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Decreto Energia: la nuova ristrutturazione edilizia dei beni vincolati paesaggisticamente

Un lungo dibattito, innescato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che ha coinvolto Ministeri, ANCE, Soprintendenza e riviste specializzate e che ha creato inevitabile confusione su un tema delicato come la tutela paesaggistica, ha preceduto l’ennesima modifica della definizione della ristrutturazione edilizia. Con conseguenze nei contenuti e nella procedura.

Forse potemmo dirci soddisfatti, ma non possiamo non rilevare gli strascichi che restano e le incongruenze che l’Autore mette in luce proprio in relazione alla finalità della norma che nasceva dall’intento di favorire le “rigenerazione urbana”.


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Adesso possiamo parlarne.

Adesso che il DL n. 17/2022 è legge (n. 34/2022) e quindi possiamo argomentare su di un testo definitivo, non più passibile di interventi dell’ultim’ora che ne stravolgano il senso; anche perché quello di cui vogliamo parlare non sta nel testo originario del decreto-legge, ma sulle modifiche successive in sede di conversione.

Affronteremo qui la “vexata questio” della ristrutturazione - e in un prossimo intervento anche quello della manutenzione ordinaria-pannelli fotovoltaici-edilizia libera - che sono le novità edilizie che ci interessano.

Tema su cui molti hanno già detto (pur nelle more dell’approvazione definitiva) per cui ci soffermeremo sugli aspetti di merito sui quali di meno è stato detto.

L’articolo 28, comma 5-bis della l. n. 34/2022 titola “Rigenerazione urbana” e modifica il DPR 380/10 all’articolo 3, lett. d) nella definizione della “ristrutturazione edilizia” e all’articolo 10 che ne regola gli atti abilitativi soggetti a permesso rimodulandone l’applicazione sui beni soggetti al Codice Urbani.

 

Oggi

Oggi gli edifici con vincolo paesaggistico ex-lege (ovvero gravati da vincolo derivante dal solo fatto di trovarsi in aree così classificate per legge a norma dell’articolo 142 del d.lgs. n. 42-2004) possono essere soggetti a ristrutturazione ex articolo 3, lett. d) del DPR 380/01 godendo (anche) delle possibilità (attribuite alla generalità degli edifici dall’ultima modifica della legge n. 120/2020) di modifica della sagoma, spostamento del sedime e incremento volumetrico.

In questo caso l’intervento va soggetto a permesso di costruire; e naturalmente soggiace anche alla contestuale autorizzazione paesaggistica che ne garantisca la “compatibilità” col vincolo di cui è gravato.

Così siamo tutti felici e contenti e l’innovazione è stata salutata universalmente con toni entusiastici (anzi, se possibile, anche di più) come se il Legislatore avesse introdotto un’innovazione: in realtà ha solo corretto un precedente aggravio.

Non lo definisco un “precedente errore” perché non ne voglio dare un giudizio di valore e risulta dal dibattito che ne era stato consapevole; ma certamente era stato un aggravio.

C’è allora da chiedersi come eravamo messi prima (ieri e ieri l’altro).

 

Ieri l’altro

Ieri l’altro (e cioè prima delle modifiche del d.l. 16.07.2020, n. 76) gli immobili (quindi edifici ed aree perché così recitava anche la norma di allora) vincolati dal d.lgs. n. 42/2004 (e cioè tutti: sia quelli della Parte II – Beni Culturali -  che quelli della Parte III – Beni Paesaggistici -) in caso di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione non potevano incrementare il volume (come tutti gli altri) ma, in più, non potevano modificare la sagoma (ed era dubbio se potessero spostare il sedime).

 

Ieri

Quando il Legislatore (col succitato d.l. poi convertito nella legge n. 120/2020 dell’11 settembre) ha allargato le maglie della ristrutturazione consentendo “apertis verbis” alla generalità degli edifici modifiche alla sagoma, sedime, prospetti, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche e, anche, incrementi di volumetria (motivati dalla finalità della “rigenerazione urbana”), per gli edifici vincolati dal d.lgs. n.42/2004 invece non ha conservato il solo limite della sagoma, ma ha pensato bene di restringere ulteriormente le possibilità applicative aggiungendo il gravame della conservazione di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche se volevano restare nel campo della ristrutturazione; diversamente si ricadeva nella nuova costruzione.

Il che limitava fortemente la “rigenerazione” di immobili ricadenti in aree vincolate paesaggisticamente ex-lege (a norma dell’articolo 142 del Codice Urbani) non a motivo di effettivi valori intrinseci da tutelare, ma solo per la loro localizzazione. Sottraendoli ad una valutazione di merito come prevede l’autorizzazione paesaggistica.

Per cui, ad esempio, non si capiva perché il loro mantenimento in sito (magari originariamente pure abusivo poi sanato) fosse da ritenere a prescindere più rispettoso del vincolo “paesaggistico” di un loro spostamento in zona diversa opportunamente valutata dalla commissione regionale/comunale e dalla competente Soprintendenza.

Per di più la recrudescenza delle condizioni di conservazione di sagoma, sedime, prospetti, …. fu allargata anche agli immobili in zona “A” e “similari” (ma su questo torneremo a breve).

 

L’approfondimento e il dibattito di merito

Fu così che, in base ad argomentazioni di indubbio merito e buonsenso il Consiglio Superiore del Lavori Pubblici elaborò un parere orientato a sottolineare la differenza concettuale e sostanziale dei beni contemplati dal Codice Urbani che accomuna beni tutelati previa individuazione delle caratteristiche specifiche degne di tutela (Parte II e Parte III articolo 136) e beni tutelati ex-lege con provvedimento generico (Parte III, articolo 142). E da questo traeva la (erronea) deduzione che il d.l. n. 76/2020 non operasse nei confronti di questi ultimi, ma solo su quelli oggetto di accertamento specifico.

