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Durabilità delle strutture in c.a: ruolo del copriferro e delle protezioni aggiuntive conformi a UNI EN 1504-2

L'articolo sottolinea l'importanza della durabilità strutturale, particolarmente nei copriferri delle strutture in calcestruzzo armato, evidenziando la necessità di prodotti conformi alla norma UNI EN 1504-2 per migliorare la protezione delle armature dalla corrosione e garantire la sicurezza a lungo termine delle opere esistenti.

La durabilità strutturale ha assunto, negli anni, un’importanza via via crescente, diventando oggi un aspetto imprescindibile per qualsiasi struttura. Durabilità significa poter garantire, in maniera economicamente sostenibile, il mantenimento dei livelli di sicurezza di una opera per tutta la sua Vita Nominale. Diversi sono i fattori che concorrono a fabbricare durabilità. Tra questi, per le strutture in calcestruzzo armato, bisogna certamente annoverare quello della corretta progettazione e realizzazione del copriferro.

A quest’ultimo, infatti, è deputato l’importante compito di proteggere le armature dalla corrosione e preservarle nel tempo. Per le strutture di nuova realizzazione la questione è relativamente semplice, in quanto una corretta applicazione delle norme è, in generale, sufficiente a garantire la realizzazione di un copriferro adeguato ad ogni possibile classe di esposizione ambientale. La questione si complica per le strutture esistenti, le quali possiedono, in generale, copriferri carenti sia dal punto di vista del materiale (calcestruzzi molto porosi) che da quello dello spessore (spesso esiguo). Nel presente articolo si vuole evidenziare come, in questi casi in particolare, il ricorso a specifici prodotti per la Protezione Strutturale, conformi alla norma UNI EN 1504-2, possa rappresentare una soluzione efficace per sopperire alla “carenza prestazionale” di copriferri inadeguati.


La durabilità di una struttura è fondamentale sia ai fini della sicurezza sia della sostenibilità

Quello della durabilità strutturale è oggi un aspetto imprescindibile per qualsiasi struttura. L’attuale normativa, le NTC2018, in perfetta continuità e coerenza con la precedente (NTC2008), le riserva infatti un ruolo di primo piano. Tanto che nel Capitolo 1 delle NTC2018 si legge:

Le presenti Norme tecniche per le costruzioni definiscono i principi per il progetto, l’esecuzione ed il collaudo delle costruzioni, nei riguardi delle prestazioni loro richieste in termini di requisiti essenziali di resistenza meccanica e stabilità, …, e di durabilità”.

Una struttura, opportunamente manutenuta, deve essere quindi in grado di esibire, nell’ambiente nella quale si trova e per tutta la sua Vita Nominale, tutte le prestazioni per la quale è stata progettata. Per ogni struttura, questa capacità di “conservarsi nel tempo” è fondamentale ai fini della sicurezza, ma è altrettanto importante anche nell’ottica della Sostenibilità.

Realizzare un’opera, semplice o complessa che sia, richiede infatti l’impegno di numerose risorse, materiali (si pensi alle materie prime impiegate), energetiche ed economiche. Tale impegno sarà “sostenibile” solo se la struttura realizzata sarà in grado di fornire i suoi Servizi alla comunità il più a lungo possibile (e comunque per un tempo non inferiore a quello previsto in progetto) senza la necessità di dover sostenere ulteriori spese (ad esempio, una prematura manutenzione straordinaria). Allungare la Vita Utile di una struttura, significa ricavarne maggiore godimento, a parità di risorse investite.

Come fabbricare durabilità? La normativa fornisce una risposta estremamente chiara al paragrafo 2.2.4, dove indica una serie di provvedimenti da adottare a riguardo. Per le strutture in calcestruzzo armato (ordinarie e precompresse), alcune delle citate “raccomandazioni” di cui al paragrafo 2.2.4 possono essere tradotte in termini più familiari (Tabella 1).

 

 

Quello della Classe di Esposizione è ormai un concetto ben noto a tutti coloro che operano nel Settore delle Costruzioni. In sostanza, sono state codificate (par. 4.1.2.2.4.2 NTC 2018) una serie di “condizioni ambientali” (denominate appunto Classi di Esposizione) più o meno aggressive, in modo da poter individuare, per ciascuna di esse, specifici dettagli tecnologici (prestazione minima dei materiali), progettuali (es. massima apertura ammissibile per le fessure) e costruttivi (es. spessore del copriferro).

Le NTC 2018 recepiscono la classificazione già in essere nelle normative UNI EN 206 ed UNI 11104 e raggruppano le classi di esposizione in tre “macro-categorie” di condizioni ambientali: Ordinarie, Aggressive e Molto aggressive.

 

 

Nell’ambito delle Classi di Esposizione ora introdotte, una fondamentale distinzione va fatta sulla base del tipo di degrado che esse contemplano:

  • Corrosione delle Armature (Classi XC, XS e XD);
  • Degrado della matrice cementizia (Classi XF e XA)

La prima tipologia di degrado è certamente la più comune e, forse, la più temuta: la corrosione delle barre e la conseguente riduzione della loro sezione resistente penalizza drasticamente la capacità portante delle strutture in c.a. e con essa il generale livello di sicurezza. Il copriferro, ovvero la parte corticale delle strutture deputata a proteggere le armature dall’aggressione ambientale, svolge quindi un ruolo essenziale.

