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Demolizione e ricostruzione di rudere: tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione 'balla' l'originaria consistenza

Tar Umbria: per qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia, è necessario e sufficiente che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili. E' pertanto da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.

Quando la demolizione e ricostruzione di un rudere configura una ristrutturazione edilizia e quando, invece, si tratta di nuova costruzione? Cosa serve per dimostrare che si tratta di ristrutturazione?

A questa domanda, piuttosto rilevante perché, a seconda del tipo di intervento, il Testo Unico Edilizia si 'comporta' in modo diverso, risponde il Tar Umbria nella sentenza 723/2022 dello scorso 1° ottobre, che ci aiuta a capire le differenze.

Il caso

Un privato chiedeva un permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia di un vecchio edificio, demolito e ricostruito su un'area di sua proprietà.

Il comune esprimeva diniego al rilascio del titolo edilizio in quanto «la ricostruzione dell’ingombro volumetrico del fabbricato indicata nelle tavole grafiche progettuali è stata eseguita sulla base di elementi che non dimostrino inequivocabilmente ed oggettivamente al preesistente consistenza del manufatto da ricostruire».

Contro questo diniego, il privato è ricorso al TAR Umbria.

Ristrutturazione edilizia ricostruttiva: quali caratteristiche?

Il TAR Umbria inizia la sua disamina osservando che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. d), della l.r. n. 1 del 2015 (nel testo vigente ratione temporis), negli interventi di “ristrutturazione edilizia” sono altresì ricompresi «quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».

La previsione normativa riprende la definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del dpr 380/2001 - Testo Unico Edilizia, per cui «[c]ostituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».

Le prove della consistenza iniziale del rudere: servono foto e mappe

Quindi la disciplina regionale, in accordo con quanto previsto dal Legislatore nazionale, estende il concetto di ristrutturazione all'ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un'indagine tecnica (in tal senso cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2019, n. 6654; T.A.R. Toscana, sez. III, 26 maggio 2020, n. 631).

La giurisprudenza ha chiarito che l'accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell'edificio diruto (in tal senso cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 23 dicembre 2019, n. 6098; T.A.R. Liguria, 11 giugno 2020, n. 364; Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2020, n. 13148).

Ricostruzione di rudere, ristrutturazione o nuova costruzione? E' sempre una questione di originaria consistenza

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Senza prove, l'intervento di demo-ricostruzione è nuova costruzione

E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili (Cass. pen, sez. III, 25 giugno 2015, n. 26713; Cass. pen., sez. III, 30 settembre 2014, n. 40342); ove, invece non sia possibile l’individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura) attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, scatta la qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova edificazione (cfr. C.d.S., sez. IV, 17 settembre 2019, n. 6188; Id. 21 ottobre 2014, n. 5174; C.d.S., sez. I, parere 27 maggio 2020 n. 1095; T.A.R. Veneto, sez. II, 9 luglio 2021, n. 910).

Più nello specifico, viene in soccorso anche l'art.22 comma 4 della legge regionale umbra 2/2015, chiarendo che si tratta di nuova costruzione quando "l'edificio non è individuabile nella sua interezza originaria, perché parzialmente diruto, la sua consistenza, in assenza di chiari elementi tipologici e costruttivi è definita da elementi sufficienti a determinare la consistenza edilizia e l'uso dei manufatti, quali: a) studi e analisi storico-tipologiche supportate anche da documentazioni catastali o archivistiche; b) documentazione fotografica che dimostri la consistenza originaria dell'edificio; c) atti pubblici di compravendita; d) certificazione catastale».

Le prove non ci sono, quindi...

Nella relazione del 'nostro' caso il Verificatore ha evidenziato che:

  • dall’esame delle istanze presentate dal dante causa dell’odierno ricorrente nel 1983 «si è riscontrata la totale mancanza di quegli elaborati grafici (piante, prospetti e sezioni) che normalmente sono parte integrante dei titoli abilitativi e che avrebbero potuto dare certezza sulla consistenza del fabbricato rurale al tempo»;
  • per quanto attiene al censimento del bene al Catasto Fabbricati dell’Agenzia delle Entrate «lo stesso risulta essere stato registrato solo al Catasto Terreni e, quindi, privo dei grafici indicanti le destinazioni d’uso di ogni locale e relative altezze»;
  • dall’esame della restante documentazione (fotografie, mappe storiche e rilievi) sono emerse incongruità, per cui «l’estratto di mappa catastale non corrisponde con certezza allo stato dei luoghi relativi agli anni ‘80», non essendo inoltre possibile «una valida lettura delle altezze»;
  • «non essendo presenti riprese fotografiche di tutti i prospetti che rappresentino per intero il bene, non è possibile conoscere tutte le effettive altezze del fabbricato, sia in gronda che al colmo, indispensabili per poter ricostruirne la sagoma».

Insomma: "dall’esame complessivo della documentazione e per quanto sopra esposto, [si] ritiene che non sia oggettivamente possibile determinare con certezza l’ingombro planivolumetrico e del sedime dell’edificio né, tanto meno, se quanto dichiarato in sede di istanza di titolo abilitativo edilizio possa corrispondere con le reali fattezze dell’immobile preesistente».

Come sostenuto dal comune, quindi, è impossibile definire la consistenza del preesistente manufatto.

E siccome, visto che secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato già richiamato, «affinché si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia – che oggi (a seguito delle modifiche all'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 apportate dal d.l. 69/2013, conv. con 1. 98/2013), ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione – è necessario che sia possibile accertare l’originaria consistenza del manufatto edilizio", è evidente che "deve essere esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un rudere nell’alveo della ristrutturazione edilizia “nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente”» (T.A.R. Veneto, sez. II, 9 luglio 2021, n. 910: cfr. C.d.S., sez. IV, 17settembre 2019, n. 6188; Id. 21 ottobre 2014, n. 5174; Id., sez. I, parere 27 maggio 2020, n. 1095).

Le prove vanno fornite dal privato

La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha anche recentemente ribadito che «spetta alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte dimensioni e sagoma. I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono essere idonei a consentire l’esatta configurazione di ciò che si asserisce era già esistente, dovendosi in caso contrario parlare di nuova costruzione … è quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5174 del 21 ottobre 2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1167 del 26 settembre 2017). In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata» (C.G.A.R.S., sez. giur., 7 febbraio 2022, n. 163; C.d.S., sez. IV, 17 settembre 2019, n. 6188).

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