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Due parole sul Salva-Milano, prima e dopo il diluvio

Alla luce dei recenti sviluppi legati al decreto Salva-Milano, riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di Dionisio Vianello, ingegnere urbanista e presidente onorario del CENSU. Il suo contributo va oltre la vicenda giudiziaria in corso, offrendo spunti di approfondimento e nuove prospettive sul tema della Rigenerazione Urbana.

Il contesto e un'analisi preliminare

Giorni fa avevo ricevuto un invito ad esprimere il mio parere sul cosiddetto decreto Salva-Milano. Avevo svolto con impegno il mio compitino esponendo non tanto giudizi sull’operato della amministrazione milanese ma piuttosto su cosa si dovrebbe fare per far ripartire la macchina, tuttora ingolfata, della rigenerazione urbana, capitolo nel quale rientrano anche le questioni trattate nel Salva-Milano. Giovedì – cioè oggi - sarebbe dovuto andare in stampa, ma ieri è successo il patatrac.

Con ogni probabilità gli avvenimenti di Milano segnano la fine, ingloriosa, del decreto Salva-Milano, per cui mi accingevo a cestinare anche il mio misero contributo in attesa di tempi migliori. Prima di telefonare in redazione per bloccare tutto mi sono però riletto la bozza e, sorpresa, ma non più di tanta ,mi sono d’accordo che non aveva perso di attualità. Anzi, se possibile, era diventata ancora più attuale e condivisibile.

 

Il dibattito intorno al decreto Salva-Milano

Sul Salvamilano si era aperta una diatriba tra gli addetti ai lavori che interessa due ambiti disciplinari assolutamente diversi.

Il primo, assolutamente prevalente, è di natura giuridico legale, e riguarda le modalità con cui salvare – o sanare - l’operato del comune di Milano, amministratori e tecnici, nelle pratiche inerenti ai progetti edilizi che negli ultimi anni hanno consentito un consistente sviluppo anche verticale della metropoli ambrosiana attraverso la costruzione di numerosi grandi complessi edilizi, chiamiamoli pure grattacieli.

Contestualmente si pone la questione di natura urbanistica di come organizzare al meglio le procedure di pianificazione nel caso di costruzioni di grandi dimensioni, problema questo di grande rilievo per Milano ma significativo anche per altre città metropolitane. Anche perché rappresenta un capitolo essenziale delle politiche di rigenerazione urbana in quanto interessa esclusivamente il riutilizzo di aree dismesse. Un tema fondamentale per tutte le città e quindi per il paese, sul quale già da anni si discute in parlamento da più di dieci anni con una marea di disegni di legge finora tutti abortiti.

 

Il nodo della normativa urbanistica

Due parole sul Salva-Milano. La prima riguarda l’operato del Comune. La vicenda è finita nel penale e la parola spetta ormai alla magistratura. Sembra palese che non siano state rispettate, perlomeno alla lettera, regole stabilite dalla decrepita legge urbanistica originaria 1150/1942, poi ripresa dalla legge ponte del 1967, che all’art. 41 quinquies prevedeva per gli interventi edilizi di grande dimensione – quelli con un indice di edificabilità superiore a 3 mc/mq (probabilmente fondiario, ma consideriamolo pure territoriale, la legge non specificava quale) oppure di altezza superiore a 25 metri - l’approvazione del progetto passasse attraverso un piano urbanistico attuativo, piano particolareggiato o piano di lottizzazione.

Qual era la ratio che stava alla base di questa norma? Sembra evidente che il legislatore ritenesse che, considerati i parametri di gran lunga superiori alla media riscontrabile nella città, occorreva verificare e controllare l’impatto di questi interventi sul contesto urbano, sia in termini di dotazione di servizi (standard) sia di ripercussioni sul sistema città, rete viabile, trasporti, impianti tecnologici, ma forse anche questioni più sottili riguardanti ad esempio il disegno urbano. Proprio a tale scopo doveva servire la redazione del piano particolareggiato ed in particolare la convenzione tra pubblico e privato, che stabilisce diritti e doveri delle parti e costituisce parte essenziale del piano attuativo.

