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Eliminazione solaio e modifiche prospetti in zona vincolata: SCIA off limits, sanatoria paesaggistica postuma ok

Consiglio di Stato: tra gli interventi suscettibili di dare luogo ad un intervento di ristrutturazione edilizia vi sono quelli incidenti sui prospetti. Ma il comune non puà motivare un ordine demolitorio contestando l’assenza dei prescritti nulla osta archeologico e paesistico, nonché la mancanza di apposito atto d’obbligo.


Eliminazione solaio, modifiche prospetti e tramezzature: è ristrutturazione edilizia

L'eliminazione del solaio intermedio posto a copertura del locale soggiorno, l'eliminazione di entrambi i locali box, sostituiti con un volume interrato tombato, l'eliminazione delle rampe di accesso ai locali box, la realizzazione di uno sbancamento di circa mq 13,30 a servizio della u.i. “monolocale” ed uno di circa mq 18,50 a servizio della u.i. “Bilocale” e realizzazione di una scala al fine di rendere accessibile dall’esterno i locali seminterrati destinati a cantina e di pertinenza delle sovrastanti abitazioni, la diversa distribuzione degli spazi interni al piano rialzato (terra) e servizi, le modifiche prospettiche (finestre, manto di copertura del tetto, finiture esterne), la riduzione dei muri perimetrali in corrispondenza dei locali accessori e della serra solare, la modifica della muratura in aderenza alla serra solare con sostituzione del previsto infisso in vetro con muratura piena ed una porta di collegamento e la modifica dei portici esterni e delle scale esterne di accesso al piano rialzato (terra) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia per i quali, senza permesso di costruire, scatta l'abuso edilizio con conseguente ordinanza di demolizione.

Lo ricorda il Consiglio di Stato nella sentenza 2885/2022 dello scorso 15 aprile, che in realtà poi poggia su altre coordinate (si tratta della possibilità di chiedere l'eventuale autorizzazione paesaggistica postuma in sanatoria), in quanto il comune non aveva ordinato la demolizione causa presentazione di titolo edilizio 'sbagliato' (in questo caso la DIA, oggi SCIA, al posto del permesso di costruire col quale un intervento del genere va assentito a norma di legge), ma rilevando semplicemente:

  • da un lato, “la presenza di interventi edilizi abusivi di ristrutturazione in totale difformità dal titolo abilitativo permesso di costruire…”;
  • dall’altro, la riconducibilità delle opere “nei casi previsti dall’art. 4 comma 1 bis L.R. 24/98 ed art. 142 comma 2 D. lgs 42/2004”, con conseguente assoggettamento dell’intervento all’acquisizione del nulla osta archeologico e paesistico.

Eliminazione solaio e modifiche prospetti in zona vincolata: SCIA off limits, sanatoria paesaggistica postuma ok

I principi cardine della ristrutturazione edilizia 

Nella sentenza vengono richiamati i principi giurisprudenziali, espressi dal Consiglio di Stato condivisi dal Collegio, secondo cui:

  • il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n.1510). Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2015, n. 3505)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7151);
  • il carattere distintivo che caratterizza l’intervento di ristrutturazione, distinguendolo dagli interventi manutentivi, “è, dunque, costituito dalla finalità, che è quello della "trasformazione" dell'organismo edilizio, in termini di diversità rispetto al precedente” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7593);
  • tra gli interventi suscettibili di dare luogo ad un intervento di ristrutturazione edilizia vi sono quelli incidenti sui prospetti (Consiglio di Stato, sez. II, 10 maggio 2021, n. 3684);
  • per valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164). Nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, peraltro, non può tenersi conto del mero profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico, consentendo la realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione.

Detto ciò, queste opere hanno determinato effettivamente una trasformazione dell’organismo edilizio, suscettibile di integrare gli estremi della ristrutturazione edilizia.

