratori. In questo articolo si propone un’analisi del corpus normativo con alcune riflessioni alla luce dei recenti provvedimenti legislativi.

I riferimenti normativi per la definizione dei limiti per l’esposizione della popolazione e dei lavoratori

La Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP) − un'organizzazione scientifica senza scopo di lucro che collabora con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) − ha elaborato e pubblicato, nel corso degli ultimi decenni, linee guida sulla definizione dei limiti di esposizione dei lavoratori e della popolazione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici nella gamma di frequenze da 0 Hz a 300 GHz (di seguito denominati per brevità CEM) ai fini della protezione dagli effetti acuti scientificamente accertati, che possono causare rischi per la salute e la sicurezza al di sopra di determinati livelli di esposizione [1][2][3][4][5].

Sulle linee guida dell’ICNIRP esiste un ampio consenso internazionale a livello scientifico e governativo, sicché esse costituiscono la base delle normative europee che stabiliscono i requisiti minimi per la definizione dei limiti per l’esposizione a CEM della popolazione generale e dei lavoratori nelle legislazioni degli Stati Membri.

La Raccomandazione del Consiglio europeo 1999/519/CE del 12 luglio 1999 (di seguito denominata Raccomandazione 1999/519/CE) [6] definisce i limiti raccomandati per l’esposizione della popolazione, applicando le relative restrizioni di cui alle linee guida ICNIRP del 1998 [1]. Pur non essendo giuridicamente vincolante, la Raccomandazione 1999/519/CE è stata approvata dal Comitato scientifico direttivo della Commissione Europea [7] e i relativi limiti sono stati recepiti dalle legislazioni nazionali della maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea [8], tra cui l’Italia.

I limiti per l’esposizione dei lavoratori, ai fini della protezione dai possibili rischi per la salute e la sicurezza derivanti dalle esposizioni professionali ai CEM, sono invece fissati dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2013/35/UE del 26 giugno 2013 (di seguito denominata Direttiva 2013/35/UE) [9], che recepisce i limiti per i lavoratori raccomandati dalle Linee Guida ICNIRP del 1998 [1] (per i campi elettromagnetici da 100 kHz a 300 GHz), del 2009 [2] (per i campi magnetici statici) e del 2010 [3] (per i campi elettrici e magnetici da 1 Hz a 100 kHz).

La Direttiva 2013/35/UE è giuridicamente vincolante; pertanto, le relative restrizioni costituiscono per gli Stati membri i requisiti minimi per la fissazione, all’interno delle legislazioni nazionali, dei limiti di esposizione a CEM per i lavoratori.

 

In Italia, distinzione per le esposizioni dei lavoratori

In Italia, la legge del 22 febbraio 2001, n° 36 (di seguito Legge Quadro 36/2001) sulla protezione dei lavoratori e della popolazione dalle esposizioni ai CEM [10], all’articolo 3, ha introdotto per le esposizioni dei lavoratori una distinzione peculiare, non presente nella Direttiva 2013/35/UE, tra le così dette esposizioni professionali, ossia le esposizioni dei lavoratori durante lo svolgimento di mansioni specifiche che giustifichino un’esposizione a livelli di CEM al di sopra dei limiti stabiliti per la popolazione, e le esposizioni non professionali, ossia le esposizioni occupazionali estranee o non necessarie alla mansione assegnata, che sono da assimilare all’esposizione della popolazione.

In considerazione della suddetta distinzione, alle esposizioni professionali si devono applicare i limiti della Direttiva 2013/35/UE, recepiti nel Titolo VIII – Capo IV e Allegato XXXVI del decreto legislativo n.81 del 9 aprile 2008, Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro [11] − come modificato dal decreto legislativo n. 159 del 1° agosto 2016 per l’attuazione della Direttiva 2013/35/UE [12] − di seguito denominato D.Lgs. 81/2008 e s.m.i..

