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Decreto Sblocca Cantieri: sulle distanze in edilizia tanto rumore per (quasi) nulla

Analisi delle modifiche alle distanze tra le costruzioni del DM 1444/68: freniamo gli entusiasmi

 

Certo, certissimo, anzi … probabile” è il titolo di un gradevole film del ’69, ma potrebbe essere il titolo del tanto annunciato superamento del d.m. 1444/68 in merito alle distanze tra le costruzioni già commentato ante litteram dalla stampa. Che tante aspettative aveva fatto sorgere e che ora … andranno deluse.

Anche noi avevamo ceduto alla tentazione di sbirciare tra le anticipazioni di un testo già circolante in “bozza” e avevamo avuto modo di rilevare che poi tutta questa annunciata rivoluzione non c’era (anzi); adesso, alla terza versione del Decreto Sblocca Cantieri, che però almeno è in Gazzetta Ufficiale, vediamo che cosa contiene effettivamente. Consapevoli che probabilmente non sarà quella definitiva della conversione in legge.

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La collocazione della norma

Rispetto alla prima versione che voleva la modifica del d.m. 1444/68 nel “Decreto Crescita” sotto il titolo “semplificazioni in materia di edilizia privata” oggi troviamo la modifica del d.m.1444/68 all’articolo 5 del “decreto sblocca cantieri” sotto il titolo “Norme in materia di Rigenerazione Urbana”.

La giusta collocazione concettuale

Se le parole hanno un senso la modifica si propone non tanto di “semplificare” ma di “incentivare operazioni urbanistiche di “rigenerazione” urbana”, obiettivo certamente più “alto” della semplice semplificazione. Ed anche più corretto perché la revisione delle distanze non c’entrava proprio niente con la semplificazione (che ormai pare diventato un ombrello sotto il quale troviamo di tutto).

La finalità della norma è dunque urbanistica e non meramente edilizia.

Peccato che non comporti una modifica di legge delle distanze tra le costruzioni, come ci si aspettava, perché lo “sblocca cantieri” non modifica il d.m. 1444/68, ma l’articolo 2bis del DPR 380/01 che è altra cosa!

La finalità

Il primo comma si apre con una lunga dissertazione sulle sue finalità (ridondante direi visto che già le aveva anticipate al 10° Considerata/Richiamata della premessa al decreto) che vengono ancora ripetute in forma più sintetica nel testo del comma 1bis che si aggiungerà all’articolo 2bis del DPR 380/01. Ma qui ci sta (come diremo anche tra poco) perché è l’unico pezzo che leggeranno i posteri quando il testo sarà inserito nel DPR 380/01 e l’articolo 5 nel suo testo integrale finirà in archivio.

Invito o Sollecito ? Una questione di… forma ma nessun nuovo “potere”

Il primo comma lett.a) dell’articolo 5 dello “sblocca cantieri” interviene sul già vigente 1° comma dell’articolo 2bis del DPR 380/01 operando più una rettifica di stile che di sostanza perché dire che le regioni (e le province autonome) “introducono” anziché “possono prevedere” pare voler trasformare una facoltà (possibilità) in un imperativo, ma poiché non c’è norma sanzionatoria (e non c’è indicazione di come si debba operare) - quand’anche fosse - è una specie di invito e nulla più.

L'ambito di applicazione

Invito che viene rafforzato (ed esteso) alla lettera b) nel nuovo comma 1bis (di cui abbiamo detto pocanzi) quando si sottolineano le finalità per le quali lo stato (bontà sua) consente la deroga al d.m.1444/68 che sono .... intervenire anche sulla densità edilizia e sui limiti di altezza (ovvero sugli articoli 7 “Densità edilizia” e 8  “Altezze degli edifici”) per consentire l’auspicata “densificazione” urbanistica.

Sul punto mi permetto di far notare sommessamente che nel testo del nuovo comma 1bis il Legislatore invita a definire i limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati, ma l’articolo 2bis del DPR 380/01 continua (e continuerà) a titolare solo “Deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati” per cui l’invito pare andare fuori campo. Ma tant’è.

Resta dunque un invito ad operare su “tutti” quei parametri, non un imperativo. Ma mentre i parametri del comma 1 dell’articolo 2bis sono sostanzialmente gli spazi (alias gli standards) oggi si precisa (o si aggiunge ?) al comma 1bis anche la densità, l’altezza, le distanze. Come a dire: “se volete potete”. La palla è comunque alle regioni.