Difatti, le opere in esame, funzionalmente connesse, componenti un intervento unitario, per come denunciato all’Amministrazione ed eseguito dall’odierno appellante, hanno determinato, alla stregua di quanto pure emergente dalla relazione di verificazione:

  • una modifica della quota del terreno circostante la parte posteriore dell’edificio, con l’eliminazione delle rampe di accesso ai box posti nei locali seminterrati (il terreno esterno risulta degradare gradualmente verso il perimetro del lotto);
  • modifiche agli ingressi ed in particolare alle scale di accesso alla quota rialzata;
  • modifiche alle aperture esterne\finestre\porte finestre con conseguenti variazioni sui prospetti esterni.

Emerge, dunque, un intervento che ha determinato non soltanto una mera modifica della distribuzione degli spazi interni, ma anche una modifica dei prospetti e del terreno circostante, con la conseguenza che, valutato l’impatto edilizio effettivamente prodotto dall’insieme delle opere in esame (come osservato, insuscettibili di valutazione atomistica, occorrendo procedere ad una disamina globale del complessivo intervento eseguito), si è assistitito ad una trasformazione dell’organismo edilizio, tale da dare luogo, anziché a meri interventi conservativi (tipici dell’attività di manutenzione, anche straordinaria), ad un complessivo intervento di ristrutturazione edilizia.

 

Inefficacia della DIA/SCIA per l'assenza del nulla osta archeologico-paesistico

Palazzo Spada osserva però che il comune, a fondamento della propria decisione, non ha rappresentato l’inidoneità della DIA a legittimare le opere in esame, per l’emersione di un intervento edilizio astrattamente non riconducibile al suo ambito di applicazione, bensì, dando atto della presentazione di una DIA in variante ad un permesso di costruire ex art. 22, comma 2, DPR 380/2001, ha contestato l’assenza dei prescritti nulla osta archeologico e paesistico, nonché la mancanza di apposito atto d’obbligo.

Quindi ha ritenuto che la carenza di tali atti comportasse l’inefficacia della DIA e, dunque, l’emersione un intervento di ristrutturazione edilizia non legittimato dal relativo titolo edilizio, in difformità del permesso di costruire, suscettibile di sanzione ripristinatoria.

L’ordine di demolizione, in altri termini, trae il suo presupposto giustificativo, anziché nell’impossibilità di legittimare la variazione a permesso di costruire con DIA, nell’inefficacia della DIA per l’assenza del nulla osta archeologico-paesistico e dell’atto d’obbligo.

Ma una tale motivazione, alla stregua anche delle risultanze istruttorie acquisite nell’ambito dell’odierno giudizio, non può essere confermata, stante la fondatezza delle doglianze articolate nell’ambito del primo motivo di appello (in ordine alla mancata emersione di incrementi volumetrici e di superficie urbanisticamente rilevanti) e del secondo motivo di appello (in ordine all’ammissibilità della regolarizzazione dell’attività denunciata).

 

DIA/SCIA e controlli successivi

Il Consiglio di Stato, per motivare la sua decisione, ricorda che la denuncia di inizio di attività (così come la segnalazione certificata di inizio attività) costituisce uno strumento di liberalizzazione delle attività private non più assoggettate ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo.

Ai sensi dell’art. 19, comma 3, L. n. 241/90, nella formulazione ratione temporis applicabile nella specie (cfr. all’attualità, 19, comma 4, L. n. 241/90), l’Amministrazione è abilitata ad adottare i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione.

In materia di DIA (oggi SCIA), dunque, l’Amministrazione è tenuta a verificare se le difformità riscontrate in sede di controllo successivo siano suscettibili di regolarizzazione entro un termine all’uopo da fissare, potendo in caso contrario impedire la prosecuzione dell’attività e la conservazione degli effetti prodotti dall’azione denunciata.

