I sistemi di certificazione volontaria di sostenibilità dell’edificio promuovono l’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale, nonché di sistemi di progettazione integrata che tengano conto della sostenibilità dell’intero edificio e dell’area su cui sorge.
Un prodotto di per sé non può essere certificato da protocolli di sostenibilità, ma può essere congruente con lo standard di riferimento - ad esempio per il protocollo Leed - e se utilizzato all’interno di un progetto può contribuire a raggiungere un determinato punteggio. Infatti, anche se un prodotto specifico possiede tutte le caratteristiche richieste dai crediti, non può da solo assicurare un punteggio, perché questo viene raggiunto valutando la complessità dei materiali utilizzati. Alcuni prodotti contribuiscono a un solo credito, altri invece possono essere sfruttati per avere punti in più crediti diversi.
Così come l’intero edificio, anche i singoli materiali impiegati nella costruzione devono soddisfare determinati requisiti: devono essere idonei, resistenti e durevoli, sicuri nell’impiego e, in caso di incendio, la loro produzione e lavorazione non deve comportare rischi per l’ambiente e per i lavoratori; durante la loro permanenza nell’edificio non dovrebbero esercitare effetti negativi sulla salute degli occupanti e, infine, dovrebbero essere smaltibili o riciclabili senza causare forti impatti ambientali.
Per tutto il loro ciclo di vita, i materiali usati in edilizia hanno infatti un impatto ambientale più o meno forte in quanto esercitano effetti, positivi o negativi, sull’ambiente in cui si trovano inseriti. Effetti che non dipendono solo dalla loro natura, ma anche dall’adeguatezza e dalla correttezza con la quale vengono impiegati.
Il ciclo di vita dei materiali edili può essere suddiviso in cinque fasi:
1. estrazione delle materie prime;
2. produzione;
3. lavorazione e messa in opera;
4. permanenza nell’edificio, manutenzione, sostituzione;
5. rimozione, demolizione, smaltimento o riciclaggio.
Gli impatti ambientali di molti materiali e prodotti possono essere valutati tramite adeguati strumenti come ad esempio la Life cycle assessment (Lca) ovvero l’analisi del ciclo di vita del prodotto. Per i prodotti da costruzione, lo studio può essere effettuato “dalla culla al cancello” (from cradle to gate) quando considera gli impatti dall’estrazione delle materie prime al cancello della fabbrica, “dalla culla alla tomba” (from cradle to grave) se considera gli impatti fino alla dismissione del prodotto. Oppure ancora “dalla culla al cancello con opzioni” se gli impatti ambientali sono calcolati in un confine intermedio tra i primi due, ad esempio considerando la fase di trasporto in cantiere e/o alcune fasi successive.
L’analisi del ciclo di vita (Lca) è il fondamento metodologico da cui scaturisce l'oggettività delle informazioni fornite e costituisce la base per la Dichiarazione ambientale di prodotto Epd (termine che deriva dall’inglese Environmental Product Declaration) o etichetta ambientale di tipo III, individuata dalla Iso 14020 e definita dalla Iso 14025.
L’Epd è lo strumento più efficace per la comunicazione e la diffusione di informazioni ambientali certificate riguardo alla sostenibilità dei prodotti. Il documento descrive gli impatti ambientali legati alla produzione di una specifica quantità di prodotto o servizio: per esempio i consumi energetici e di materie prime, il consumo di acqua, la produzione di rifiuti e le emissioni in atmosfera. È applicabile a tutti i prodotti, indipendentemente dal loro uso o posizionamento nella catena produttiva; inoltre, viene effettuata una classificazione in gruppi ben definiti in modo da poter effettuare confronti tra prodotti o servizi funzionalmente equivalenti.
I contenuti dell’Epd sono rivolti principalmente agli utilizzatori industriali e commerciali del prodotto, ai quali chiarisce le interazioni tra prodotto e ambiente ed evidenzia le caratteristiche ambientali più significative. Si tratta, in sintesi, di uno strumento pensato per migliorare la comunicazione ambientale fra produttori, da un lato (business to business) e distributori e consumatori, dall'altro (business to consumers). È necessario, pertanto, che la Dichiarazione ambientale sia trasparente, in modo da poter essere compresa e interpretata correttamente da tutti.
