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Diagnostica per la conservazione delle caratteristiche dei materiali per i sistemi costruttivi in c.a. esistenti

La diagnostica è fondamentale per valutare la sicurezza strutturale e pianificare interventi di restauro basati sulla durabilità. L'analisi dei materiali e dei metodi costruttivi consente di scegliere soluzioni compatibili e migliorare la conservazione degli edifici storici.

La diagnostica è la componente principale della procedura in quanto costituisce il punto di partenza per la valutazione delle condizioni di sicurezza strutturale e per la individuazione delle patologie. Legato a quello di conservazione è il concetto di durabilità che è elemento fondamentale per la migliore programmazione nel tempo degli interventi in funzione di un moderno criterio restaurativo. La conoscenza dei materiali è il secondo aspetto che cura la relazione. Infatti, è opportuno considerare le caratteristiche materiche degli elementi di base ai fini dell’individuazione dei più coerenti interventi di restauro. Occorre approfondire i componenti edilizi quali le malte, gli elementi lapidei naturali ed artificiali, le parti in legno per adottare altri materiali per il restauro compatibili con le caratteristiche di quelli presenti. Nel contributo vengono analizzati anche i metodi di indagine per il conglomerato cementizio che manifesta il valore di durabilità più basso rilevabile nell’edilizia storica. Infine, viene considerato il sistema tecnologico come valutazione dell’assemblaggio dei materiali in un sistema costruttivo e che costituisce la parte più pregnante dell’indagine diagnostica.


Gli edifici storicamente consolidati, delle "masse dormienti" da studiare e indagare

Il concetto di conservazione e restauro degli edifici storici è legato in maniera indissolubile a quello di memoria. Questa parola viene usata molto spesso ma il suo significato appare sempre molto astratto. Ogni essere umano ha una memoria che arricchisce di ricordi, immagini, affetti, amori, e questa “cartella” in cui vengono custoditi questi momenti di vita ci accompagna per sempre e, nella vecchiaia, diventa a volte una risorsa per la propria esistenza. La memoria così concepita, però, ha il limite di essere personale magari caratterizzata da insiemi aperti che possono coinvolgere altre memorie appartenenti ad uomini diversi con cui si è condiviso un’esperienza.

Invece, la memoria più bella, più colta, è quella collettiva che caratterizza una intera nazione o una città, in maniera più generale, una collettività che tramite la sua memoria trova quelle risorse per superare i momenti più difficili del suo vivere. Come esprimeva il premio Nobel Eric Kandel …la memoria garantisce la continuità della nostra vita, ci fornisce un quadro coerente del passato che colloca in prospettiva le esperienze in corso, un quadro che può non essere razionale o accurato ma che comunque permane…”.

Espressione calzante quello dello studioso dedotta anche sulla scorta di una tendenza culturale sviluppatasi, in modo particolare, nella seconda metà del ventesimo secolo e orientata a creare una nuova coscienza storiografica ben definita da un altro eminente studioso come Glénisson “rivoluzione documentaria”. In sostanza, si tratta di un concetto teso a valorizzare non solo gli eventi ed i personaggi eminenti ed emblematici ma allargato a quelle che egli chiama “le masse dormienti”. Sulla scorta di tale concetto quantitativo più che qualitativo nel 1949 Febvre scriveva: “…La storia si fa con i documenti scritti, certamente.

Quando esistono. Ma la si può fare, la si deve fare, senza documenti scritti se non ce ne sono…Forse che tutta una parte, e la più affascinante, del nostro lavoro di storici non consiste proprio nello sforzo continuo di far parlare le cose mute?...”. Questa teoria sembra decisamente congruente ed applicabile anche ad una particolare branca della storia quale quello del costruito.

Gli edifici storicamente consolidati sono anch’essi eventi da indagare e non sempre le fonti sono disponibili e deve intervenire la capacità del restauratore di leggere tramite il rilievo critico e l’analisi delle tecnologie che si sono sovrapposte le varie fasi costruttive che si sono succedute. Tale capacità, particolarmente propria dello specialista tecnologo, deve consentire la lettura di queste particolari “masse dormienti” e, tramite la conoscenza sia documentale che tecnica, elaborare un idoneo progetto.

 

Anche gli edifici in c.a. sono colpite da patologie edili, come la carbonatazione 

Se queste sono le premesse, appare assolutamente congruente includere nella evidenziazione delle caratteristiche non note i contenuti materici e costruttivi, in una parola di resistenza, anche quei parametri fisici che sono assolutamente da individuare in ciò che non è noto. Il concetto di sicurezza strutturale nell’ambito dell’edilizia storica è stato oggetto di dibattito e discussioni fin dalla sua genesi soprattutto a valle degli eventi sismici del Friuli nel 1976 e in Irpinia nel 1980. I due catastrofici eventi, sia in termini di vite umane che di perdita di una considerevole parte del costruito storico, mise “a nudo” la amara realtà di una perdita di studi, insegnamenti e ricerche nel settore delle tecnologie applicate alle strutture murarie da parte del mondo accademico nazionale.