I destinatari ultimi dell’attuazione però sono i comuni. Cui andranno rivolte le “disposizioni “ regionali (e delle province autonome).

Nell’immediato nulla di fatto! Il Legislatore non modifica il d.m. 1444/68, ma più semplicemente “consente” la deroga.

Chi si aspettava il superamento tout court delle distanze dei dieci metri dalle pareti finestrate in zona “B” (e non solo) deve attendere le normative regionali!!

Una riflessione

A dire il vero non capisco neppure tanto bene il significato di questa norma che non è una delega ma semplicemente una sorta di autorizzazione alla “deroga”. Ce n’era proprio bisogno? Non è già implicito nel potere legislativo concorrente garantito dall’articolo 117 della Costituzione l’intervento legislativo delle regioni in materia edilizia (dal 2001 e da sempre in urbanistica)?

Fatta salva, naturalmente, la competenza esclusiva dello stato che comunque è già precisata e ribadita all’articolo 2bis nel testo attuale ove puntualizza che resta ferma “la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà…

Riserva di competenza esclusiva legge statale che, se non vado errato, è il motivo per cui all’esame del Giudice Costituzionale sono naufragate le fughe in avanti di alcune regioni in materia, appunto, di “deroga” al d.m. 1444/68 (cfr. C. Cost. 15.07.2016 n.178).

Proprio su questo punto si sono infranti gli entusiasmi fatti nascere dalla legge n. 98/2013 – articolo 30, comma 1, lett. 0a) che per prima nella storia della Repubblica ha tentato una modifica (rectius una deroga) al d.m. 1444/68.

Perché i poteri regionali erano e restano limitati alla “definizione o revisione di strumenti urbanistici …… funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

Ripeto: “assetto complessivo e unitario” o “specifiche aree territoriali” che sono appunto i paletti ribaditi dalla Corte Costituzionale nella richiamata sentenza.
A ben vedere la norma dello “sblocca cantieri” nulla aggiunge alle facoltà derogatorie che le regioni già hanno oggi con l’articolo 2bis del DPR 380/01.

Fortunatamente resta la facoltà dell’articolo 9, 3° comma, che consente deroghe alle distanze “nei piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” che sono (e restano) diretta competenza dei comuni.

In sintesi, al contrario delle entusiastiche anticipazioni di stampa che annunciavano la modifica imminente della tanto detestata norma delle distanze nelle costruzioni apportata direttamente dai decreti, il Legislatore statale non opera direttamente (non so perché ma non se la sente) e rinvia il problema alle regioni (né più né meno di quanto aveva già fatto nel 2013 introducendo l’articolo 2bis nel DPR 380/01 che in effetti oggi semplicemente rafforza).

Intanto il d.m. 1444/68 resta vivo e vegeto e - nonostante i suoi cinquant’anni -  continua a godere ottima salute.
Non sarà mai abrogato, al massimo derogato …. ma dalle regioni (se e quando …. ).

La vera novità

Quel che appare più interessante e, davvero, innovativo è l’introduzione del comma 1ter all’articolo 2bis del DPR 380/01. Che aggiunge una precisazione o, meglio, una “interpretazione” che dovrebbe servire a chiarire le facoltà e i limiti delle ricostruzioni a seguito di demolizione, tema scottante anch’esso finito spesso e malvolentieri sui tavoli dei Tribunali.

Si chiarisce finalmente che la “ricostruzione” può mantenere le distanze preesistenti legittime (il diritto consolidato) purché “sia assicurata la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito e di quello demolito.

Questa norma (che condivido e che pare oltremodo utile per dirimere annose querelles) per come è scritta non mancherà di creare difformi e magari anche fantasiose interpretazioni.

Intanto introduce una nuova categoria di ristrutturazione non riconducibile a quelle fin qui note (e codificate nell’INTESA 2016): Non si tratta certamente di una ristrutturazione pesante (la “coincidenza” del volume lo esclude), ma neppure normale (ex art. 3 DPR 380/01) che di per sé non impone la conservazione della sagoma e quindi neanche del sedime.

Qui non si richiede la conservazione dell’intera sagoma, ma del solo sedime; è dunque una ristrutturazione più vincolata ma neppure identica a quella prevista dall’originario testo del DPR 380 nel 2001. Cosa vuol dire però?

