Equo compenso, Lapenna (ex Consigliere CNI): "Bene l'interesse sul tema, ma va estesa la platea di committenti"
Michele Lapenna, già consigliere del CNI, esprime soddisfazione per la pubblicazione in GU del testo sull'Equo Compenso. Tuttavia restano ancora dei nodi da sciogliere, come l'integrazione con il Codice dei Contratti o l'estensione della platea di committenti privati, ora riferita ad imprese con più di 50 dipendenti o un fatturato superiore ai 50 mln di euro.
Auspicabile arrivare a una norma che regoli il rapporto tra persone fisiche e professionisti
La Legge sull'equo compenso è stata pubblicata pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento intende rafforzare la loro tutela nei confronti di specifiche imprese che, per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, in grado di determinare uno squilibrio nei rapporti con il singolo professionista.
Secondo l'Ingegner Michele Lapenna, già consigliere del CNI, il fatto che la Legge sull’Equo Compenso sia stata pubblicata in GU "non può che essere considerato un fatto positivo, perché segue il percorso iniziato alla fine del 2017 con l’ articolo 19 quaterdecies del D.L. n. 148 “Disposizioni urgenti in materia fiscale” con l’introduzione della norma sull'Equo Compenso, che denota una netta inversione di tendenza da parte del legislatore con quanto fatto nei 10 anni precedenti (a partire dal 2006) quando le tariffe professionale vennero prima ridotte ad un parametro indicativo (e non più vincolante) e poi addirittura abolite nel 2012 durante il Governo Monti" afferma Lapenna.
"Nonostante sia apprezzabile - continua l'ex consigliere CNI - questa rinnovata considerazione per la tematica, gli effetti non sono ancora da considerarsi totalmente positivi, poiché la legge pubblicata oggi si riferisce, per quanto riguarda la committenza privata, alle grandi imprese bancarie e assicurative e alle imprese che hanno più di 50 dipendenti o un fatturato superiore ai 10 mln di euro.
Si tratta quindi di aspetti che riguardano grandi committenti. La norma, dunque, parte dal principio che ci sia un committente "forte" e un professionista "debole". Per quanto riguarda la committenza privata ritengo che questo sia ancora un primo passo, poiché a mio avviso va estesa la platea dei committenti fino ad arrivare anche alle piccole, medie e microimprese. Sarebbe inoltre auspicabile arrivare anche ad una norma che possa regolare il rapporto tra persone fisiche e professionisti.
Questi, dunque, gli aspetti più rilevanti per quanto riguarda la sfera degli accordi con la committenza "privata", mentre per quanto riguarda la committenza pubblica il comma 3 dell'art.2 della legge "prevede che siano applicate le disposizioni dell'equo compenso e non il principio dell'equo compenso come previsto dal D.L. 148/2017. La differenza è importante, e questa scelta determina un notevole passo in avanti, poiché la PA non potrebbe fare contratti prevedendo compensi professionali inferiori a quelli previsti dalle già citate norme del 2012. Ora resta da vedere però come questa norma si possa integrare con il Codice dei Contratti Pubblici (il quale regola tutti i servizi professionali) poiché il testo pubblicato a fine marzo prevede invece, all'articolo 8, l'applicazione del principio dell'equo compenso.
Un altro aspetto da considerare è che l'art.3, comma 3, della legge sull'Equo compenso si pone il problema della non applicabilità della norma quando questa riguarda disposizioni che attuano principi contenuti in convenzioni internazionali dei quali siano parti contraenti tutti gli Stati dell'UE.
Siccome il Codice Contratti deriva da direttive comunitarie, bisognerà vedere come le due norme possano trovare una loro definizione. Vedo difficile che sia possibile arrivare a escludere il prezzo nelle gare che hanno oggetto l’affidamento di servizi professionali perché questo sarebbe lesivo del mercato.
Bisognerà lavorare perché con la Legge sull’Equo Compenso si possano vanificare i ribassi eccessivi che purtroppo si verificano nel mercato dei servizi professionali. Un'idea potrebbe essere quella di prefissare un tetto al massimo ribasso, un'altra quella di scorporare il compenso tra una parte soggetta a ribasso e una non rappresentata dal costo del personale.
Su questo tema tutte le professioni italiane dovranno lavorare con il legislatore per trovare una quadra" conclude Lapenna.
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