In qualche modo si può affermare che tale situazione obbligò sia le facoltà di Ingegneria che quelle di Architettura a recuperare un know-how perduto nell’ambito degli edifici in muratura che era stato completamente abbandonato a favore di studi e progettualità unicamente dedicati alla tecnologia intelaiata in calcestruzzo armato. Nell’ambito di tale considerazione anche le strutture in legno erano state completamente “dimenticate” a favore di una spinta incontrastata verso modalità di calcolo che, oltre i fattori tecnologici, costituivano il nucleo trainante soprattutto nei corsi di studi di ingegneria civile. La necessità forzata di intervenire anche con tempi accelerati vide il progressivo recupero degli studi su tali tecnologie del passato conducendo, inoltre, ad un indagine oltre che sul campo su una bibliografia ormai dimenticata e con la “riscoperta” dei manuali tra diciannovesimo e ventesimo secolo.

Allo stesso modo negli studi di architettura gli insegnamenti di restauro monumentale videro un nuovo impulso che spinse ad oltrepassare il limite del mero studio storico per approdare verso una esecutività altrettanto necessaria come la tecnologia. Tale situazione approdò nella redazione dei primi manuali delle tecniche costruttive tradizionali redatti sul rilievo e sugli studi bibliografici prima menzionati. Altrettanto in crisi, però, era la normativa che poco si esprimeva sui criteri di sicurezza sismica, oltre che statica, fortemente richiamati dall’opinione pubblica e scientifica evidenziando lacune che di fatto ponevano limiti di progettualità al corretto intervento di restauro o di recupero apparendo di fatto impossibile ai tecnici raggiungere i livelli prestazionali imposti dall’adeguamento sismico senza stravolgere l’organismo storico dell’edificio.

La forte spinta culturale e le considerazioni legate alla sempre maggiore diffusione delle indagini soprattutto di tipo non distruttivo lentamente portarono ad un ripensamento globale del concetto di sicurezza per gli edifici esistenti fino ad approdare alla Merloni Ter che al titolo XIII dedicato ai beni culturali indicava proprio la strada della diagnostica finalizzata sia alla conoscenza dell’edificio storico che al suo monitoraggio nel tempo una della strade da percorrere per ottenere un livello prestazionale congruente con la natura storica dell’edificio per superare il concetto di adeguamento sismico a favore di quello del miglioramento sismico.

In effetti, con tale normativa si fa sempre più strada quel tipo di accettabilità che può essere definito di “rischio controllato” che consente di rispettare sia la natura storicamente consolidata del bene che la sua tecnologia. In particolare, finalizzato proprio alla non alterazione del sistema costruttivo, si accettò l’altrettanto concetto innovativo di consolidamento tramite tecniche tradizionali cercando di non sostituire parti costruttive realizzate con materiali con nuove poco consone sia alla storia che alla resistenza. Ultimo tassello del percorso fu il concetto di tecniche reversibili che di fatto limitò l’uso indiscriminato soprattutto delle perforazioni armate che in molti casi hanno condotto ad un irreversibile regresso della resistenza della muratura.

Pertanto, si può sicuramente affermare come l’uso di tecniche per la diagnostica, soprattutto quelle di tipo non distruttivo, sia stato il motore per poter affinare quei concetti legati al consolidamento e restauro unitamente ad una forte progressione per l’utilizzo di materiali innovativi caratterizzati da forte resistenza dinamica, non invasività e reversibilità che costituiscono i pilastri del restauro contemporaneo.

Le indagini applicabili al sistema tecnologico hanno visto parallelamente lo sviluppo di analoghe sui materiali. Tale tipo di analisi risulta di grande importanza perché scende nel dettaglio della composizione e riesce spesso a dare motivazioni che sono alla base dei fenomeni di degrado rilevabili. Capitolo estremamente importante e di grande attualità rivestono le indagini sulle strutture in conglomerato cementizio armato.

Questo materiale, erroneamente giudicato caratterizzato da notevole durabilità quando tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo vi fu lo sviluppo di tale tecnologia sulla scorta dei solai a doppia soletta di Francoise Hennebique, si è rivelato, al contrario, decisamente vulnerabile all’invecchiamento e all’aggressione ambientale. La presenza dell’armatura ha contribuito all’accelerazione del possibile degrado in funzione della rapida ossidazione dei ferri con conseguente espulsione dello spessore copriferro. Molti sono gli edifici storici del ventesimo secolo che sono colpiti da tale patologia che si estende anche ad altri fenomeni negativi quali la carbonatazione e si può ormai affermare che se per gli edifici della prima metà del secolo scorso i mix-design non corretti siano stati dovuti all’evoluzione degli studi al riguardo, nella seconda metà nel nostro paese sono stati dettati da colpevole affarismo che ha lasciato un patrimonio costruito su cui occorre intervenire seppur di nessuna qualità architettonica.

 

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