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Distanze tra edifici, titoli abilitativi e interesse al ricorso: regole, modalità di misurazione, particolarità

Le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici.

In materia di distanze tra costruzioni sappiamo bene che:

  • l'art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444/1968, prevede la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate per gli edifici di nuova realizzazione e, come tale, non ammettere deroga alcuna;
  • in virtù dell'art. 873 c.c., le costruzioni tra fondi finitimi devono essere tenute ad una distanza non inferiore a 3 (tre) metri.

Le distanze del contendere

Ciò premesso, la sentenza 6438/2023 dello scorso 3 luglio del Consiglio di Stato è particolare perché si occupa del caso del ricorso di un vicino, autorizzato dal comune alla realizzazione di un “manufatto uso ripostiglio quale pertinenza di fabbricato ad uso residenziale” sul terreno di sua proprietà, frontistante il suo fabbricato e a confine con il fondo di proprietà di un'altro privato.

Nel dettaglio, il manufatto assentito dal comune si trova a distanza inferiore a tre metri dal muro perimetrale della villetta di proprietà, adiacente ad altra porzione di villetta bifamiliare, e a meno di dieci metri rispetto ad altro fabbricato confinante su altro lato e di proprietà di un terzo.

La proprietaria della seconda villetta bifamiliare aveva impugnato l'autorizzazione edilizia davanti al TAR Toscana, chiedendone l'annullamento, con i giudici amministrativi che accoglievano il ricorso.

Contro tale pronuncia, il primo proprietario ha proposto ricorso al Consiglio di Stato per dirimere definitivamente la questione.

Il terzo estraneo al giudizio fa venir meno l'interesse del secondo proprietario di villetta limitrofa?

Secondo il ricorrente, il TAR avrebbe errato nel ritenere sussistente l’interesse alla domanda di annullamento rispetto alla dedotta violazione delle distanze tra pareti finestrate, nella specie sussistente non rispetto alla abitazione della proprietaria della villetta bi-familiare, ricorrente in primo grado, ma di un terzo estraneo al giudizio.

E il motivo viene accolto, perché non è contestato tra le parti che la violazione della distanza minima inderogabile di 10 metri tra pareti finestrate sussista, nel caso di specie, non rispetto alla abitazione della sproprietaria della villetta bi-familiare adiacente, che ne ha eccepito la violazione, ma rispetto alla abitazione di un soggetto terzo.

Di conseguenza, non c'è l'interesse a far valere una violazione che determina un effetto lesivo rispetto non alla propria abitazione ma a quella di un terzo e tanto meno il titolo per eccepire che il ripostiglio sia posto a distanza di meno di dieci metri rispetto al muro perimetrale dell’abitazione che ha realizzato la struttura di servizio poiché anche in questo caso non ha allegato alcun pregiudizio asseritamente derivante dalla minore distanza osservata.

Distanze tra edilizia e titoli abilitativi: come funziona?

Palazzo Spada spiega che, nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.

Ma nel 'nostro' caso tuttavia l’odierna appellata non ha mai dimostrato e neppure prospettato il pregiudizio subìto a causa della realizzazione, da parte del primo proprietario, del manufatto a distanza inferiore ai 10 metri sia rispetto al fabbricato di proprietà del terzo che rispetto alla propria abitazione né ha precisato l’effetto di ripristino concretamente utile che le potrebbe derivare dall’annullamento della autorizzazione impugnata.

Non vale a superare l’eccepito profilo di inammissibilità il fatto che alla disposizione di cui all’art. 9, comma 2 del D.M. 1444 del 1968 sia pacificamente riconosciuta una finalità pubblicistica - quella cioè di salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità ed altro - poiché tale finalità ne giustifica la natura inderogabile - al punto che le disposizioni di cui al DM 1444/68, secondo un risalente e non superato insegnamento, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica - ma non consente di ritenere sussistente un pregiudizio in re ipsa, derogando ai principi generali sull’interesse a ricorrere, come di recente ribaditi e precisati dalla menzionata sentenza della Adunanza Plenaria.

Distanze di 10 metri tra edifici: regola generale, tipi di costruzioni, eccezioni, possibili deroghe

La distanza minima di 10 metri tra gli edifici riguarda sia le nuove costruzioni (nuovi edifici, ampliamenti, sopraelevazioni, addizioni volumetriche, superficie) che le ricostruzioni edilizie, come ad esempio la demolizione e ricostruzione, integrale o parziale, di edifici.


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Come si misurano le distanze?

Il Consiglio di Stato aggiunge altresì che la violazione della distanza minima tra pareti finestrate non è configurabile neppure rispetto alla abitazione della appellata in quanto non frontistante rispetto al ripostiglio.

Tra l'altro, con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 9, comma 1, n. 2, del DM 1444/1968, che impone la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici (Consiglio di Stato sez. II, 10/07/2020, n.4465), criterio, applicando il quale, il fronte della abitazione della appellata non incontra in alcun punto il fronte del ripostiglio.

Le regole del Codice Civile e le distanze all'interno dello stesso Fondo

In ultimo, si fa accenno anche all'art.873 del Codice Civile, segnalando che, con la recente sentenza n. 10580/2019, la Corte di cassazione ha ribadito che la distanza tra edifici va calcolata in modo lineare e non radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, e poiché l’abitazione dell'appellata non fronteggia in alcun punto il ripostiglio, deve escludersi la sussistenza di una violazione dell’articolo 873 c.c. 

Inoltre, si legge nella sentenza, l’art. 873 c.c. non rileva neppure rispetto all'edificio di proprietà dell’odierno appellante, trattandosi di edifici appartenenti al medesimo soggetto, avendo sul punto la Suprema Corte chiarito che “è legittima, dal punto di vista privatistico, la realizzazione di costruzioni ad una distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario”.

Su questa ultima affermazione però, considerando quanto di recente affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza 5663/2023 (approfondita su Ingenio), resta qualche dubbio, visto che Palazzo Spada ha evidenziato che, “quanto al tema delle distanze tra edifici collocati nella stessa area di proprietà, si ricorda che per la costante giurisprudenza del giudice civile, le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e prescindendo dall'appartenenza di tale spazio a terzi (cfr., tra le altre, Cass. civ., Sez. II, 10 marzo 2022 n. 7794, 31 ottobre 2017 n. 25890 e 23 marzo 2017 n. 7542)”.


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