E se il vecchio ponte Morandi potesse essere salvato…
All'interno l'articolo dettagliato della riparazione della pila 11 del ponte sul Polcevera
La chiave di lettura sta nel guardare al passato per pensare al futuro
Non tutto va distrutto
Anzi partendo dall’analisi della riparazione della Pila 11 è facile comprendere come un ponte moderno - macchina tecnologica, possa durare centinaia di anni! A spiegarci il perché l’ing. Gabriele Camomilla ex Direttore della Ricerca e Manutenzione di Autostrade
Continua il dibattito sul Ponte Morandi, e lo si fa ormai parlando solo del nuovo ponte. Sul tavolo per ora una proposta scarsamente operativa di Renzo Piano e molti dibattiti su chi deve costruirlo, sui tempi di ricostruzione, sulle concessioni…
“Subito la demolizione e nuovo ponte per Genova nel 2019. La parola d’ordine è: facciamolo bene e in fretta” cosi ha commentato e sintetizzato il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti in una intervista sul Corriere della Sera, parole che descrivono bene “l’aria che si respira” e che per ora sono solo desideri più che piani.
Poco importa di ciò che è rimasto in piedi, in quanto solo il simbolo di una disgrazia che deve essere archiviata al più presto nelle menti e soprattutto dagli occhi di chi resta. Ma non tutti sono della stessa idea.
Per l’ing. Camomilla, che nel 1992 aveva seguito il complesso intervento di risanamento dello strallo della Pila 11, (ndr è possibile scaricare il pdf con la descrizione dettagliata degli interventi e dei controlli che ne sono conseguiti), il ponte va salvato nelle sue parti certamente sicure e durevoli e ricostruito per il resto. Ma cerchiamo di capire il perché e cosa questa vicenda può insegnarci.
Chiacchierando con l’ing. Camomilla, ex Direttore della Ricerca e Manutenzione di Autostrade, le cose da capire sono molte e sarebbe un peccato perdere l’occasione per pensare ad un vero sistema di sicurezza dei ponti oggi più facilmente realizzabile e operativamente funzionante di quanto lo fosse 26 anni fa.
Le strutture parlano: ecco come guardare al futuro dei ponti
Innanzitutto, per esempio, va osservato che le strutture come i ponti, prima di morire emettono i cosiddetti gridi di dolore ossia delle frequenze tipiche che richiamano “grida di aiuto”. Ci sono alcune frequenze che variano a seconda del tipo di materiale e che indicano uno stato di “difficoltà della struttura” nei suoi diversi stadi. Queste frequenze sono rilevabili da sensori, di costo e dimensioni contenute, che, trasmettendo le informazioni ad un centro di controllo, possono permette ai ponti di durare.
Questo è il futuro.
È questa la prima ricetta che l’ing. Camomilla mi da parlando del futuro dei ponti, linfa vitale del nostro sistema di trasporto che ci permette di vivere ai livelli a cui siamo abituati e che consideriamo immutabili, ma non mi nasconde che, in Italia spesso, è l’investimento, insieme alla burocrazia, che frena la piena sicurezza delle infrastrutture; "basti pensare che in termini bilancistici delle società, la manutenzione, tanto strombazzata in questi giorni e quasi mai praticata, è una voce di spesa e non di investimento, come dovrebbe."
Se si arrivasse – aggiunge l’ingegnere - ad una valutazione dello stato delle opere generalizzata con metodi adatti, seguita da interventi mirati nei punti critici o destinati a divenire tali, avremmo ottenuto il sistema di controllo con preavviso dei ponti.
Già la diffusione della protezione catodica (che evita per esempio il distacco del copriferro, giudicato erroneamente prodromo di crollo imminente) darebbe luogo all’arresto per decenni e decenni a quel degrado che, anche se solo estetico, terrorizza gli amministratori delle strade di ogni ordine e grado.
I metodi da perfezionare, ma già tecnicamente risolti, sono la soluzione.
"Non può essere, per esempio, l’analisi modale che, per il controllo dei ponti, è senza dubbio oggi migliorata rispetto a 20 anni fa, ma che rimane ancora poco precisa e sensibile, e complessa nell’applicazione per usarla in modo diffuso.
Quello che serve sono metodi/analisi affidabili che possano essere gestiti da tecnici formati ad hoc (lavoro vero per giovani), anche perché i ponti più importanti in Italia sono oltre 20.000 solo tra quelli extraurbani, ed è quindi fondamentale applicare un metodo che ne consenta l’applicazione diffusa ed operativa.
