Calcestruzzo Armato
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E’ mancato il Prof. Vito Alunno Rossetti, uni dei maestri del calcestruzzo

E’ mancato uno dei maestri italiani del calcestruzzo, un esperto appassionato della materia, un galantuomo che sempre sottovoce ha affrontato l’approfondimento di questo materiale con grande lucidità

Vito Alunno Rossetti, uno dei maestri della tecnologia del calcestruzzo italiana, è mancato il 4 agosto.

Laureato nel 1963 in Chimica Industriale a Roma, ha insegnato all’Università dell’Aquila prima, e all’Università La Sapienza di Roma poi fino al 2008. Ha continuato poi ad esercitare la professione come consulente in importante fama. Autore di oltre 100 pubblicazioni, a lui si devono molti approfondimenti sul tema della durabilità del calcestruzzo nonchè allo studio dell’impiego di materiali di riciclo provenienti da svariate fonti.

Pubblichiamo in suo ricordo una memoria di Vincenzo Domenico Venturi.


“Venerdì 4 agosto sera è mancato nella sua casa di Ariccia il prof. Vito ALUNNO ROSSETTI, lo avevo incontrato qualche tempo fa in pieno COVID, non era stato semplice raggiungerlo ad Ariccia, ero alloggiato dalle parti di Roma nord, ma la chiacchierata era stata piacevole, condivisa con Antonella (ndr. Ferraro), e si era protratta fino a sera, poi ero dovuto andare via, il “coprifuoco”, il ritorno in un raccordo innaturalmente deserto e quasi spettrale.

Da allora non ci siamo più visti, sentiti si come accadeva, da quando gli avevo fatto la richiesta di tesi, ogniqualvolta avevo un dubbio, la necessità di un chiarimento o anche solo il piacere di fare due chiacchiere.
Non ci eravamo mai persi di vista, per me è stato più semplice, io ero uno dei tanti studenti che il “Professore” ha accompagnato ed introdotto nel mondo adulto della professione e della vita.

Per questo ritengo che il termine Maestro, che alle volte viene abusato, nel suo caso invece è stato ampiamente meritato.

Lo è stato certamente per me, giovane studente di ingegneria edile, che una serie di eventi aveva portato a scegliere, senza particolare entusiasmo e risultati, un percorso professionale che in quel momento non vedevo con particolare chiarezza e che invece da allora è diventato la mia vita.

A gennaio del 1987 mi era arrivata la cartolina “verde” che mi convocava per il successivo marzo alla caserma SMICA di Nocera Inferiore, i miei piani venivano sconvolti da questa “chiamata alla leva”, piani che prevedevano di finire gli ultimi due esami, fare velocemente la tesi e partire per il corso AUC, al quale avevo già fatto domanda di ammissione per il corso di luglio.

Arrivato in caserma, dopo essermi orientato ed avere preso atto che nonostante la prima selezione positiva al corso, avrei avuto un insostenibile ritardo sulla laurea, mi si è prospettata la possibilità di una tesi sperimentale da fare presso il nostro, della mia famiglia, laboratorio di Caltanissetta.

Oggi sarebbe più semplice ma chi come me ricorda quegli anni dove per il ruolo e l’autorevolezza, spesso la distanza che contraddistingueva il rapporto fra i “professori” e gli studenti era siderale, distanza che veniva amplificata dalla necessità di chiamare da una cabina, di disporre dei gettoni telefonici, che non bastavano mai soprattutto in caserma, può immaginare con quale stato d’animo ho telefonato al “Professore”, che avevo incontrato solo il giorno del mio esame e che invece appena finii di esporre la mia richiesta, molto sobriamente, mi fissò subito una data.

Il primo incontro “de visu” sull’argomento tesi, è dei primi di luglio del 1987, partenza all’alba ed alle 11 mi presento a san Pietro in Vincoli e chiedo al “Professore” di poter fare una tesi sperimentale, per la quale mettevo a disposizione il laboratorio, oggetto della tesi i controlli non distruttivi sulle strutture in c.a..

Il “Professore”, cogliendo le potenzialità che poter disporre di un laboratorio gli dava, mi propose di integrare la determinazione della resistenza in opera, determinata con CND e carote, con l’influenza sulla resistenza del calcestruzzo delle condizioni di maturazione previste dalla UNI 6131, dalla ASTM C31 e dalla stagionatura dei cubi nelle cubiere di polistirolo.

Cubiere che proprio allora facevano la loro comparsa, e sulle quali ancora oggi non si è detto molto.
Il mio corso di laurea in ingegneria era “Civile-Edile”, indirizzo “strutturale-geotecnico” e quindi non avrei potuto portare avanti il mio lavoro di tesi senza un correlatore dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni, il “Professore” contattò personalmente un altro galantuomo, il prof. ing. Emanuele F. RADOGNA, che riuscì a supportare la mia attività sperimentale con degli spunti che ancora oggi trovo assolutamente innovativi ed originali.

Organizzare la parte sperimentale del mio lavoro di tesi era oggetto di quel primo incontro, che prevedeva il confezionamento, la stagionatura e la rottura, integrata di CND, di una certa quantità di cubi.
Ero molto intimidito, il “Professore” era molto pragmatico in certi frangenti, fra l’altro ero ancora militare e non sapevo se sarei stato in grado di portare al temine il lavoro, che aveva per me delle difficoltà insormontabili, dal realizzare la camera umida, al predisporre il centinaio di cubiere che richiedeva ogni getto, alla fine furono quasi 12 getti per complessivi 1200 cubi, all’usare, non per banalizzare, lo sclerometro, operazioni che negli anni mi sono diventate familiari ma che allora mi apparivano quasi tutte misteriose.

Al termine, con queste premesse, dopo avermi spiegato nel dettaglio come voleva procedere e come avrei dovuto organizzarmi, mi gelò con una affermazione, che però a chi si occupa di sperimentazione da la misura del rigore scientifico che ha caratterizzato tutta la sua vita di studioso curioso e di scienziato:

“Venturi, mi raccomando, io voglio vedere i numeri per come vengono!!”

Ripensando, nel corso degli anni, all’incipit della mia tesi ho avuto conferma che misurarsi con i risultati sperimentali reali, oltre che essere eticamente apprezzabile anche se oggi sembra non interessare più a nessuno, rappresenta per molti “sperimentatori” la soluzione meno facile e spesso quella che non ti consente di raggiungere il risultato, però grazie al “Professore” mi ha permesso di riscattare una professione che forse non avrei fatto e di trovare la passione che se non avessi incontrato Vito non avrei avuto.
Da qualche anno avevamo una maggiore confidenza, e mi piace credere che si fosse sviluppato un rapporto di fiducia, di stima, la mia sicuramente preesistente, e di reciproca simpatia, infatti un giorno nella dedica su di un mio libro gli ho richiamato quella sua affermazione e lui nel ringraziarmi per il libro si fece una bella risata “ma veramente le ho detto così!” e molto seriamente mi disse “Mi sembra che dopo tutti questi anni possiamo concederci un po’ di confidenza e darci del tu!!”.

Con tanto dolore e profonda tristezza oggi saluto Vito che rimarrà, non solo per me, ma anche per i tanti studenti e professionisti che hanno avuto la fortuna di incontrarlo il “Professor ALUNNO ROSSETTI”.

Vincenzo D. Venturi”


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