Direzione Lavori e Controlli di Accettazione. Il Commento di Piero Giovanni Zanco
A Roberto Marino mi unisce una trentennale amicizia e un lungo periodo di collaborazione. Tra le sinuosità delle curve di Bolomey, Faury e delle gaussiane abbiamo ingrigito, quindi disseminato, larga parte dei nostri capelli. Condividiamo un certo compiacimento per il lavoro fatto, ma anche l’amarezza per i tanti problemi che il settore non ha ancora saputo risolvere. Di Roberto ammiro la conoscenza scientifica del calcestruzzo.
Gli stimoli che ci ha voluto trasmette con il suo articolo ne confermano la sua passione per il calcestruzzo (in periodo pasquale il termine assume particolare intensità). Passione pur essa condivisa. Pur se possibile fonte di impegno per psicoanalisti.
Veniamo alle proposte che Roberto avanza.
Devo ammettere, amico mio, che quella della distinzione delle carriere tra progettista e direttore dei lavori mi appassiona meno di quella tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti. Il punto prevalente, a mio avviso, è che sino da ora il tessuto legislativo non ha adeguatamente favorito la aggregazione delle competenze ingegneristiche, quali, ad esempio le società di ingegneria, nelle quali la pluralità delle competenze, la maggiore capacità di aggiornamento, nonché la stessa dimensione, avrebbero potuto svolgere un ruolo ben più incidente. Come deve essere per un prodotto edile più sicuro, affidabile e durabile. E come ben si riscontra nella generalità degli atri Paesi.
Della fragilità che è conseguita al nostro sistema ne sono esempio, fra i tanti, la generale pochezza dei Capitolati Tecnici, peraltro spesso obbrobriosamente sostituiti dal semplice computo metrico, o il generale non rispetto delle prescrizioni proprie del controllo di accettazione, cui si contrappone l’indifferente quanto generalizzato rilascio del certificato di collaudo.
Una volta che fossero risolti i peccati originali mi sentirei più ben disposto a considerare quali vantaggi possono derivare dal fatto che progettista e direttore dei lavori siano persone diverse. Con qualche residua perplessità per le costruzioni di modesta entità.
L’affidamento delle operazioni di prelievo e stagionatura dei provini a Laboratori autorizzati, od anche a laboratori terzi qualificati di fiducia del direttore dei lavori, è sicuramente auspicabile. Risolverebbe, una volta per tutte, la assoluta inadeguatezze con la quale i provini vengono conservati nei cantieri e si avrebbe un maggiore rispetto delle scadenze di rottura, atteso che sarebbe logico affidare al laboratorio terzo l’incombenza di consegnare per tempo i provini al laboratorio che dovrà provvedere alla loro rottura.
Non preoccupa affatto il maggior costo che una simile operazione comporta. L’incidenza che ne deriverebbe sui costi complessivi sarebbe del tutto marginale, oltre che ampiamente compensata dai benefici che ne deriverebbero.
Anche in questo caso occorre tuttavia prima sanare e rimettere altri peccati originali.
La sostanziale inesistenza di cubiere a norma, che possano assicurare l’ottenimento di provini conformi per planarità e parallelismo delle superfici di prova, impone la rettifica dei provini. Per contro, il fatto che la totalità degli attuali certificati escluda l’esigenza di tale operazione è una palese quanto evidente offesa alla normale intelligenza (ed alla Autorizzazione ministeriale). Diciamolo: tutti i certificati emessi, vuoi per la mancata stagionatura a norma dei provini, vuoi per la loro mancata rettifica portano ad una significativa sottovalutazione della effettiva resistenza del calcestruzzo.
Poiché l’operato di molti Laboratori autorizzati giustifica ampie riserve (sottolineo la delicatezza dell’espressione), l’affidamento agli stessi dei prelievi ne aumenterebbe esponenzialmente l’impegno; nonché l’esigenza di aumentarli di numero. L’attuale capacità di controllo e sorveglianza che su di loro deve essere esercitata dalla specifica Direzione del Consiglio Superiore LL.PP. finirebbe inevitabilmente con il diluirsi fino ad essere prossima al nulla. Con evidente grave pregiudizio del sistema.
Sono così portato a ribadire che la chiave di volta possa essere individuata nel potenziamento ed efficacia del controllo esercitato dalla succitata Direzione del Consiglio Superiore LL.PP. (anche per il tramite di fattivi contributi delle Associazioni interessate) affinché un severo controllo operato sui Laboratori autorizzati, e da questi fatto sulle procedure di accettazione e controllo dei provini, possa portare ad una più corretta cultura dei controlli di accettazione.
Di particolare interesse sono le valutazioni di Roberto sui controlli di accettazione.
E’ indubbio che la UNI EN 206-1, nel suo sviluppo, pur differenziando scopi, tempi e modi di prove preliminari ed autocontrollo, di competenza del produttore di calcestruzzo, e controlli di accettazione, di esclusiva competenza del direttore dei lavori, debba darvi una sempre più chiara e logica consecuzione.
Deve anche essere ancor più esplicita (al pari dei contenuti del Capitolo 11 delle NT del DM 14.1.2008) sulla infondatezza logica con cui molti capitolati, particolarmente pubblici, richiedono “prove” o “ricette preliminari” alla esecuzione di una nuova fornitura proveniente da un impianto di betonaggio, confondendole peraltro con lo “studio preliminare” che, come fissato dalla norma, l’impianto di betonaggio ha correttamente eseguito “prima dell’avvio di una nuova produzione”. Tali ricette preliminari, come ben sappiamo, non sono che una delle diverse ricette che derivano dall’autocontrollo in essere e che sono in grado di ottenere la prestazione richiesta.
Il controllo di accettazione auspicato da Roberto ha il sicuro pregio di inserire maggiore gradualità tra l’attuale criterio A e l’attuale criterio B. La sua proposta è sicuramente da considerarsi nell’ambito del futuro aggiornamento delle NT del 14.1.2008. Non sono invece congruenti alla UNI EN 206-1 che disciplina le attività del preconfezionatore.
Spenderei infine un commento nel caso in cui una prossima revisione delle Norme Tecniche considerasse di estendere il controllo di accettazione al caso in cui si disponga solo di uno o due risultati di prelievo. Condivido con Roberto che sia sufficiente che l’unico, o gli unici due risultati, sia-siano semplicemente superiori al valore della classe nominale. Tuttavia, ad evitare che ciò risulti in palese contraddizione dell’attuale disposizione che richiede non meno di tre prelievi, limiterei l’unico risultato al caso di impiego di un solo carico di calcestruzzo preconfezionato e/o un solo giorno di getto. Analogamente due soli risultati potrebbero essere accettati nel solo caso di due carichi di calcestruzzo preconfezionato e/o due soli giorni di getto. Al di là di questi singolari casi, il mantenere l’obbligo ad effettuare il controllo di accettazione su almeno tre prelievi mi pare rappresenti un buon equilibrio tra la sicurezza richiesta dal direttore dei lavori e l’equo, inevitabile, maggior rischio di (fittizia) insolvenza da parte del produttore.