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“Elementi critici” dei ponti in cemento armato: le selle Gerber, storia e degrado

Il 6 maggio 2020 l’Assemblea Generale del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, organismo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha approvato le nuove “Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e il monitoraggio dei ponti esistenti”. Le “selle Gerber” sono classificate tra gli “elementi critici” ai fini del degrado dei ponti in cemento armato. Le “linee guida” evidenziano, inoltre, l’importanza di “una ricerca documentale approfondita e accurata”, al fine di ricostruire, preliminarmente a un qualsiasi intervento di manutenzione, le vicende progettuali, costruttive e le trasformazioni subite dalle strutture in esercizio nel corso degli anni.

Alla luce di questo rinnovato quadro normativo, il presente articolo sostiene il ruolo operativo che, oltre alle indagini diagnostiche e ai rilievi in situ, può essere svolto dalla storia della costruzione per pianificare e supportare gli interventi di manutenzione e le analisi della sicurezza dei ponti esistenti.
Il contribuito, esito di studi condotti nell’ambito della ricerca “EpoCA – Procedure innovative e transdisciplinari per la valutazione prestazionale di ponti in cemento armato esistenti”, presenta l’origine e la diffusione dello schema Gerber per il progetto dei ponti in cemento armato in Italia e i fenomeni di degrado ricorrenti, individuati a valle degli interventi manutentivi.

A titolo esemplificativo il caso studio del ponte G. Marconi sul Tevere a Roma, presenta la ricostruzione, su base documentale, delle vicende progettuali ed esecutive (1938-1955) e i successivi interventi manutentivi operati sulle travi Gerber (1963-75): le conoscenze acquisite dall’indagine storica sull’opera, forniscono chiare informazioni sulle potenziali criticità della struttura, altrimenti non direttamente deducibili dalle ispezioni in sito e utili alla corretta interpretazione dei dati desunti dalle indagini diagnostiche.

Le "Selle Gerber" sono soggette a rapida obsolescenza

In Italia, il 6 maggio 2020 l’Assemblea Generale del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, organismo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha approvato le nuove “Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e il monitoraggio dei ponti esistenti.

Oltre a indicare le procedure e gli strumenti per rispondere alle finalità generali, il documento individua le criticità dipendenti dalle diverse tipologie strutturali.
In particolare, è prevista una puntuale classificazione degli “elementi critici”, ovvero quelle parti dei ponti particolarmente “soggette a fenomeni di degrado e i cui eventuali malfunzionamenti possono incidere significativamente sul comportamento strutturale globale della struttura”. Tra questi si collocano le selle Gerber eseguite sui ponti in cemento armato, richiedendo per tali opere un’obbligatoria e urgente verifica della sicurezza della struttura.

Le selle Gerber, difficilmente ispezionabili e, per la loro morfologia, soggette all’infiltrazione delle acque, si sono dimostrate nel tempo, particolarmente sensibili a fenomeni di rapida obsolescenza, presentando così tutti i parametri più rilevanti ai fini dell’identificazione della vulnerabilità.
Le “linee guida” evidenziano, inoltre, l’importanza di “una ricerca documentale approfondita e accurata”, al fine di ricostruire, preliminarmente a un qualsiasi intervento di manutenzione, le vicende progettuali, costruttive e le trasformazioni subite dalle opere in esercizio nel corso degli anni.
Appare quindi evidente, dalla lettura di tale documento, il ruolo centrale della ricerca storico-tecnica nell’ambito dei progetti di monitoraggio e salvaguardia dei ponti esistenti e, dall’altro, l’urgenza di procedere all’analisi sistematica della sicurezza dei “ponti Gerber” in cemento armato, esistenti sul territorio nazionale.
Nell'articolo seguente sono, dunque, riassunti gli esiti dell’indagine storica finalizzata all’analisi della sicurezza di tali ponti: sono brevemente presentati l’origine e la diffusione dello schema Gerber in Italia e i fenomeni di degrado ricorrenti, individuati a valle degli interventi manutentivi. La ricerca è sviluppata sul caso studio del ponte G. Marconi sul Tevere a Roma, le cui vicende progettuali ed esecutive (1938-1955) e i successivi interventi manutentivi operati sulle travi Gerber (1963-75) sono state ricostruite attraverso l’indagine sulle fonti di archivio.

Origini dello schema statico e introduzione in Italia

I fondamenti empirici del “ponte a sbalzo” e della “trave con sconnessioni”, come noto in letteratura , hanno origini antiche: ponti che seguono il principio del cantilever sono utilizzati nei paesi tropicali fin dalla preistoria, mentre architravi con sconnessioni sono presenti nelle opere dell’architettura antica.
Lo schema statico della trave Gerber si definisce nell’Ottocento, con l’avvento della costruzione metallica e lo sviluppo dei viadotti ferroviari di grande luce, come naturale evoluzione della trave continua: tra gli anni ’40 e gli anni ’60 questo conveniente schema isostatico, profondamente indagato per via teorica come soluzione ottimale per ovviare al problema della “assoluta fissità dei punti d’appoggio” della trave continua, inizia a essere conosciuto nella pratica progettuale come cantilver bridge, portes à faux, pont à consoles, Auslegerträger.