In ambito Leed, la nuova versione v.4 entrata in vigore ufficialmente lo scorso ottobre premia l’utilizzo di prodotti con migliore ciclo di vita e che possiedono un’Epd. Un ulteriore incentivo dunque per le aziende produttrici che intendono differenziarsi garantendo al mercato le caratteristiche di sostenibilità dei propri prodotti. Ma non solo.
Anche in ambito Green Public Procurement (Gpp), con l’introduzione dei recenti Criteri ambientali minimi (Cam) per l’edilizia, sono richiesti requisiti e garanzie sia a materiali e tecnologie così come al progetto e al cantiere. Ricadiamo nell’ambito degli appalti pubblici e quindi dei requisiti che devono essere soddisfatti per poter partecipare a bandi della pubblica amministrazione.
A garanzia e soddisfacimento dei requisiti tecnici, prestazionali o ambientali richiesti dai Cam per i materiali e i prodotti viene accertata dalla stazione appaltante la presentazione di alcuni documenti. Tra questi:
• convalida dell’asserzione ambientale (etichette ambientali di tipo II): verifica da parte di un soggetto di terza parte dell’asserzione ambientale auto-dichiarata (dichiarazione che indica un aspetto ambientale di un prodotto, di un componente o di un imballaggio) effettuata da fabbricanti, importatori o rivenditori, in conformità alla norma Uni En Iso 14021;
• convalida della Dichiarazione ambientale di prodotto conforme alla Uni En Iso 14025 (etichetta ambientale di tipo III): verifica da parte di un soggetto di terza parte della dichiarazione Epd predisposta dal produttore e relativa agli impatti ambientali del prodotto, elaborati sulla base dello studio del suo ciclo di vita.
Per il cantiere o l’edificio, invece, la dimostrazione della conformità ai criteri ambientali minimi può avvenire nel caso in cui il progetto sia sottoposto a una fase di verifica valida per la successiva certificazione secondo uno dei protocolli di sostenibilità degli edifici di livello nazionale o internazionale.
È pertanto evidente la spinta e stretta correlazione esistente tra la sostenibilità di un edificio o di un’opera e la sostenibilità degli elementi e dei processi che portano alla sua realizzazione, uso e manutenzione. Il settore delle costruzioni deve dunque rendersi conto che non si può più produrre senza dimostrazione dell’esistenza di efficaci sistemi di salvaguardia dell’ambiente; non è più una scelta volontaria, ma una necessità per la sopravvivenza dell’azienda. Allo stesso modo non è pensabile realizzare significativi interventi edilizi senza fare riferimento a un riconosciuto protocollo di certificazione della sostenibilità degli edifici (per esempio Leed, Breeam, Itaca), così come non è pensabile progettare una nuova infrastruttura con molti decenni di vita utile senza fare riferimento a elementi oggettivi di sostenibilità (per esempio con l’utilizzo del protocollo Envision). Allo stesso modo i prodotti devono poter dichiarare il loro impatto ambientale relativo al ciclo di vita (per esempio attraverso la Dichiarazione ambientale di prodotto Epd) e le aziende produttrici devono poter garantire alla comunità locale, agli stakeholder e ai propri azionisti l’utilizzo di processi produttivi rispettosi dell’ambiente (per esempio attraverso Emas o Iso 14001). È indubbio che il valore di un’azienda si misurerà, anzi si misura già, anche in funzione della sua capacità di rispettare l’ambiente; un’organizzazione che non abbia tra le proprie strategie la sostenibilità ambientale è a forte rischio di sopravvivenza sul mercato.
Per un approfondimento su queste tematiche vi invitiamo a un ciclo di incontri formativi che ICMQ organizza in collaborazione con il Collegio degli ingegneri e architetti di Milano.