Edifici e spazi urbani al tempo del Covid: così la tecnologia può migliorare gli ambienti in cui viviamo
La pandemia ha evidenziato l’inadeguatezza del nostro stile di vita e del nostro modo di abitare: l'Ing. Luca Rollino spiega perché la tecnologia può giocare un ruolo fondamentale per segnare il passo tra il “prima” e il “dopo” Covid-19.
«Pensare l’edificio del futuro è pensare il futuro dell’edificio»
Non si tratta solo di un gioco di parole. Il Covid-19 ha messo in luce le nostre debolezze, ma soprattutto ha evidenziato l’inadeguatezza del nostro stile di vita e, quindi, anche del nostro modo di abitare.
Il lockdown ha ridicolizzato ogni modello economico moderno (dal capitalismo finanziario alla pianificazione economica di matrice statale) e ha reso immediatamente vecchi e non più socialmente sostenibili i modelli urbanistici e architettonici che hanno caratterizzato gli ultimi 20 anni di sviluppo immobiliare.
Spazi e luoghi di vita: perché il Covid segna l'inizio di una nuova era
Abituati ad una vita totalmente all’esterno delle mura domestiche, persi nel traffico e nel movimento delle città, più esigenti nella scelta dell’ufficio che in quella della casa, ci siamo ritrovati a dover condividere intere giornate con i nostri familiari, in ambienti ristretti in cui ci sforzavamo di lavorare in modalità spacciata per “smart working”.
Peccato che, con connessioni web lente e sovraccariche e nessuno spazio predisposto per poter operare senza che un congiunto irrompesse nella comunicazione, questa modalità operativa potesse essere definita “kitchen working” o, al massimo “home working”. E intanto, edifici modernissimi, dotati di tutti i più elevati standard tecnologici e di comfort, giacevano (e giacciono) vuoti, come monumenti solitari privi di vitalità.
Ma sapete qual è il vero problema? Non è quello che è stato, bensì quello che sarà: anche se l’espressione è stata usata sino allo sfinimento, nulla sarà più come prima.
Anche quando il Covid-19 sarà un lontano ricordo, eliminato da una pluralità di vaccini che a breve entreranno in commercio, l’idea di restare a casa a lavorare allieterà i più: si perderà meno tempo negli spostamenti, si avrà l’impressione di poter gestire la propria giornata in modo più libero, si potrà vivere maggiormente insieme a familiari che, improvvisamente, cesseranno di essere degli sconosciuti. Ma non si tratterà di una esigenza dei soli lavoratori: anche i datori di lavoro opteranno per soluzioni con spazi flessibili e occupazione meno concentrata. Questa scelta non sarà dettata da ragioni sentimentali o umanitarie, ma da una semplice considerazione: far lavorare le persone “altrove” consente un risparmio stimato dai 2 ai 6 k€ ad addetto, con minori problemi nella ricerca di nuovi spazi qualora ci fosse un incremento del numero degli occupati. Il ricorso a strumenti di comunicazione web permette una notevole riduzione degli spostamenti lavorativi (chiedere a Trenitalia e NTV per averne un’idea), con immediata ripercussione sulla seconda voce del Conto Economico aziendale, ovvero sui costi.
E quindi, dove sta il problema? Non ci sarebbe nulla di male nella dinamica sopra descritta, se non fosse che né le nostre città né i Comuni minori sono adeguati e, soprattutto, non lo sono gli edifici che vi si trovano.
La possibilità di non essere più dipendenti dalla prossimità con il luogo di lavoro, ha reso possibile fenomeni come il south working: italiani emigrati nelle città del Nord per motivi lavorativi, potevano finalmente tornare a casa e continuare a lavorare, godendo di una qualità della vita decisamente più alta per ragioni puramente climatiche e per case più larghe e confortevoli (e spesso, meno costose).
Questo modello non si è verificato solo lungo l’asse Nord-Sud del Bel Paese: si è potuto tornare nei luoghi di origine pur mantenendo la propria occupazione e continuando a lavorare quotidianamente. Tuttavia, questo è stato possibile solo nei casi in cui c’erano 2 condizioni: un collegamento web sufficientemente efficace e veloce, e spazi adeguati dove poter lavorare.
Le 3 conseguenze del lockdown su edifici e habitat urbani
Prima conseguenza del lockdown: una riscoperta e potenziale rinascita dei luoghi extra urbani e, per contro, una crisi dei centri urbani.
Seconda conseguenza del lockdown: un radicale ripensamento degli spazi abitativi e dei luoghi di lavoro.
Terza conseguenza del lockdown: una forte innovazione nel modello commerciale basata sugli spazi fisici aggregati.
Elemento comune: i sistemi tecnologici, volgarmente detti “impianti asserviti agli edifici”.