Lo schema assume il nome di “trave Gerber” nel 1867, dal cognome dell’ingegnere bavarese Heinrich Gerber, autore dei primi viadotti realizzati con questo schema statico - il Mainbrüke di Hassfurt e il Sophienbrüke a Bamberg – e del relativo brevetto.
In Italia, complice il limitato sviluppo dei viadotti metallici di grande luce nella seconda metà dell’Ottocento, il ponte Gerber si lega, nella pratica progettuale, esclusivamente alla costruzione in cemento armato.
Negli anni ‘30, in particolare, la pubblicazione dei nuovi regolamenti dedicati alle costruzioni in cemento armato e la coeva emanazione, nel 1936, delle restrizioni autarchiche contribuiscono allo sviluppo della sperimentazione sui sistemi isostatici che, più semplici da calcolare, permettevano di sfruttare i valori più alti delle tensioni ammissibili codificati dalle norme, ottenendo notevoli risparmi di materiale. Così, il ponte Gerber, preferito da progettisti e imprese di costruzione, “si moltiplicava anche quando mancavano le condizioni per il suo razionale impiego” anche in ragione di una semplificazione esecutiva grazie alla quale si riducevano i tempi di costruzione, potendo limitare il ricorso alle centine.

Nei primi anni ’50, il ponte Gerber si lega all’applicazione sperimentale del cemento armato precompresso: lo schema, così potenziato, si diffonde tra i più impegnativi viadotti delle nascenti autostrade. Nel 1974, un drastico calo d’uso del fortunato schema statico è registrato da Giuseppe Rinaldi nel suo manuale “La costruzione dei ponti”: le più convenienti soluzioni a mensola, gettate per conci simmetrici dalle pile secondo il metodo del free cantilever, hanno, infatti, surclassato il ponte Gerber , in termini di convenienza economica ed esecutiva, segnandone l’inevitabile declino.

“Elementi critici” dello schema Gerber: il degrado delle selle

La maggioranza dei ponti Gerber in cemento armato esistenti sono realizzati in Italia tra anni ‘30 e gli anni ’60 del ‘900.
Già dai primi anni di esercizio, sono emerse in queste strutture precoci ed evidenti manifestazioni, sollecitando diversi studi specialistici finalizzati agli interventi di risanamento strutturale. Le “seggiole” Gerber sono state così definite gli “elementi critici” ai fini del degrado globale della struttura.
In particolare, infatti, la geometria di tali articolazioni favorisce, in fase costruttiva, errori di esecuzione e imprecisioni di montaggio - come ad esempio il disallineamento tra le mensole e l’estremità di appoggio dovute a imperfezione dei getti – e, in fase di esercizio, infiltrazioni delle acque di piattaforma, favorendo rapidi processi di decadimento, tipici del cemento armato, come i fenomeni di carbonatazione del calcestruzzo e di ossidazione dell’acciaio.
A queste cause “geometriche”, si aggiungono: l’assenza di adeguate armature nelle mensole, dovuta all’inesistenza, fino al 1986, di prescrizioni normative di calcolo in tale senso e la variazione delle condizioni di carico dovute alla nuova intensità del traffico veicolare.

Inoltre, le soluzioni artigianali adottate, tra gli anni ’30 e gli anni ’50, per la realizzazione degli apparecchi di appoggio, fissi o mobili, che insistono sulle “seggiole” è un fattore determinante per la loro rapida obsolescenza: nella pratica esecutiva, in Italia, l’impiego dei dispositivi metallici industriali, si affianca alla realizzazione di appoggi con fogli di piombo, di amianto e sughero, rivestimenti in catrame, di apparecchi a rullo, in ghisa, per gli appoggi mobili.

Figura 1: Ponte della Magliana sul Tevere a Roma, dettaglio degli appoggi mobili di una sella Gerber (Archivio Ponti, Comune di Roma).

Il ponte Gerber “Guglielmo Marconi” sul Tevere a Roma

Il 18 dicembre 1937 è indetto l’appalto concorso per il Ponte San Paolo, l’attraversamento del Tevere “a servizio della nuova strada di collegamento tra la Stazione di Trastevere e la via del Mare, presso la Basilica di San Paolo”.
Il ponte, oltre a supportare lo sviluppo di una nuova fondamentale arteria urbana verso l’Esposizione Universale del 1941, doveva garantire la navigazione del fiume a valle del porto fluviale di San Paolo.
Al concorso sono invitate a partecipare 38 imprese. I progetti presentati sono catalogati in due gruppi, secondo un criterio tipologico che riflette la generale involuzione subita dal progetto delle grandi strutture nella fase autarchica: “ponti a più luci con arcate murarie”; “ponti a più luci con soluzioni a impalcati”.
La commissione esprime la preferenza per il progetto “a impalcati” dell’impresa Domenico Vitali che, ritenuto già soddisfacente sui fronti idraulico, economico ed architettonico, prevede un impiego di ferro (1065 tonnellate) “compatibile con le particolari caratteristiche del ponte”, in deroga alle restrizioni autarchiche.

