Digitalizzazione e contratti pubblici: perché l’Italia ha bisogno di una Strategia Nazionale unitaria
Nonostante l'Italia guidi la digitalizzazione nel ciclo di vita dei contratti pubblici edilizi, l'assenza di una Strategia Nazionale unitaria crea una digitalizzazione frammentata. La scarsa preparazione culturale e gestionale nel settore ostacola il pieno potenziale delle innovazioni.
Digitalizzazione edilizia: l’Italia eccelle, ma manca una Strategia Nazionale coordinata
L’Italia, in materia di digitalizzazione del settore della costruzione e dell’immobiliare vanta attualmente una sorta di primato nei confronti della gestione, a livello di ordinamento legislativo, del ciclo di vita del contratto pubblico, anche se, per ora, la fase dell’affidamento del contratto, abilitata dall’approvvigionamento digitale, rimane dis-integrata dalla fase dell’esecuzione dello stesso, attuata per il tramite della gestione informativa digitale.
Analogamente, il Nostro Paese ha promosso una intensa azione nella normazione volontaria e partecipa attivamente alle attività normative a livello sovranazionale e internazionale.
Al contrario, pare non presentare, a differenza dei principali Stati Membri dell’Unione Europea, così come, ad esempio, di molti Paesi dell’America Meridionale (dal Brasile alla Colombia), una Strategia Nazionale di carattere pluriennale.
La palese dicotomia tra il quadro dei vincoli legislativi e la definizione delle politiche strategiche e della strategia industriale spiega, tra l’altro, la ragione per cui, nonostante che i riferimenti di legge siano sorti con il D. Lgs. 50/2016 e s.m.i., proseguiti con il DM 560/2017, con il DM 312/2021 e, infine, con il D. Lgs. 36/2023 e s.m.i., le rappresentanze della domanda pubblica e delle professioni lamentino un ritardo e abbiano invocato sia il rinvio dei termini temporali di cogenza sia l’innalzamento delle soglie di obbligatorietà della gestione informativa digitale, oltre ad avere non poco sofferto l’avvio delle procedure digitalizzate di acquisizione dei contratti pubblici.
Questa evidente divergenza appare, peraltro, critica, in un momento in cui vi è una forte preoccupazione, da parte degli operatori economici, sulle prospettive future del settore, dopo la conclusione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza e nell’imminenza dello sviluppo di Rigenerazione Urbana e di Riqualificazione Energetica del patrimonio immobiliare.
Si noti, del resto, come questi scenari siano improntati al ricorso al Partenariato Pubblico Privato, ambiscano a soddisfare istanze ambientali e sociali (col rimando, a titolo esemplificativo, ai Criteri ESG o all’economia circolare) e si sostanzino, di conseguenza, su una nozione di collaborazione (ripresa nelle modifiche e nelle integrazioni al Codice dei Contratti Pubblici per via dell’istituto dell’accordo di collaborazione) alquanto problematica nella sua implementazione, a causa di alcune asimmetrie conoscitive da parte delle parti in causa e della forte eterogeneità identitaria degli attori coinvolti.
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Gestione digitale nell’edilizia: il vero ostacolo non è la tecnologia, ma i processi
Non per nulla, le motivazioni che sono state addotte da quelle rappresentanze, prevalentemente professionali, per richiedere dilazioni o circoscrizioni della gestione informativa digitale insistevano sulla carenza di risorse umane qualificate, anziché sulla comprensione del fatto che fossero sostanzialmente i metodi, i processi e le procedure (il quadro giuridico-contrattuale), e non le soluzioni tecnologiche, a determinare un cambio di paradigma.
Poiché, naturalmente, ad alcuni lustri dalla diffusione, in termini di popolarità, della modellazione informativa mediante il famigerato acronimo sulla bocca dei più, il BIM, non è certo più sufficiente ricorrere all’artifizio, efficace, ma effimero, degli exemplum, anche perché l’universo delle applicazioni digitali si è dilatato a dismisura, lambendo ormai, dopo l’intelligenza artificiale, anche il calcolo quantistico.
Sotto questo profilo, le lodevolissime intenzioni contenute nel Codice dei Contratti Pubblici rischiano, tuttavia, di sortire effetti collaterali, nel migliore dei casi, nella direzione di una banalizzazione per adempimento, ben resa dall’esigenza del «mettersi in regola».
In realtà, a parte alcune rappresentanze della professione imprenditiva e dell’imprenditorialità, l’impressione, che ci si augura erroneamente epidermica, è che la reazione all’obbligo di legge sia consistita essenzialmente nella delega a soggetti terzi dell’assolvimento delle pratiche più operative senza interrogarsi autenticamente sulle conseguenze e sui portati della trasformazione digitale.
D’altra parte, quest’ultima o, meglio, la transizione digitale, coglie e raggiunge la maggior parte delle organizzazioni, a iniziare da quelle appartenenti al versante della domanda pubblica, prive di una razionalità digitale che, in ultima istanza, dipende da una certa lacuna di cultura della gestione, oltre che del dato.
Analoga difficoltà si percepisce anche all’interno delle migliori iniziative di sistema, come quelle promosse grazie agli European Digital Innovation Hub, in quanto servirebbe avvalersi di una specie di architettura infrastrutturale entro cui collocare le innovazioni tecnologiche puntuali.
Bisogna, alla luce delle precedenti considerazioni osservare come, accanto ai programmi di sviluppo della dotazione infrastrutturale del Paese, le esigenze impellenti che riguardano gli interventi sul costruito (non solo in termini di neutralità climatica e di efficienza energetica, ma anche, ad esempio, di vulnerabilità idraulica e idrogeologica e sismica), la sfida si trasferisca sul piano degli investimenti per programmi, con un richiamo alle esperienze dei decenni postbellici del secolo scorso.
Di conseguenza, è di evidenza palmare che la digitalizzazione dell’ambiente costruito si basi su una crescita progressiva sistemica degli attori, delle organizzazioni e delle persone, attive sia sul versante della domanda sia su quello dell’offerta, lungo, per quest’ultima, l’intera catena di fornitura.
Tra l’altro, sarebbe opportuno, a fronte di una atomizzazione del mercato, verificare in che termini i processi di aggregazione e di qualificazione delle stazioni appaltanti stiano andando oltre il mero dato quantitativo della riduzione del novero e di come le centrali di committenza supportino effettivamente l’intero ciclo di vita digitalizzato del contratto pubblico.
Nella prossimità della data del 1° gennaio 2025 che, invero, assume un valore iconico più che probabilmente una valenza strutturale, nella speranza che non generi altro, urge assolutamente che il sistema della costruzione e dell’immobiliare si interroghi seriamente e rigorosamente sugli esiti di una transizione che non equivalga ad aprire distrattamente un vaso di pandora.
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