Invece, alle esposizioni non professionali dei lavoratori si applicano i limiti per la popolazione di cui alla Legge Quadro 36/2001 e ai decreti attuativi del presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’8 luglio 2003 e s.m.i. [13][14][15][17]. Inoltre, la Legge Quadro 36/2001 e i successivi provvedimenti legislativi attuativi hanno introdotto, per l’esposizione a CEM della popolazione e per le esposizioni non professionali, limiti più restrittivi rispetto alle restrizioni della Raccomandazione 1999/519/CE, con riferimento agli elettrodotti operanti alla frequenza di rete (50 Hz) e ai sistemi fissi di telecomunicazione e radiotelevisivi operanti in alta frequenza (da 100 kHz a 300 GHz).

Nel presente articolo si intende fornire un quadro sintetico, ma il più possibile rigoroso, sugli effetti biofisici scientificamente accertati derivanti dall’esposizione ai CEM e sui possibili rischi per la salute e la sicurezza, nonché un’analisi comparata delle disposizioni della normativa europea e italiana in materia di protezione della popolazione e dei lavoratori dalle esposizioni ai CEM, con particolare riferimento al combinato disposto della Legge Quadro 36/2001, dei due decreti attuativi DPCM 8/7/2003 e s.m.i., e del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., anche alla luce del recente provvedimento legislativo del 30 dicembre 2023, che prevede un aumento dei valori limite nazionali in alta frequenza per le esposizioni della popolazione e ad essa assimilata (le esposizioni non professionali) - pur mantenendoli al di sotto dei corrispondenti limiti europei -  al fine di potenziare la rete mobile 5G nelle aree urbane [17].

 

Effetti derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici

Effetti acuti dei campi elettromagnetici

I limiti di esposizione definiti nella Raccomandazione 1999/519/CE e nella Direttiva 2013/35/UE hanno lo scopo di proteggere, rispettivamente, la popolazione e i lavoratori dagli effetti diretti e indiretti derivanti dall’esposizione ai CEM che sono accertati scientificamente, ossia gli effetti per i quali è stato accertato un nesso di causalità con l’esposizione ed è ben definito il meccanismo biofisico d’interazione.

Essi sono effetti acuti a breve termine di tipo deterministico, ossia effetti che si manifestano entro un tempo breve dall’esposizione ogni volta che il livello di esposizione raggiunge un determinato valore di soglia e la cui gravità, una volta superata la soglia, aumenta proporzionalmente all’intensità del campo.

Gli effetti biofisici acuti che i CEM possono indurre direttamente in un soggetto esposto dipendono dall’intensità del campo. Tali effetti possono essere classificati in due categorie in relazione ai possibili rischi derivanti dall’esposizione:

  • effetti sanitari, ossia effetti acuti che si verificano per esposizioni a valori di CEM particolarmente elevati, in grado di indurre variazioni fisiologiche al di fuori dell’intervallo che l’organismo può normalmente compensare attraverso meccanismi di riparazione e adattamento; tali effetti persistono per tempi lunghi o permanentemente dopo la cessazione dell’esposizione e, pertanto, possono comportare una condizione di danno per la salute (rischio per la salute);
  • effetti sensoriali, ossia effetti acuti che si verificano per esposizioni a valori di CEM elevati (ma inferiori alla soglia per gli effetti sanitari), in grado di indurre variazioni fisiologiche che determinano disturbi transitori; tali effetti cessano in breve tempo una volta terminata l’esposizione ma influenzano le capacità cognitive o le funzioni muscolari e, pertanto, possono influire negativamente sulla capacità di agire e operare in modo sicuro (rischio per la sicurezza).