Il 3 settembre 1938, il cantiere è quindi consegnato all’impresa. A gennaio 1939, sono già inoltrate le prime domande per l’assegnazione dei materiali in deroga alle restrizioni autarchiche. Nel frattempo, nuovi sondaggi geognostici richiedono di spostare la quota fondale da -7 a -12 metri sotto il livello di magra: il 17 giugno 1939, la Vitali presenta una variante tecnica che porta il ponte da cinque a sei luci .
Con l’entrata in guerra dell’Italia, i lavori risentono di nuovi ritardi nelle forniture e anche della mutata logistica urbana. Dal 4 luglio 1940 il Governatorato ordina un oscuramento generale della città, dal tramonto all’alba. Salvo speciali nulla osta, i lavori in notturna sono sospesi in tutti i cantieri.

Conseguentemente, la costruzione del ponte subisce grandi rallentamenti. Il 5 settembre dello stesso anno, l’impresa comunica all’Ufficio l’assoluta impossibilità di reperire il cemento ad alta resistenza (tipo 680) indispensabile alla prosecuzione dei lavori. Il Consorzio Italiano Leganti idraulici non può più espletare la fornitura perché “a causa di deficienza del combustibile nessuno stabilimento produce più quel tipo di cemento”. Così, il 20 settembre, ultimate le poche categorie di lavorazioni che potevano essere compiute con le giacenze in cantiere, si sospendono i lavori. Il cantiere resta in totale inefficienza fino all’estate del 1943, quando la Vitali provvede frettolosamente a ritirare gli impianti che, in vista dell’imminente armistizio, potevano essere oggetto di requisizione per scopi militari. La sospensione dei lavori è regolarizzata il 10 aprile 1944.

Solo a ottobre del 1947, in seguito alle notevoli variazioni dei costi e alla morte del titolare, Domenico Vitali, l’impresa richiede la risoluzione del contratto.
Il 14 ottobre 1949 è, così, finalmente bandito l’appalto concorso a inviti per il completamento del ponte denominato San Paolo “a servizio della nuova strada viale Marconi”.
Nel progetto di completamento si dovrà tenere conto delle pile e delle fondazioni già realizzate e occorre tenere presente, inoltre, della notevole riduzione del traffico fluviale.

A questo proposito nel bando è inserita la possibilità di realizzare nella campata centrale una “travatina in cemento armato” come soluzione provvisoria per il successivo inserimento di una trave metallica apribile.
L’impresa Ferrobeton si aggiudica la commessa. Il progetto prevede la realizzazione di un impalcato in cemento armato ordinario, costituito da 5 nervature longitudinali, dell’altezza di 3,75 metri e spessore variabile tra 50 centimetri in mezzeria e 70 agli appoggi, completate da trasversi, una soletta superiore e una controsoletta inferiore nelle zone a momento negativo. In corrispondenza dei traversi, una serie di costole a profilo trapezio si collegano a una trave esterna di bordo, a sostegno delle mensole dei marciapiedi a sbalzo.

La trave tampone posta in mezzeria, come soluzione provvisoria per la travata apribile, è lunga 15 metri e alta 2, a differenza delle altre due travi tampone che, collocate nella seconda e nella sesta campata, hanno una luce di 18 metri e altezza di 3,75 metri (Fig. 2). Gli appoggi sulle pile centrali sono costituiti da originali prismi troncopiramidali in cemento armato ad alta resistenza, frettato, guarniti all’estradosso con piastre in acciaio fuso a superficie esteriore cilindrica, poggianti su lastre di piombo contenute in telai di ferro. Nelle zone di appoggio in corrispondenza delle seggiole Gerber, di 30 centimetri, sono previsti i dispositivi di giunto realizzati con piastre di acciaio a contatto con lastre di piombo, per la soluzione mobile, con l’aggiunta spine passanti in acciaio, per l’appoggio fisso.
Il 21 aprile 1952 si svolge la cerimonia della “prima pietra”. I lavori, interrotti ancora una volta dal 23 marzo al 25 agosto 1954, si concludono definitivamente l’8 febbraio 1955. Il ponte si inaugura il 4 marzo dello stesso anno, quando viene intitolato a Guglielmo Marconi.

Figura 2: Ponte Marconi sul Tevere a Roma, prospetto, 1949, fotografia, 1955 (Archivio Ponti, Comune di Roma); spaccato assonometrico della campata centrale.

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Nei prossimi paragrafi dell'articolo si parlerà del precoce degrado della struttura, dei relativi interventi di manutenzione e delle difformità esecutive, dopodichè verranno tratte le conclusioni dell'approfondimento.


Questo articolo è tratto dalle MEMORIE di CONCRETE 2022, sesta edizione della manifestazione

Leggi il resoconto dell'intero evento.


Di seguito la video intervista realizzata a Stefania Mornati, una delle autrici dell'approfondimento.

Video

Intervista a Stefania Mornati sulle selle Gerber in Italia

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