Tenuto conto delle esigenze di conservazione dei valori giuridici sottese alla disciplina in commento, dell’amplia formulazione del dato letterale (che non limita la regolarizzazione a specifiche difformità) e della necessità di intendere le previsioni limitative della posizione giuridica individuale alla stregua del principio di proporzionalità (che impone nella specie di accogliere l’opzione esegetica idonea ad arrecare il minimo sacrificio della sfera proprietaria, non eccedente quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo di tutela sotteso alla disposizione in analisi, da individuare nell’esigenza di garantire la stabilità degli effetti riconducibili ad un’attività comunque conformabile al quadro normativo di riferimento), l’ammissibilità della sanatoria potrebbe essere apprezzata tanto a livello sostanziale e, dunque, attraverso la modifica dell’intervento denunciato al fine di renderlo conforme al quadro normativo di riferimento, quanto sotto il profilo procedimentale, mediante l’acquisizione postuma (al ricorrere dei relativi presupposti) di titoli amministrativi a sanatoria di un illecito già commesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 ottobre 2021, n. 7286).

Alla luce di tali coordinate, non risulta che nella specie le ragioni ostative allo svolgimento dell’attività edilizia denunciata non potessero essere rimosse entro un termine assegnando alla parte privata.

 

Autorizzazione paesaggistica: serviva, ma si poteva presentare anche in sanatoria

Al riguardo, preliminarmente, Palazzo Spada giustamente ricorda come, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, nella specie le opere in contestazione non abbiano assunto una rilevanza meramente interna, avendo influito sul livellamento del terreno esterno al fabbricato e sul prospetto degli edifici: per l’effetto, pure prescindendo dalla considerazione per cui l’art. 146 d.lgs. 42/2004 non distingue tra interventi incidenti sulla consistenza interna o esterna del manufatto (profilo rilevante ai fini della valutazione della concreta compatibilità dell’intervento progettato con i valori paesaggistici tutelati, ma non per escludere la sua sottoposizione al previo controllo dell’autorità paesaggistica), nella specie le opere hanno influito sullo stato dei luoghi, risultando soggette, dunque, alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.

Tuttavia, ai sensi dell'art. 167, comma 4, d.lgs. 42/2004, anche nella formulazione vigente al tempo di adozione del provvedimento censurato in prime cure, risultava ammissibile l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, tra l’altro, "a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

Insomma: per l’effetto, a fronte della possibilità di sanare l’illecito commesso, attraverso il rilascio di un titolo idoneo a legittimare le opere eseguite al ricorrere di puntuali presupposti di legge, l’Amministrazione, prima di adottare l'ordine demolitorio, avrebbe dovuto comunque verificare la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, assegnando in caso affermativo alla parte un termine perentorio per provvedere alla regolarizzazione di quanto eseguito.

Come emergente dalle risultanze della relazione di verificazione, difatti, le opere in contestazione non avevano prodotto un incremento delle superfici utili o dei volumi, tenuto conto che, da un lato, la mancata realizzazione del solaio intermedio, in applicazione della pertinente disciplina urbanistica locale (puntualmente richiamata dal verificatore) non aveva comportano un incremento della superficie o del volume urbanisticamente rilevante; dall’altro, le ulteriori contestazioni opposte dall’Amministrazione, in relazione all’asserito incremento di volume contestato per mc 9,20 e s.u.l. per mq 8,40, non trovavano concreto riscontro, risultando generiche e indimostrate; il che integra, già di per sé, un difetto di istruttoria autonomamente inficiante la determinazione demolitoria.

Per l’effetto, non emergendo elementi ostativi all’applicazione dell’art. 167, comma 4, cit., né potendosi escludere in via aprioristica la possibilità di ottenere un favorevole pronunciamento dell’autorità paesaggistica (come, peraltro, confermato dal parere positivo concretamente emesso dalla Soprintendenza sull’istanza di accertamento dell’odierna appellante, pure citato nella relazione di verificazione ), l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire, a fronte di una DIA già presentata, attraverso la concessione di un termine, la regolarizzazione dell’attività denunciata.

Allo stesso modo, sottolinea il CDS, il provvedimento di demolizione non risulta giustificabile sulla base del vincolo archeologico.


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