I meccanismi biofisici di interazione diretta dei CEM, da cui derivano gli effetti acuti accertati e i relativi limiti protezionistici, dipendono anche dalla frequenza − in funzione della quale cambia la modalità di interazione dei CEM con il corpo umano. Per esposizioni acute a campi elettrici e magnetici fino a 10 MHz si manifesta la stimolazione del sistema nervoso centrale e periferico (effetti non termici). Per esposizioni acute a campi con frequenza superiore a 100 kHz, insieme agli effetti non termici, iniziano a manifestarsi anche gli effetti termici, associati al riscaldamento dei tessuti indotto dall’assorbimento dell’energia elettromagnetica.; all’aumentare della frequenza gli effetti termici diventano prevalenti e oltre 10 MHz essi sono gli unici presenti.

I limiti definiti dalle normative mirano altresì a proteggere dagli effetti indiretti che possono costituire un rischio per la salute o per la sicurezza. Essi sono associati all’interazione del campo sia con i dispositivi medici attivi (stimolatori cardiaci, defibrillatori, pompe per infusione di farmaci, ecc.), passivi (protesi metalliche, clip chirurgiche, ecc.) e con gli elementi metallici impiantati o portati sul corpo (schegge, piercing, tatuaggi con pigmenti metallici, ecc.), sia con gli oggetti ferromagnetici (rischio magnetopropulsivo) e con i materiali infiammabili o esplosivi (rischio di innesco di incendi o esplosioni). Inoltre, campi elettrici intensi possono determinare effetti indiretti, quali le scariche elettriche e le correnti di contatto, a seguito del contatto con oggetti conduttivi − non necessariamente sotto tensione − che siano a un potenziale elettrico diverso dal corpo del soggetto esposto.

È importante notare che le soglie di insorgenza degli effetti indiretti dei CEM sono solitamente inferiori a quelle degli effetti diretti e, con riferimento alle interferenze con i dispositivi medici, possono verificarsi per esposizioni a valori di CEM anche inferiori ai limiti per la popolazione [6][9].

Pertanto, nella valutazione dei rischi da esposizione ai CEM, bisogna dedicare particolare attenzione ai possibili effetti indiretti.

  

Effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici?

Sia la Raccomandazione 1999/519/CE, per la tutela della popolazione, sia la Direttiva 2013/35/UE, per la tutela dei lavoratori, non includono negli ambiti di applicazione le ipotesi di effetti a lungo termine associati alle esposizioni a livelli di CEM inferiori ai limiti protezionistici stabiliti per gli effetti acuti.

Per i CEM sono stati ipotizzati effetti a lungo termine, che potrebbero derivare da esposizioni croniche a livelli di campo inferiori ai limiti protezionistici basati sugli effetti acuti accertati; tuttavia, per essi, mancano attualmente dati scientifici conclusivi comprovanti un nesso di causalità.

In base a evidenze limitate riscontrate da alcuni studi epidemiologici, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), nel 2001, ha classificato nel gruppo 2B (possibili cancerogeni umani) i campi magnetici alle frequenze estremamente basse (50/60 Hz) con riferimento a un aumento del rischio di sviluppo di leucemie infantili in relazione alle esposizioni prolungate in prossimità degli elettrodotti [18] e, nel 2011, i campi elettromagnetici a radiofrequenza con riferimento a un aumento del rischio di sviluppo di alcuni tumori cerebrali e del nervo acustico negli utilizzatori intensivi di telefoni cellulari [19].

Tuttavia, la stessa IARC ha evidenziato che i risultati di tali studi non sono conclusivi o non sono sufficienti a dimostrare un nesso causale circa una possibile associazione tra esposizione cronica a CEM e rischio di sviluppo di tumori.

Di conseguenza, le principali autorità scientifiche, tra cui ICNIRP, ritengono che, allo stato attuale, non sussistano evidenze plausibili utili a definire valori di soglia e, di conseguenza, limiti per le esposizioni subacute o croniche ai CEM. La Commissione europea valuterà quali siano gli strumenti più appropriati per affrontare tali effetti, qualora emergano prove scientifiche certe al riguardo (ex art. 1, comma 4 della Direttiva 2013/35/UE).