Quello delle emissioni acustiche, del cosiddetto “grido di dolore”, può essere, senza dubbio, un esempio per la gestione preventiva delle opere sospette o particolarmente importanti, ma è tutto il sistema di controllo che va profondamente rivisitato, partendo dall’analisi visiva, ma automatizzata con l’uso di droni e l’esame automatico delle immagini ottenute fino ai criteri di prima selezione. Il controllo remoto centralizzato sugli elementi rimanenti giudicati a rischio permetterebbe di dare un preavviso sufficiente per intervenire in sicurezza sulle eventuali problematiche localizzate dai sensori.
Non è più fantascienza, ma la distrazione diffusa dei tecnici dello Stato ne impedisce lo sviluppo in quanto spesso essi applicano solo regole certe, di tipo formale e non scientifico che non danno le informazioni che servirebbero e non hanno quindi il controllo reale dei loro manufatti."
Ecco perché si potrebbe e si dovrebbe salvare ciò che resta del Ponte sul Polcevera
“Sarebbe un peccato abbattere un’opera come quella dell’ing. Morandi” – così commenta subito l’ing. Camomilla.
“Il ponte di Morandi è un’opera di oltre 1100 metri in cui solo una parte di circa 200 metri è crollata. Prima di pensare a ricostruirne uno nuovo, sarebbe opportuno ricordare e capire come è stato riparato lo strallo della Pila 11 dove nel 1992 sono stati realizzati degli interventi che ne consentirebbero una vita lunga anche centinaia di anni, e questo grazie alla possibilità (ndr. come descritto dettagliatamente nell’articolo integrale scaricabile sotto in pdf) di sostituzione dell’anima d’acciaio sfilabile degli stralli portati all’esterno.
Quando si era intervenuti nel 1992 la Pila che aveva problemi era solo la 11 che per difetto di costruzione aveva perduto parte dell’acciaio interno di uno degli stralli portanti e su quella infatti intervenimmo subito; la 10 presentava dei punti dove si sarebbero potuti innescare dei fenomeni di degrado, e su quelli intervenimmo localmente; mentre la Pila 9 era quella in buone condizioni e non presentava nessuna criticità rilevabile. Comunque furono installati sensori di controllo descritti anch’essi nella memoria.
La riparazione della Pila 11 rappresentò un intervento di grandissima ingegneria manutentiva, un intervento che sicuramente guardava alla durabilità nel tempo, anticipando concetti del futuro, perché il tipo di intervento permetteva la completa sostituzione degli stralli qualora ne fosse stato necessario.
Ad oggi la Pila 11 credo sia in condizioni più che accettabili per stabilità strutturale perché non dovrebbe essere stata interessata dalla perdita di impalcato che ha investito la pila 10; eventuali imperfezioni superficiali potrebbero essere sanate con interventi banali.
Essa è un esempio significativo della manutenzione scientifica terotecnologica che da all’opera su cui si interviene, metodi e materiali non disponibili al tempo della sua costruzione. Altro esempio è il retrofitting sismico.
La parola magica è terotecnologia, la scienza della manutenzione, perchè la manutenzione oggi non è riparare banalmente ciò che si è rotto o sostituire una lampadina fulminata. I copriferro dei ponti, come detto, si ripristinano e si rendono durevoli per un tempo teoricamente infinito con la protezione catodica attiva; la lampadina a incandescenza o ai vapori di sodio va sostitutita con lampade a led a basso consumo e durata di gran lunga maggiore.
Mi sembra insensato e colpevole demolire tutto sull’onda di una emozione enorme, ma che deve essere controllata - commenta l’ingegnere - da parte di chi ha responsabilità reali sulla vita della città, della regione ed anche dello Stato ”. Con le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione salvare il ponte è possibile, come lo era già stato nel 1992.
Inoltre i tempi in cui Genova rimarrebbe senza collegamenti sarebbero considerevolmente minori se si eliminano quelli della demolizione e ricostruzione della pila 11 con relativo svincolo e della parte intatta a valle, verso la galleria di Monte Galletto.
Ciò che resta del ponte va salvato e l’articolo ci spiega il perché con lo spirito di tanti anni fa, oggi più che mai necessario anche per onorare chi ha perso la vita nel disastro, che ha salvato città e collegamenti, mantenendo sempre il controllo della sicurezza che non è stata mai posta in secondo piano.”
L’articolo è stato pubblicato nella rivista Autostrade del 1994
In allegato trovate l'articolo di dettaglio sull'intervento fatto sul viadotto Polcevera.
A questo LINK l'approfondimento speciale realizzato da INGENIO sul crollo di parte del ponte Morandi