Si pensi al fenomeno della carbonatazione. L’anidride carbonica è capace di “neutralizzare” l’idrossido di calcio presente nella matrice cementizia, di abbassare il pH dell’ambiente circostante le armature e di favorire la dissoluzione del “film” passivante che le protegge dalla corrosione.

In maniera analoga, l’ingresso dei cloruri ed il loro accumulo a ridosso delle barre di armature favorisce la distruzione (spesso localizzata) del film passivante. Nell’ambito di questi meccanismi, il ruolo del copriferro è evidente: fungere da barriera che ostacoli l’ingresso dell’anidride carbonica e dei cloruri verso le armature. La sua capacità di rallentare tale ingresso, e quindi allungare il tempo necessario alla depassivazione delle armature (il cosiddetto tempo di innesco della corrosione), dipende da due aspetti essenziali:

  • Qualità del calcestruzzo che costituisce il copriferro, ovvero la sua porosità (riga 2 di Tabella 1);
  • Spessore del copriferro (riga 3 di Tabella 1).

È intuitivo il fatto che un calcestruzzo poroso, a differenza di uno compatto, favorirà un celere ingresso di CO2 e Cl-, così come un ridotto spessore di copriferro sarà “attraversato” più velocemente rispetto ad un copriferro di spessore maggiore. Si comprendono quindi chiaramente le indicazioni a carattere prescrittivo fornite dalle NTC 2018 e dalla relativa Circolare n.7/2019, sia in termini di “qualità” del calcestruzzo (rappresentata dalla sua resistenza a compressione, visto che quest’ultima è correlabile alla porosità del materiale) che di spessore di copriferro. In Tabella 3 uno stralcio della Tabella C.4.1.IV della Circolare n.7/2019.

 

 

È evidente come all’aumentare della “aggressività ambientale” siano richieste prestazioni meccaniche (e quindi di “compattezza” del materiale) e spessori di copriferro via via maggiori.

Per quanto riguarda le Strutture Nuove, il conseguimento di una specifica durabilità è, in qualche maniera, garantito dalla corretta progettazione e realizzazione del copriferro (in termini di materiale e spessore). Purtroppo la questione rimane piuttosto delicata quando si prendono in considerazione le Strutture Esistenti, ovvero quelle strutture concepite e realizzate quando la sensibilità, tecnica e normativa, verso l’aspetto della durabilità era minima.

Queste strutture presentano spesso diverse criticità:

  • Il calcestruzzo è spesso molto poroso, a causa dell’adozione di rapporti acqua/cemento piuttosto elevati;
  • Lo spessore del copriferro è spesso esiguo, per la scarsa attenzione che veniva ad esso riservata;
  • Le azioni manutentive ordinarie sono, nella grande maggioranza dei casi, inesistenti.

Il risultato di queste carenze sono evidenti. In Figura 1, a titolo di esempio, alcune immagini di strutture degradate per carbonatazione (Figura 1 – a), per aggressione da cloruri (Figura 1 – b), per cicli di gelo/disgelo (Figura 1 – c) e per attacco solfatico (Figura 1 – d). Si noti in particolare in Figura 1 – a l’esiguo spessore di copriferro presente.

 

Tipiche manifestazioni di degrado delle strutture in c.a.
(Crediti: D. Orbolato - S. Crosato - A. Cadorin - F. M. Liberatore)

  

Di fronte a questi scenari, le Soluzioni ed i Prodotti da ripristino oggi disponibili sul mercato consentono di intervenire in maniera efficace per poter restituire alle strutture i loro adeguati livelli di sicurezza. È importante sottolineare come, in questo contesto, la Norma UNI EN 1504 rappresenti un riferimento, una vera e propria “linea guida” per la corretta progettazione degli interventi (UN EN 1504-9), per la loro realizzazione e controllo (UNI EN 1504-10) nonché per la scelta dei materiali più adeguati per i diversi scopi (UNI EN 1504, dalla parte 2 alla 7).

Nelle situazioni più frequenti, parliamo delle seguenti tipologie di Prodotti:

  • Malte e Betoncini premiscelati per la ricostruzione volumetrica delle parti strutturali degradate (UNI EN 1504-3), come quelle della Linea STRUCTURE proposta da General Admixtures;
  • Prodotti per l’ancoraggio di nuove armature, necessarie quando quelle esistenti hanno subito, a causa della corrosione, una eccessiva riduzione della sezione resistente. Parliamo di prodotti con Marcatura CE secondo UNI EN 1504-6, a base cementizia (ANKOR MF4) o epossidica (ANKOR EPO);
  • Prodotti per la protezione delle barre di armatura, da applicare sulle barre esistenti dopo aver rimosso tutti i prodotti della corrosione. Parliamo dei cosiddetti “prodotti passivanti”, come lo STRUCTURE PROTECT, dotato di Marcatura secondo UNI EN 1504-7.

 

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Nei prossimi paragrafi si parlerà di come intervenire per assicurare ad ogni struttura esistente la necessaria durabilità strutturale.

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