Ciononostante, ispirandosi al principio di precauzione, alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno stabilito limiti nazionali cautelativi per le esposizioni ai CEM della popolazione al fine della protezione da possibili effetti a lungo termine, con riferimento ad alcune sorgenti ampiamente diffuse (in Italia, gli elettrodotti e gli impianti fissi di telecomunicazione e radiotelevisivi).

 

Quadro normativo europeo sulla prevenzione e protezione dai CEM

La Direttiva 2013/35/UE, sulle disposizioni minime per la limitazione dell’esposizione dei lavoratori ai CEM [9], statuisce i Valori Limite di Esposizione (VLE) e i Livelli di Azione (LA) sulla base dei limiti occupazionali definiti dalle Linee Guida ICNIRP fino ad allora pubblicate.

Specificamente, per la protezione dei lavoratori dagli effetti termici associati ai campi elettromagnetici variabili nel tempo da 100 kHz a 300 kHz, la Direttiva si riferisce ai limiti occupazionali delle Linee Guida ICNIRP 1998 [1], mentre per la protezione dei lavoratori dagli effetti non termici associati ai campi magnetici statici e ai campi elettrici e magnetici variabili nel tempo fino a 10 MHz essa si riferisce, rispettivamente, ai limiti occupazionali delle Linee Guida ICNIRP 2009 [2] e delle Linee Guida ICNIRP 2010 [3]. Analogamente, la Raccomandazione 1999/519/CE definisce i Limiti di Base (LB) e i Livelli di Riferimento (LR) per la protezione della popolazione dall’esposizione ai CEM [6] sulla base dei limiti per la popolazione raccomandati nelle Linea Guida ICNIRP 1998 [1].

Sia i LB della Raccomandazione 1999/519/CE che i VLE della Direttiva 2013/35/UE sono valori limite espressi in termini di grandezze di base (dosimetriche), direttamente correlate agli effetti osservati nel corpo umano a seguito dell’interazione con il campo e in relazione al livello di esposizione.

Si noti che i LB e i VLE non proteggono dagli effetti indiretti derivanti dalle interferenze con i dispositivi medici, impiantati o indossati, e dalle scariche elettriche e correnti di contatto.

I LR della Raccomandazione 1999/519/CE e i LA della Direttiva 2013/35/UE sono, invece, valori precauzionali espressi in termini di grandezze ambientali rilevabili (attraverso calcoli o misurazioni) in assenza del soggetto esposto, che derivano dalle grandezze di base nelle condizioni di caso peggiore di esposizione. La conformità ai LR e ai LA permette di semplificare il processo di valutazione del rispetto dei pertinenti LB e VLE, valutabili solitamente tramite complesse metodiche dosimetriche. I LR e i LA sono definiti anche con lo scopo di proteggere dagli effetti indiretti non tutelati dal rispetto dei LB e VLE quali, ad esempio, le scariche elettriche, le correnti di contatto e l’interferenza con dispositivi medici impiantati e indossati.

Si noti che la Direttiva 2013/35/UE introduce una distinzione tra i LA inferiori, che garantiscono il rispetto dei VLE relativi sia agli effetti sensoriali sia agli effetti sanitari, e i LA superiori, che garantiscono il rispetto dei VLE per gli effetti sanitari ma non dei VLE per gli effetti sensoriali, a meno che non si attuino le opportune misure tecniche e/o organizzative miranti a eliminare o ridurre i rischi.

Nel caso in cui si riscontri il superamento dei LR o dei LA è necessario verificare che i rispettivi LB e VLE non siano superati e che possono essere esclusi rischi per la sicurezza; altrimenti, devono essere implementate le misure organizzative e/o tecniche di cui all’articolo 5 della Direttiva 2013/35/UE.

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  • Quadro normativo nazionale sulla prevenzione e protezione dai CEM
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