Equo compenso: i professionisti chiedono "urgente chiarimento" sui criteri interpretativi
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri chiede chiarezza sull'applicazione dell'Equo compenso, evidenziando resistenze e interpretazioni errate da parte di alcuni enti e associazioni. Nonostante una recente sentenza del TAR Veneto confermi la sua validità, persistono controversie. Il CNI richiede un pronunciamento chiaro e univoco per superare tali difficoltà e garantire una corretta attuazione della legge, in attesa di eventuali correzioni al Codice dei contratti pubblici o chiarimenti ministeriali.
Il CNI evidenzia che oltre l'80% degli Enti propende per la disapplicazione della legge
Il tema dell'equo compenso per le prestazioni professionali è al centro di un acceso dibattito che coinvolge il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), rappresentanti istituzionali e l'Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC). La questione ha assunto particolare rilevanza dopo l'approvazione della legge n. 49/2023, una mossa legislativa attesa che mirava a garantire dignità e tutela ai professionisti italiani, ma che sembra incontrare ostacoli nell'effettiva applicazione.
La legge, volta a stabilire un compenso equo per le prestazioni rese dai professionisti alla Pubblica Amministrazione, è stata accolta positivamente, tuttavia, il suo effettivo recepimento e attuazione è oggetto di controversie e interpretazioni contrastanti. Il CNI ha inviato una nota esplicativa a vari rappresentanti istituzionali, evidenziando le difficoltà incontrate dagli ingegneri e da altre categorie professionali nell'applicare i criteri stabiliti dalla legge.
Nonostante l'approvazione unanime della legge e il chiaro intento di garantire un compenso dignitoso per le prestazioni professionali, diverse Amministrazioni e Associazioni di categoria sembrano resistere all'applicazione della norma. Adducono ragioni quali il principio comunitario della concorrenza, la specificità normativa del Codice dei contratti pubblici, o il principio ratione temporis per giustificare la disapplicazione della legge sull'equo compenso.
Il CNI, supportato da dati provenienti dal suo Centro Studi, ha registrato che oltre l'80% degli Enti propende per la disapplicazione della legge, spesso invocando presunti pronunciamenti dell'ANAC a sostegno della propria posizione, sebbene l'autorità non si sia espressa esplicitamente in tal senso. Anche interpretazioni errate e forzate di tali presunti pronunciamenti contribuiscono a confondere ulteriormente il dibattito.
Nonostante una recente sentenza del TAR Veneto abbia chiarito la corretta interpretazione della legge, confermando l'applicazione dell'equo compenso nei pubblici affidamenti dei servizi professionali, le resistenze persistono. Il CNI sottolinea che la sua interpretazione della norma è sempre stata chiara e coerente, mirando a garantire un equo compenso senza compromettere la concorrenza.
Il Consiglio, pur evitando azioni giudiziarie fino ad ora, è consapevole che una limitazione dell'ambito applicativo dell'equo compenso comporterebbe disuguaglianze e violerebbe il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Pertanto, chiede un pronunciamento chiaro e univoco dalle istituzioni competenti, al fine di superare le attuali difficoltà e garantire una corretta applicazione della legge.
In particolare, il CNI evidenzia l'importanza di confermare la scelta prioritaria già effettuata dall'ANAC nel documento di consultazione del bando tipo 2/2023, in attesa di eventuali correzioni al Codice dei contratti pubblici o di chiarimenti ministeriali che possano risolvere le attuali controversie e accelerare la realizzazione delle opere pubbliche.
IN ALLEGATO IL TESTO DELLA LETTERA INVIATA DAL CNI A DIVERSE ISTITUZIONI, TRA CUI LA PREMIER GIORGIA MELONI.
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