La “coincidenza”: un concetto nuovo

La coincidenza dell’area di sedime tra vecchio e nuovo è concetto abbastanza chiaro, anche se (interpretato in modo rigoroso) pretenderebbe la conservazione dell’impianto dell’edificio precedente su tutto il perimetro e non solo su alcune parti ove si vorrebbe conservare il privilegio delle distanze preesistenti. Ciò però appare incongruo: se in alcuni punti ci si può adeguare alle distanze vigenti perché imporre la conservazione delle vecchie (certamente meno vincolanti)?

Più ambigua è la coincidenza del volume: coincidenza quantitativa (stessa volumetria) o, anche distributiva (stessa sagoma)? Se il Legislatore avesse voluto intendere così avrebbe fatto meglio a richiamare subito la prescrittiva “sagoma” anziché la più atecnica “coincidenza”.

Coincidenza del volume non vuol dire stessa sagoma

Non solo: se il Legislatore avesse inteso che la “coincidenza” era la “stessa sagoma” non avrebbe precisato (come ha aggiunto in fine del comma) che le distanze preesistenti possono essere mantenute solo “nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”. Sarebbe stato implicito nel concetto di sagoma.

Ciò vuol dire invece che, a parità di volume (mc), il nuovo edificio può anche essere più alto; solo che la parte in ampliamento deve rispettare le distanze di legge. Si consolidano le preesistenze, non le innovazioni. Per queste ultime si dovranno rispettare le norme vigenti (ovvio).

Se si vogliono mantenere le distanze preesistenti (perché più favorevoli di quelle della norma vigente) sicuramente si dovrà far coincidere anche la “sagoma” preesistente nei punti di interesse a tale mantenimento. Ma se anche in corrispondenza di preesistenze si volesse comunque rinunciare alla facoltà della conservazione e aumentare le distanze si dovranno rispettare integralmente le norme vigenti o ci si potrà attestare anche in posizioni intermedie (determinando così un “miglioramento” ma non un “adeguamento”)?

E, ancora: la norma potrà valere anche per demolizioni parziali? Direi di sì. Ma per ora sono solo opinioni e osservazioni personali. Che temo faranno discutere.

La condizione della preesitente “legittimità”

Sicuramente farà discutere in fase applicativa la precisazione (corretta e dovuta, che però non figurava nella “bozza”) che le distanze preesistenti devono essere “legittime” (o, aggiungiamo, legittimate).

Il concetto di legittimo è ampio e deve far risalire alla verifica delle norme vigenti all’epoca dell’esecuzione ….. o all’esistenza di un condono…

Diciamo solo che le norme dell’articolo 9 del d.m. sono in vigore dal 1968, che sono state ritenute “inderogabili” e comunque il condono fa salvi i diritti dei terzi e la norma del ’68 a questi inerisce.

Temo che si apriranno questioni interpretative non sempre condivise. Che potrebbero limitare molto le aspettative e l’applicazione in concreto. Sarà un bel tema di dibattito.

Una NUOVA categoria di ristrutturazione

Da quanto precede possiamo comunque dedurre che, normativamente, questo intervento di demolizione con ricostruzione con “coincidenza” di sedime e volumi individua sicuramente una terza categoria di ristrutturazione (un tertium genus) che potremmo definire “ristrutturazione vincolata” o, forse meglio, “ristrutturazione ristretta” più circoscritta di quella dell’articolo 3, lett. d) del DPR 380/01.

Al di là di questo indispensabile inquadramento e delle (superabili) problematiche di dettaglio di cui si è detto trovo che l’introduzione del comma 1ter nell’articolo 2bis del DPR 380/01 sia interessante, condivisibile e possa risolvere annosi problemi applicativi: è una norma utile. Certamente finalizzata al titolo “Rigenerazione Urbana” (alias “densificazione”).

Più che una novità potremmo a buona ragione ritenerla un’estensione a tutti gli interventi di “ristrutturazione ristretta” (come l’abbiamo definita poc’anzi) di quanto già prevede il comma 1, punto 1 dell’articolo 9 del d.m.1444/68 che però lo limita alle “ristrutturazioni” e “risanamenti conservativi” per le sole zone “A”.

In definitiva

Un’ultima considerazione: il decreto “sblocca cantieri” in realtà è un decreto-legge ma tutti lo hanno definito così; a noi non piace questa semplificazione giornalistica perché non dà conto del suo effettivo “essere”, ma per non stare controcorrente anche noi finora lo abbiamo chiamato “decreto”.
Riportandoci a realtà giuridica sottolineiamo però che è un “decreto-legge” e ci sono sessanta giorni per convertirlo in legge: usiamoli!


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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