Avendo spesso lavorato con il Comune di Milano anche per progetti di grandi dimensioni, seguendo come procedura esattamente la linea del piano particolareggiato, francamente mi sembra incredibile, o almeno stento a credere che per approvare questi progetti, che rappresentano tra l’altro rilevanti e significative operazioni immobiliari da parte di privati, proprietari e developers che siano, da parte del comune non sia stato previsto qualche impegno del privato riportato in un atto d’obbligo, o qualcosa di simile. In sostanza qualcosa che anche se formalmente non lo è possa essere in realtà assimilata come contenuti ed esiti ad una normale convenzione urbanistica.

Sempre restando in campo urbanistico sembrerebbe strano che per complessi di grandi dimensioni come quelli citati in giudizio sia pure in sede di progetto edilizio, non siano state approfondite questioni fondamentali come gli standard urbanistici, i rapporti con la viabilità ed il traffico, la rete infrastrutturale e gli impianti tecnologici. In sostanza di aver in pratica soddisfatto, almeno in parte, i requisiti indicati dalla legge per un piano particolareggiato. Non so quanto possa valere questa considerazione sotto il profilo giuridico, se possa rappresentare una motivazione sufficiente o solo un’attenuante. Comunque è un argomento da verificare ed approfondire, lo sarà certamente da parte delle difese.

 

La vera sfida: pianificare l’alta densità

Lasciato da parte l’ambito giuridico resta aperte la questione di natura urbanistica, come organizzare zone e progetti edilizi di alta, altissima, densità nei piani urbanistici.

Una condizione essenziale, accettata da tutti, prevede che tali interventi possano essere realizzati solo in zone già edificate oppure in zone dismesse.

Ricadiamo dunque nel capitolo fondamentale della rigenerazione urbana che dopo anni di discussioni, intoppi e abbandoni, sembrava finalmente avviata su binari praticabili. La conclusione del ragionamento è quindi che proprio in quella sede che va trattata anche la questione delle zone ad alta densità, e quindi anche degli eventuali limiti da porre, primo fra tutti quelli imposti dal famigerato 41 quinquies. Ad esempio le bozze finora circolate erano già penetrate nel tema prevedendo la possibilità di conglobare le destinazioni d’uso cosiddette urbane - residenza, uffici, produttivo non molesto, servizi - in un’unica categoria, con relativi standard.

 

La necessità di un nuovo Piano Casa

Senza entrare adesso nel tema della rigenerazione urbana – ne ho parlato diffusamente in già troppi articoli con riferimento ai vari progetti di legge presentati negli ultimi anni, mi preme segnalare fin d’ora due aspetti che considero essenziale anche per rispondere ai quesiti posti dal Salva-Milano. La situazione attuale – e ancor più in prospettiva, è penalizzata dalla assenza di domanda solvibile e al contrario dalla sempre più rilevante domanda sociale. Quello che occorre è dunque un Piano Casa, come quello di fanfaniana memoria, senza di questo la rigenerazione ce la sogniamo. Guarda caso, servirebbe anche per Milano. Che questo si dentro o fuori alla legge sulla rigenerazione urbana poco ci interessa, l’importante è che venga fatto.

 

Per approfondire, leggi anche
DDL Rigenerazione Urbana: criticità e proposte di un urbanista esperto
Il parere di Dionisio Vianello sull'ultima proposta di legge sulla rigenerazione urbana, adottata dalla Commissione Ambiente del Senato il 18/09/2024. Ecco la sua opinione >>> Leggi l'articolo

 

Piano attuativo o PEC? Una questione aperta

Un ultimo punto specifico – in quanto esclusivamente tecnico - ma da segnalare fin d’ora, riguarda il fatto che per eseguire progetti del genere si debba necessariamente passare attraverso un piano attuativo oppure si possa procedere anche mediante progetto edilizio convenzionato (PEC). La discussione è aperta.

Personalmente sono decisamente favorevole alla soluzione PEC che è in grado di ridurre notevolmente i tempi del processo. L’esperienza mi dice che attribuire compiti relativi al disegno urbano esclusivamente ai piani attuativi difficilmente da buoni risultati, soprattutto perché in questa fase quasi mai sono presenti gli operatori, costruttori ed immobiliari.

Sono convinto che seguendo questo percorso non solo eviteremo errori funesti come quelli a cui stiamo assistendo ma avvieremo un processo virtuoso e fecondo di risultati.

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