Deduzione erronea, come abbiamo detto, perché smentita dalla scrittura letterale del testo di legge e che però ha provocato un dibattito vivace e prese di posizione certamente utili a chiarire la corretta interpretazione giuridica (quella letterale) ma anche a metterne in luce l’incongruenza logica e finalistica cui anche noi abbiamo contribuito. (v: InGenio 03/09/2021 “Ristrutturazione degli immobili tutelati: una storia infinita non priva di contraddizioni” e “Immobili di pregio paesaggistico: tutela o conservazione?”).

Dei singoli attori e delle singole posizioni abbiamo dato atto nell’articolo di Matteo Peppucci del 15.04.2022.

 

Ma non era stata una svista

Dibattito dal quale è emerso però che la disposizione normativa più “stringente” del d.l. n. 76/2020 non era stata un caso ma una convinta posizione di alcuni che – al di là della interpretazione letterale – parevano condividerne la finalità restrittiva a priori.

Tanto è vero che, come già abbiamo detto, l’opportunità dell’attuale modifica non è stata colta dal Legislatore nella stesura originaria del d.l. n. 174-2022, ma solo nel dibattito seguìto alla sua conversione in legge. E per questo, a scanso di possibili ripensamenti, non l’abbiamo commentato finora.

Alla fine però – potremmo dire – ha vinto il buon senso e la coerenza del fine che è il corretto perseguimento della tutela dei valori paesaggistici che non può essere stabilito parametricamente ma solo con l’analisi caso per caso della loro effettività.

Si rammenti che il vincolo ex-lege della cosiddetta legge Galasso (l. n. 431/1985) fu, in un certo senso, una norma tampone e di tutela/cautela preventiva (anche se quanto mai opportuna nell’inerzia e individualismo dei pianificatori) che presupponeva (e incentivava) poi l’individuazione analitica dei valori paesaggistici intriseci dei beni così genericamente classificati tramite i piani paesaggistici che ancora (nella maggior parte dei casi) sono di là da venire.

 

Tutto bene allora quel che finisce bene?

Non tanto perché qualche strascico rimane.

Al di là del “blocco” indotto per un anno e mezzo (dal luglio 2020 all’aprile 2022) c’è un primo problema di sostanza che si perpetua.

Se, come abbiamo anticipato, l’imposizione del d.l. n. 76/2020 della conservazione nelle ristrutturazioni di prospetti, sagoma, sedime, … per gli immobili soggetti a vincolo del d.lgs. n. 42/2004 era un’estensione del mero vincolo di sagoma già preesistente, era invece una novità per gli immobili “ubicati nelle zone omogenee “A” … o in zone a queste assimilabili, … nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico …” e ancor oggi il vincolo resta perché non ne sono stati esentati dall’attuale legge n. 34/2022.

Ciò perché, come sempre, il Legislatore frettoloso dei decreti-legge in sede di conversione aggiunge ma non riscrive, e semplicemente inserisce all’interno del testo del previgente articolo 3, lett.d) del DPR 380/01 un’“eccezione” (un esonero) solo per gli “edifici” ex art. 142 del d.lgs. n. 42/2004, ma si dimentica (?) di quelli in zona “A” o assimilate.

 

Un problema di uniformità e di coerenza

Ma anche questi “immobili” sono individuati ex-lege sulla base di una ubicazione territoriale e non di un’analitica disamina dei valori da conservare. Meriterebbero lo stesso trattamento. (E qui richiamiamo per di più la genericità della individuazione di cui abbiamo già detto negli articoli dianzi citati).

E non si può dire che quelle “A” siano zone in cui non si ponga il problema della “rigenerazione” che la norma voleva favorire ... e che invece resterà condizionata dal permanere della limitazione.

Ne esce un testo normativo comunque incoerente col fine e per di più ormai pressoché illeggibile che porta le incrostazioni di tutte le ben sette revisioni subite dall’origine.

 

Ristrutturazione sì, ma con permesso

Abbiamo già detto che contestualmente all’ammissibilità degli interventi di ristrutturazione edilizia per i beni paesaggisticamente vincolati ex-lege la nuova legge li rinvia all’obbligo del permesso integrando l’articolo 10, comma 1, lett. c); ne risulta un testo appesantito e ridondante di faticosa lettura. Forse era meglio riscriverlo.

Che in caso di incremento volumetrico (o anche solo cambio di sagoma e prospetti per tutti gli edifici vincolati dal Codice Urbani) si dovesse ricorrere al permesso era scontato perché già scritto e non ci sarebbe stato bisogno di alcuna aggiunta; per cui pare che sia semplicemente aggiunto il caso di “demo-ricostruzione” e modifica “del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”.

Se così è però non si capisce bene quale sia il “valore aggiunto” del permesso rispetto alla s.c.i.a. (se non la qualificazione penale delle eventuali difformità esecutive) dal momento che, essendo peraltro facoltativa la commissione edilizia comunale e dovendo acquisire l’autorizzazione paesaggistica, la valutazione di merito sulla compatibilità sarebbe comunque affidata a questa procedura che prevede commissione specialistica regionale/comunale e poi il parere vincolante della Soprintendenza.

Ricordando poi che – dal punto di vista procedimentale (e fatti salvi gli aspetti penali or ora menzionati) per effetto del comma 01 dell’articolo 23 del DPR 380/01 – gli interventi del comma 1, lett. c) dell’articolo 10 sottoposti a permesso (e, quindi anche quelli qui in esame) possono in via alternativa essere ricondotti a SCIA.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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