Case, uffici e negozi: la tecnologia a supporto del cambiamento
Affinché si possa effettivamente garantire lo smart working (inteso come lavoro svolto non all’interno dell’ufficio fisico, ma in un qualsiasi luogo che sia gradito e gradevole) è necessaria la presenza di una infrastruttura informatica adeguata, in grado di rendere possibili le comunicazioni e lo scambio di dati in modo istantaneo, abbattendo le distanze e garantendo una effettiva collaborazione. Al contempo, è necessario che edifici non pensati per lavorare siano rinnovati per renderli luminosi (anche tramite il ricorso alla luce artificiale), silenziosi, confortevoli. In tale ottica, si deve pensare a edifici dotati di impianti di climatizzazione efficaci ed efficienti: non è possibile lavorare in luoghi caldi d’estate e umidi d’inverno, con aria viziata e un insopportabile rumore di sottofondo. Non è accettabile che questi edifici siano anche fortemente energivori: un aumento della richiesta tecnologica non deve comportare un incremento linearmente proporzionale dei consumi di energia. Perché questo avvenga si deve riqualificare radicalmente sistemi fabbricato impianto vecchi e arretrati, sino a qualche mese fa destinati ad accogliere chi il mondo del lavoro lo aveva lasciato da molti anni. In questo scenario, impianti di ventilazione meccanica, generazione del caldo e del freddo tramite pompe di calore alimentate anche grazie al ricorso al fotovoltaico, un sistema di controllo centralizzato tramite un BMS (Building Management System) paiono le tecnologie più adatte per colmare un ritardo tecnologico ormai inaccettabile.
Le case nelle città dovranno essere ripensate da un punto di vista architettonico: non più essenziali, con poco spazio per la vita quotidiana, ma con superfici a disposizione più ampie, in grado di far convivere più persone e più a lungo, senza creare interferenze nonostante ciascuna sia impegnata nelle proprie attività. In questa ottica, fondamentale sarà la capacità di ricorrere a sistemi radianti: in grado di lavorare con salti termici più contenuti, garantiscono un elevato comfort e una grandissima flessibilità degli spazi: in ogni momento sarà possibile rivedere l’organizzazione spaziale e le funzioni svolte all’interno degli edifici.
Contemporaneamente, gli edifici per uffici, fortemente dotati di impianti e tecnologia, dovranno essere resi molto più flessibili, e molto più partizionabili: il concetto di postazione fissa dovrà essere superato, e ci dovrà essere una fortissima integrazione tra i sistemi informatici di gestione del personale e quelli di gestione degli spazi. Gli uffici dovranno essere dotati di sistemi e tecnologie che consentano integrare il posto di lavoro con la vita extra lavorativa, eliminando la contrapposizione tra lavoro in ufficio e smart working: in entrambi i casi, non si dovrà più perdere tempo a discapito dei momenti da dedicare a sé stessi. La tecnologia a supporto per questo cambiamento esiste ed è identificabile nei BACS: Building Automation Control System, ovvero sistemi avanzati in grado di far dialogare e gestire molteplici impianti in contemporanea.
Anche il commercio risentirà di questo nuovo modello urbano: impensabile che i grandi spazi commerciali o il commercio di prossimità ai grandi poli terziari o industriali possa avere un ulteriore incremento. Più verosimilmente, non saranno più le persone che andranno a comprare, ma i prodotti che, previo acquisto on line, saranno recapitati alle persone direttamente sotto l’ufficio, alla fine dell’orario di lavoro. I luoghi del commercio diventeranno piattaforme logistiche di micro-distribuzione, con una forte automazione del processo di consegna, per renderlo veloce e affidabile. Inutile notare come, anche in questo caso, l’infrastruttura informatica sia fondamentale. Ma è ugualmente necessario rivedere l’organizzazione e la dotazione tecnologica dei luoghi del commercio: non più luoghi visibili dall’esterno per attrarre clienti, ma luoghi efficaci, con impianti pensati per il lavoro più che per l’acquisto di prodotti, e comunque efficienti per evitare extra costi a un modello di business che dovrà lavorare sui volumi piuttosto che sulla marginalità unitaria.
Quando arriverà il cambio di paradigma?
A questo punto, viene da chiedersi quanto manca prima di riuscire a vedere realizzato questo cambio di paradigma, in grado di sovvertire totalmente le modalità di sviluppo delle città degli ultimi 20 anni.
L’aspetto positivo è che la tecnologia c’è: non si tratta di trovare nuovi sistemi impiantistici, ma di usare meglio e in modo più diffuso le tecnologie più avanzate oggi esistenti, che potranno poi chiaramente essere perfezionate e migliorate ma che già oggi consentono di adattarsi alle nuove esigenze con elevato comfort e grande efficienza energetica.
L’aspetto negativo è che la tecnologia (perlomeno, quella tecnologia) è costosa, e ancora di più lo sono gli interventi in grado di riqualificare gli edifici esistenti. Poiché il “mitico” Superbonus è pensato solo per edifici residenziali (o, perlomeno, così dice l’Agenzia delle Entrate) e, per di più, solo per le parti impiantistiche comuni, ci si deve chiedere si riusciranno a reperire i fondi per trasformare gli spazi, dotandoli di quelle soluzioni in grado di rendere concreta l’immagine dell’edificio del futuro.
A questa domanda, in periodo di profonda crisi economica e di liquidità, non si riesce a dare ancora risposta.